La difficile rinascita dell’Ucraina

Speranze e sorprese della giovane Nazionale guidata da Shevchenko.

Vitaliy è un 19enne cresciuto sulla riva destra del fiume Dnepr: prima del 2012 non aveva mai messo piede a Kiev, sette anni dopo ha debuttato con la Nazionale ucraina fermando Bernardo Silva allo stadio Da Luz di Lisbona. Mykola di anni ne ha 22, nacque in Crimea e quattro giorni fa Shevchenko gli ha affibbiato Cristiano Ronaldo da marcare a uomo. Viktor è un classe 1997, ma anche un po’ 96, visto che Mykola Zahoruyko, il suo primo allenatore, non poteva farlo giocare coi coetanei perché immarcabile. Nessuno alla Dinamo Kiev era bravo come lui, motivo per cui in pochi si saranno stupiti al gol segnato lunedì 26 marzo contro il Lussemburgo, impegno inaspettatamente ostico e risolto a favore dell’Ucraina solo grazie a un autogol al 93’. Vitaly è Mykolenko, terzino sinistro. Mykola è Matviienko, difensore centrale. Viktor di cognome fa Tsygankov e l’8 marzo 2018 segnò di tacco all’Olimpico contro la Lazio. I loro sono tre volti del ricambio generazionale ucraino: completano il quadro Lunin, per cui il Real Madrid pagò 8,5 milioni di euro più ulteriori 5 di bonus, e quel 22enne Zincenko che Guardiola pescò nell’estate 2016 dall’Ufa e che oggi è convertito con successo a terzino sinistro.

Nello stesso anno a metà luglio, la Nazionale guidata dal 67enne Mykhaylo Fomenko fu eliminata ai gironi di Euro 2016 e la Federcalcio di Kiev promosse il 39enne Andriy Shevchenko che da sei mesi assisteva il ct. Immediatamente l’ex Milan epurò la vecchia guardia, specie in difesa dove tagliò Kucher, Ordets e Khacheridi. A questi s’è recentemente aggiunto Rakitskiy: trionfatore in Coppa Uefa 2009 con lo Shakhtar, ufficialmente la sua presenza ostacola la crescita di Mykolenko e Matviienko ma alla base della sua esclusione vi sono altri motivi. S’è sempre rifiutato di cantare l’inno ucraino e il 28 gennaio ha firmato un triennale con lo Zenit. Il suo trasferimento in Russia è bastato a cancellare le 54 presenze in Nazionale e il connazionale Fedetskiy ha definito inaccettabile il suo comportamento. Questo perché la situazione tra i due Paesi resta delicatissima, dopo l’annessione della Crimea e la guerra esportata nel Donbass. Qui in nemmeno due mesi fu demolita la Donbass Arena: il 22 agosto 2014 perse la parete ovest e l’allacciamento elettrico, alle 12:10 di lunedì ottobre il colpo di grazia – una nuova esplosione – fece crollare la parete vitrea che di notte illuminava Donetsk di blu.

Il gol realizzato da Tsygankov contro il Lussemburgo

Quello stadio, pare interamente finanziato dal presidente dello Shakhtar Rinat Akhmetov, fu inaugurato nel 2009 e nei suoi cinque anni di vita fece in tempo a godere il passaggio di Euro 2012. Fu innescato dunque il domino, lo Shakhtar si spostò a Lviv – 1300 km a ovest – e nel 2017 un secondo trasloco portò i Minatori a Kharkiv, dove il Metalist dal 2016 non esisteva più per via della latitanza del suo presidente, Serhiy Kurchenko. Magnate nel commercio di gas naturale, lasciò il Paese nel 2014 e tre anni dopo lo stato gli confiscò i beni e la squadra: José Sosa e Papu Gómez avevano già salutato, tra gli ultimi ad andarsene vi fu il brasiliano Marlos, che dal settembre 2017 ha preso la cittadinanza ucraina e oggi è regolarmente convocato in Nazionale oltre a rinverdire la colonia brasiliana di Donetsk. Una colonia che peraltro potrebbe sparire presto, vista la volontà di Akhmetov di investire in un centro tecnico a Mariupol e formare talenti autoctoni, ponendo fine alle importazioni verdeoro che resero celebre il corso di Mircea Lucescu.

Se in periferia la situazione è questa, la capitale Kiev non può sorridere. La Dinamo aleggia impunemente sullo spettro di Oleg Blochin e Valerij Lobanovs’kyj, di cui è parente lontana anni luce: nel 2016 dovette far partire gli ultimi talenti esteri (Miguel Veloso, Dragovic, Belhanda e l’oggi friulano Teodorczyk), da allora ha vinto solo la Supercoppa d’Ucraina l’estate scorsa. Nel 2009 perse la semifinale tutta ucraina contro lo Shakhtar in Coppa Uefa, oggi rincorre i Minatori ma la Champions League resta un miraggio e il calciomercato non aiuta: due anni fa l’icona Yarmolenko salutò in direzione Dortmund dopo dieci anni alla Dinamo, ad agosto scorso il brasiliano Júnior Moraes tradì Kiev con Donetsk prima di farsi naturalizzare e debuttare il 22 marzo, contro il Portogallo, vestendo la maglia della nuova Nazionale.

Nazionale che però persiste nella dipendenza dal suo numero 10, Evgen Konoplyanka, funambolo che il Dnipro lanciò nel grande calcio e che lontano dall’Ucraina pare aver interrotto la sua crescita. Trascinò la squadra di Myron Markevych alla vittoria sul Napoli, ma il 27 maggio 2015 s’inchinò nella finale d’Europa League a Varsavia davanti al Siviglia di Emery e Bacca. Al termine di quella gara l’attaccante Seleznyov disse di aver appena perso la partita più importante della sua vita, e in molti riscontrarono un’enfasi eccessiva in quel virgolettato divenuto però profetico: oggi il Dnipro non esiste più e l’oligarca Igor Kolomoyskiy – presidente, nonché sul podio dei più ricchi in Ucraina – finanziava unità paramilitari con la scusa (pare) di acquistare benzina per l’esercito ucraino. Alcune operazioni finanziarie a Cipro lo fecero scoprire e oggi sembrerebbe trovarsi negli Stati Uniti, mentre quello che resta del club fa parte da settembre di una lega amatoriale.

In questo quadro complicato, la finale di Champions League ospitata il 26 maggio scorso a Kiev ha restituito al Paese la voglia di respirar calcio. Al resto pensano Andriy Shevchenko – che a 9 anni scappò da Chernobyl con la sua famiglia per via del disastro nucleare, mentre oggi si trova a vivere il conflitto bellico-diplomatico – e una Nazionale la cui età media è di 26,3 anni, esattamente uguale all’Italia di Mancini. Vedere il ventenne Mykola Shaparenko nelle vesti indossate dal suo ct, miglior realizzatore nella storia del calcio ucraino (la maglia numero 10 alla Dinamo, la 7 in Nazionale) innegabilmente fa effetto. Qualcuno peraltro l’avrebbe rimarcato a Shevchenko che, a sua volta, avrebbe risposto elencando i record del ragazzo: debuttante a 16 anni, sei mesi e un giorno in campionato, terzo calciatore nella storia della Prem’jer-liha ad aver segnato prima dei 17 anni. Il futuro passa da qui.

 

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