L’estate 2018 è stata segnata dall’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus, una delle operazioni di mercato più clamorose di sempre. Tuttavia non va dimenticato che il primo acquisto dei bianconeri era stato Emre Can: oltre a essere una di quelle occasioni che la Juve solitamente non si lascia scappare (il tedesco era in scadenza col Liverpool), questa operazione aveva funzionalità tattiche ben precise. Del resto, il centrocampo era stato il principale punto debole della Juventus 2017/2018, quindi era impellente la necessità di rinforzare il reparto.
Il centrocampo nella testa di Allegri
Prima della rimonta contro l’Atlético Madrid le principali difficoltà continuavano ad avvenire nella gestione del pallone, Allegri non stava trovando il modo di ottimizzare una rosa molto tecnica. Questi problemi riguardavano diverse situazioni: i bianconeri soffrivano le squadre che attuavano una pressione alta e intensa (è il caso di Atalanta e Lazio), come formazioni che difendevano basse lasciando poco spazio. Oltre a non sapere come superare le linee rivali, queste difficoltà nel possesso si traducevano nel subire ripartenze una volta persa palla: come spesso accade, una squadra che attacca male si fa trovare scoperta quando l’avversario recupera il possesso. L’Atlético, al Wanda Metropolitano, ne aveva approfittato alla perfezione.
Dopo avere iniziato la stagione in casa del Chievo con la mediana a due, già contro la Lazio Allegri era ritornato al centrocampo a tre, ossia uno dei suoi marchi di fabbrica (tanto da aver scritto la tesi di Coverciano del 2005 su questo tema). Per quanto sia uno dei tecnici più elastici e flessibili in circolazione, molti di questi concetti si sono visti con insistenza nei 14 anni successivi. Allegri ha sempre optato per interni di centrocampo diretti e ultra-verticali, cercando di sfruttare le loro doti quantitative soprattutto in chiave offensiva per attaccare l’area rivale, anche per quanto riguarda giocatori in teoria più “palleggiatori” – è il caso di Bentancur, un facilitatore della manovra a cui però Allegri chiedeva inserimenti profondi e a volte addirittura di coprire l’ampiezza.
Il centrocampo a 3 con Khedira e Matuidi aveva rafforzato questo concetto, soprattutto il tedesco che fungeva da attaccante aggiunto. Più che giocare alle spalle del centrocampo avversario, le mezzali si buttavano dentro già pensando a come aggredire la porta, svuotando il centro e quasi rinunciando totalmente alla rifinitura centrale. Per fare un paragone, questo è un concetto diversissimo rispetto alle squadre di Guardiola: il tecnico spagnolo schiera come interni di centrocampo solo giocatori tecnici e bravi nella rifinitura, per assecondare una fase di costruzione molto più palleggiata nel tentativo di sfruttare gli half-spaces. D’altronde, con molti allenatori Pjanić sarebbe una mezzala di possesso. Allegri, invece, lo vede vertice basso.
Le difficoltà di Can e Matuidi
Tutto ciò aveva portato a una Juve eccessivamente lunga in campo, con distanza eccessiva tra i reparti, in particolare tra Pjanić e le due mezzali: ciò impediva di fare girare palla con efficienza e concedeva appunto spazi in ripartenza ai rivali una volta perso il possesso, a causa della lontananza degli interni dalla palla.
Pjanić schermato, distanza enorme con le due mezzali (Bentancur dà ampiezza perché De Sciglio resta bloccato).
Alle mezzali erano così affidati compiti forse non totalmente nelle loro corde. A Matuidi, per esempio, veniva chiesto sovente di inserirsi e riempire l’area, agendo quasi sulla stessa linea degli attaccanti e allontanandolo eccessivamente dal centro del campo (zona in cui poteva far valere le sue qualità nell’interdizione).
A Emre Can, che da Klopp era sfruttato soprattutto per la caratteristiche difensive in campo aperto e nel gegenpressing (tant’è che era uno dei migliori giocatori della Premier League per numero di palle recuperate), veniva chiesto di scappare in avanti per farsi trovare tra le linee in zone avanzate del rettangolo di gioco. Il tedesco ha però offerto prestazioni mediocri in questo contesto tattico, dimostrando di essere impreciso e poco agile quando costretto ad agire in spazi stretti con elevata pressione attorno a lui. Insomma, forse Can era troppo poco tecnico per fare la mezzala offensiva in un undici che già di suo aveva scarsa qualità nella rifinitura centrale.
Dybala fa il terzo di centrocampo, mentre Can resta avanzato in vece della Joya.
Inoltre, una Juve che non riusciva bene a sviluppare l’azione castrava le doti di Pjanić in rifinitura, allontanandolo eccessivamente dal terzo di campo avversario e costringendolo a un gravoso lavoro di protezione della difesa a causa della posizione molto alta degli interni. Nessuno dei centrocampisti era quindi totalmente a proprio agio.
