A vederlo ritratto in una foto del settimanale tedesco Der Spiegel, stretto tra due agenti ungheresi che lo accompagnano in aula, l’impressione è quella di osservare Davide contro Golia. Martedì un giudice ungherese ha accolto la richiesta delle autorità del Portogallo di estradare Rui Pinto, il creatore di Football Leaks che dal 2015 ha messo a soqquadro il calcio professionistico mondiale. I magistrati di Lisbona lo accusano di estorsione e di accesso illecito a informazioni confidenziali. Le stesse che da quattro anni hanno svelato trame offshore, contratti segreti, evasione fiscale da parte di professionisti del pallone e accordi tra club e organi di controllo del calcio mondiale ed europeo. La corte di Budapest era chiamata a valutare se Pinto avesse diritto alla speciale tutela riservata dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ai whistleblower, quei soggetti che svelano illeciti da parte di istituzioni pubbliche, istituti bancari, aziende private. Il no è arrivato dopo 45 minuti di camera di consiglio.
Dalla provincia portoghese a Budapest
Una lotta impari, la stessa scatenatasi dopo la messa online dei primi documenti che toccavano colossi del calibro di Jorge Mendes (potente procuratore portoghese di, tra gli altri, Cristiano Ronaldo e José Mourinho), della società Doyen Sports (fondo di private equity che finanzia la compravendita di calciatori) e di decine di top club in giro per il mondo.
Natio di Vila Nova de Gaia, a due passi da Porto, come milioni di altri ragazzi Pinto sviluppa un amore per il pallone fin dai primi anni. «Quando ne avevo quattro sapevo già leggere e scrivere grazie alle partite che guardavo in tv, mi segnavo e ripetevo i termini utilizzati dal cronista», ha detto in una recente intervista a Der Spiegel. Appassionato di storia, orfano di madre dall’età di undici anni, Pinto gira l’Europa grazie al programma Erasmus. Trascorre sei mesi a Budapest e dopo un breve rientro in Portogallo decide di tornarci. Qui trova una fidanzata e si stabilisce. Sviluppa una passione per il commercio in reperti antichi e fa della capitale magiara la sua nuova casa.
A suo dire, l’elemento scatenante fu lo scandalo di corruzione che nell’estate del 2015 investì la Fifa. È da allora che comincia a raccogliere dati sui principali investitori del calcio mondiale e partorisce così l’idea di Football Leaks. Ad oggi non sono ancora chiare le modalità con cui Pinto ottiene i primi documenti ma, dichiara, dopo poche settimane altre fonti anonime si mettono in contatto, alimentando ulteriormente il già ricco database. Documenti confidenziali, contratti, accordi, fatture, clausole segrete. Tutto viene pubblicato su un sito.
Paradisi fiscali e fondi di investimento
Football Leaks è la più grande fuga di notizie nella storia dello sport. Dalla fine del 2015, quando cioè la piattaforma vede la luce, in pochi mesi vengono pubblicati milioni di documenti. Dopo qualche settimana però il sito va offline. Riemerge la primavera successiva quando Der Spiegel riceve l’enorme banca dati da Pinto, la cui identità allora è ancora anonima. Nasce così la European Investigative Collaborations (EIC), un gruppo di lavoro che comprende 60 giornalisti in 14 Paesi.
Emergono immediatamente due grandi filoni. Il primo racconta di complesse trame fiscali che hanno il preciso scopo di nascondere in paradisi offshore gli enormi profitti derivati dallo sfruttamento dei diritti di immagine dei calciatori. Il caso più eclatante è quello di Cristiano Ronaldo. Durante la sua permanenza al Real Madrid, la stella portoghese ha commesso quattro distinti reati per un’evasione totale da 14,7 milioni di euro. Il complesso schema societario creato dal suo procuratore, il portoghese Jorge Mendes, dalla Spagna passava per l’Irlanda e la Svizzera e portava dritto alle Isole Vergini Britanniche. Lo scorso gennaio, una settimana prima dell’arresto di Pinto, il tribunale spagnolo ha condannato il portoghese a 23 mesi di carcere (che non sconta perché inferiori a due anni) e a 18,8 milioni di euro di multa. «Io adoro Ronaldo, è il mio calciatore preferito e lo reputo il più completo nella storia del calcio», ha detto Pinto a Der Spiegel. «Ma il suo atteggiamento fuori dal campo va giudicato in maniera completamente diversa». Rispondendo a una domanda sulle motivazioni alla base di Football Leaks, Pinto ha dichiarato che il suo intento era quello di «quantomeno dare inizio a un dibattito pubblico su chi e come governa il calcio mondiale e, nella migliore delle ipotesi, dare avvio a delle indagini».