Le modifiche in mezzo al campo
Nel periodo intercorso tra le due partite contro l’Atlético, Allegri aveva già fatto intravedere qualche piccolo aggiustamento per provare a risolvere quei problemi che stavano attanagliando la Juve. Contro il Napoli, per esempio, l’allenatore aveva scelto di avvicinare i giocatori tra di loro nella prima costruzione, e di tenere molto più bloccato Matuidi, il quale aveva interagito più in orizzontale con Pjanić – mentre Emre Can restava più alto. Questa è stata una modifica non scontata, visto che nei mesi precedenti era sempre stato chiesto al francese di scappare subito in avanti per fungere quasi da sottopunta. Anche se, all’atto pratico, questa mossa non era riuscita a portare grossi benefici offensivi, perlomeno si era vista una migliore resistenza all’intenso pressing del Napoli senza perdere i palloni sanguinosi delle partite precedenti.
Lo scaglionamento prudente di Napoli. Terzini bassi e Matuidi che resta bloccato in supporto di Pjanić (Emre Can invece molto più alto).
Nel match della verità contro l’Atleti, poi, sono state fatte scelte estremamente efficienti, in controtendenza rispetto al precedente utilizzo dei giocatori. Una delle novità è stata la posizione di Emre Can, schierato più bloccato in fase di possesso, nel tentativo di sfruttare le sue doti nell’uscita palla al piede e nella riaggressione, forse il pregio migliore dell’ex Liverpool. In impostazione la Juventus si è disposta con un rombo arretrato con Pjanić vertice alto e Can centrale di destra, soluzione che ha consentito di aggirare facilmente la fiacca pressione di Griezmann e Morata: appena persa palla, i bianconeri cercavano di recuperare immediatamente il possesso, col tedesco che è stato cruciale nell’aggressione in avanti, stroncando sul nascere buona parte nelle le ripartenze dell’Atlético Madrid e garantendo superiorità numerica dietro. Un set di movimenti che ha molto ricordato i tempi trascorsi con Klopp e che ha consentito alla Juventus un recupero palla altissimo. Si può dire che palla al piede la Juve si sia schierata con un simmetrico (entrambi gli esterni sulla stessa linea a dare ampiezza, una novità per Allegri) e “diretto” 3-5-2 con tutti i centrocampisti in posizioni congeniali e più vicini tra loro. L’altezza di Cancelo e Spinazzola ha poi dato le sembianze del 3-3-4.
Su possesso consolidato si è visto un 3-3-4. Matuidi più bloccato, senza la prerogativa di riempire l’area, e Can che si alza per accorciare la squadra in caso di riaggressione. La costante presenza di due giocatori negli spazi interni serviva per “stringere” l’Atlético e liberare spazio per gli esterni.
La Juventus si è trasformata in una squadra che ha quindi deciso di difendere in avanti e di effettuare il recupero istantaneo, un contesto che ha esaltato un profilo come Matuidi: il francese, meno concentrato nel riempimento dell’area, ha potuto fare la differenza nelle situazioni di contro-pressing. Pure Miralem Pjanić è apparso in grande spolvero, la sua prestazione ha ricordato un qualcosa già osservatosi a Manchester: più la Juve è dominante e propositiva, più il bosniaco riesce a incidere in zona di rifinitura. Oltretutto, la presenza di tre difensori dietro (tra cui soprattutto Emre Can) ha in un certo senso “liberato” l’ex Roma, che con un’adeguata protezione alle sue spalle ha così avuto la possibilità di salire maggiormente senza palla. Insomma, tutt’altra storia rispetto al Pjanić basso e isolato dai compagni che si è visto in parecchi match.
Solo il tempo dirà quale strada prenderà la Juventus in questo finale di stagione. Quel che è certo è che, a prescinderei dai moduli, i bianconeri si esaltano quando riescono a sfruttare le caratteristiche dei propri interpreti, e nel momento clou si è vista una squadra molto diversa rispetto a quella dei mesi precedenti. Per raggiungere la massima efficienza, la Juventus 2018/2019 deve evitare quella lunghezza nel reparto di centrocampo che al Wanda aveva rischiato di compromettere la stagione, deve avvicinare i propri giocatori al pallone per sfruttare le loro qualità sia nella manovra che nella riaggressione. In poche parole: serve la Juve vista a Torino contro l’Atlético, e le decise dichiarazioni di molti protagonisti sulla mentalità da seguire (tra cui Ronaldo e Bonucci, con quest’ultimo che si auspica una squadra che una volta persa palla cerchi subito di recuperarla) spiegano a chiare lettere quale sia il desiderio dei giocatori.