Quello di CR7 è solo uno dei casi svelati dai Football Leaks. Jorge Mendes si è infatti rivelato essere la mente dietro le avventure fiscali illecite di altri suoi celebri assistiti: José Mourinho, Angel Di Maria, Jackson Martínez, Ricardo Carvalho, Radamel Falcao, Fabio Coentrao, Pepe e James Rodríguez. Nel radar di Football Leaks sono finiti anche altri top player europei come Luka Modric, Karim Benzema, Rafael Van der Vaart, Mesut Özil, Gonzalo Higuaín, Michael Laudrup e Neymar. Tutti, o quasi, hanno patteggiato con le rispettive autorità.
Il secondo filone svelato dalla EIC grazie ai documenti di Football Leaks riguarda la proprietà dei giocatori. Chi detiene i diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, il cosiddetto “cartellino”? Si è appreso infatti dell’ormai dilagante strapotere di società e fondi di investimento. Ve ne sono tante nel panorama calcistico internazionale, ma la più nota è la Doyen Sports. Con sede a Malta, dal 2008 il fondo di investimento si è gettato sul mondo del pallone acquisendo parte dei cartellini di calciatori in Sud America ed Europa. Niente di male, se non fosse che solitamente il fondo in questione spinge per la vendita di un calciatore poiché delle clausole contrattuali – pubblicate proprio nei Football Leaks – garantiscono incassi ogni qualvolta il giocatore viene ceduto a un altro club. Le rivelazioni della piattaforma si sono fatte ancor più pesanti dal momento che gli stessi fondi spesso detengono quote nelle medesime società calcistiche coinvolte nella compravendita, alimentando un circolo vizioso che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri.
Manette ai polsi e richiesta di estradizione
Oggi Rui Pinto ha trent’anni. Ne aveva ventisei quando si è lanciato all’attacco di un sistema, quello calcistico, giudicato inattaccabile. «La Doyen ha anche messo sulle mie tracce degli investigatori privati, lo stesso ha fatto un grosso club europeo», ha dichiarato Pinto allo Spiegel. Golia comincia a intravedere la vittoria su Davide lo scorso autunno quando i media portoghesi diffondo la voce per cui Pinto avrebbe passato al Porto email accusatorie da parte del Benfica. I tifosi di quest’ultima non la prendono bene. «In quel momento la mia vita è cambiata completamente, ho ricevuto numerose minacce di morte via posta elettronica e Facebook da parte dei sostenitori del Benfica», ha detto lui.
Della sua reale identità non si hanno più dubbi il 16 gennaio quando due agenti ungheresi lo fermano sull’uscio di casa sua a Budapest. Gli mostrano il mandato di arresto europeo e, apprese le sue generalità, perquisiscono l’abitazione e gli confiscano circa 70 terabyte di dati prima di portarlo in cella. Da allora è agli arresti domiciliari e le minacce sono aumentate. Ma non sono mancate neanche dimostrazione di affetto da parte di chi ne chiede la libertà e pretende un calcio più trasparente. L’udienza in cui si sarebbe decisa la sua estradizione e, di conseguenza, la sua vita è stato l’unico momento in cui ha messo piede fuori casa. Il giudice ha ritenuto irrilevante la richiesta di protezione testimoni della Corte Europea poiché, ha affermato, i presunti reati risalgono a circa sei mesi prima che Pinto inviasse i dati a Der Spiegel, e solo da quel momento sarebbe diventato a tutti gli effetti un whistleblower.
«Temo per la mia vita se dovessi tornare in Portogallo», ha dichiarato in aula, «e sono certo che non sarò sottoposto a un giusto processo, la mafia del calcio è ovunque nel mio Paese e il messaggio che vogliono far passare è che nessuno deve mettersi in mezzo». Oggi, guardando indietro, gli chiedono se avesse mai avuto dubbi. Ai giornalisti tedeschi ha confessato: «Certo, specialmente perché spesso non ero d’accordo sul modo in cui venivano usate le informazioni che mettevo a disposizione. Guardate alla sistematica evasione fiscale che pervade il calcio spagnolo per esempio, le autorità si accontentano di un patteggiamento e di incassare qualche milione di euro, e così banchieri, agenti, avvocati la fanno franca mentre sono proprio loro a creare questi sistemi di evasione fiscale». Uno dei suoi avvocati, il francese William Bourdon che ha già difeso altri whistleblower tra cui Julian Assange, Edward Snowden e Herve Falciani, farà appello alla decisione del giudice ungherese.
Qualora l’estradizione venisse confermata c’è il rischio che i magistrati di altri Paesi non abbiano più accesso ai documenti di Pinto, utili finora a recuperare diversi milioni di tasse evase. È un paradosso europeo: da un lato un Paese membro vuole processare Pinto, dall’altro i magistrati di Francia, Svizzera e Belgio hanno aperto indagini proprio grazie alle sue rivelazioni.