È arrivato il momento della Superlega?

È ora di parlarne, con i campionati nazionali sempre più scontati.

Gli argomenti di discussione più gettonati del postpartita di Juventus-Milan, una settimana fa, sono stati gli errori arbitrali, l’ennesimo gol di Kean, l’avvicinarsi della Champions League. Temi che non sfiorano nemmeno l’argomento sportivamente più importante: la certezza quasi matematica dell’ottavo scudetto consecutivo della Juventus – manca solo un punto –, complice anche il pareggio del Napoli con il Genoa. Questo perché da tempo ormai non è più questione di se, ma di quando e come i bianconeri vinceranno il titolo. Lo scudetto quasi non fa più notizia, nelle ultime stagioni la distanza tra la squadra di Allegri e le altre è stata enorme, e la corsa per il primo posto  in classifica è diventata una gita in solitaria.

Lo strapotere ineluttabile che esercita la Juventus in Serie A da quasi un decennio non è un caso isolato in Europa. Nello stesso weekend il Barcellona ha battuto l’Atlético Madrid con i gol di Messi e Suárez, e ha ammazzato ancora una volta la Liga con diverse giornate d’anticipo. I catalani sono anche in finale di Copa del Rey e vicinissimi al quarto double in cinque anni: è il racconto di un dominio netto, che all’opinione pubblica appare smorzato soltanto per i successi europei del Real Madrid. Ma in terra spagnola i blaugrana hanno cannibalizzato i due tornei più importanti negli ultimi anni. Stesso discorso per il Bayern Monaco, che si è ripreso la testa della Bundesliga vincendo 5-0 con il Borussia Dortmund mentre la Juve rimontava il Milan. Ora i bavaresi sono virtualmente campioni di Germania, per loro sarebbe il settimo Meisterschale consecutivo. In Francia il Psg può concedersi di togliere dalla porta avversaria i suoi stessi gol, tanto il countdown che porterà il sesto titolo in sette anni sta per arrivare a zero.

Le vittorie in serie di squadre che dominano i campionati nazionali stanno rendendo questi ultimi noiosi e scontati. La polarizzazione che ha azzerato la competizione al vertice di Serie A, Liga, Bundes e Ligue 1 alimenta, inevitabilmente, i discorsi sulla necessità di una Superlega europea – o comunque di una nuova versione della Champions League – che coinvolga le migliori squadre del continente. Una proposta non ancora concreta, non del tutto almeno, ma assolutamente viva, alla quale sta lavorando l’Eca (l’associazione dei club europei presieduta da Andrea Agnelli). Si tratterebbe, in sostanza, di un torneo riservato alle società più grandi d’Europa: 16 o 18 squadre, senza retrocessioni, promozioni o qualificazioni, l’iscrizione avverrebbe con il meccanismo delle wild card. Un nuovo torneo che garantirebbe accoppiamenti oggi possibili solo alle fasi finali della Champions League: ci sarebbero un Juventus-Real Madrid, un Barcellona-Manchester United o un Bayern Monaco-Psg ogni settimana, con introiti elevatissimi per le casse delle società partecipanti. Le prime stime sulle entrate annue per ogni club ipotizzano cifre enormi, centinaia di milioni di euro tra diritti televisivi e premi di partecipazione.

La nascita di una Superlega sarebbe il primo vero tentativo di andare oltre gli storici sistemi piramidali. È la più rivoluzionaria di un pool di proposte che comprende anche la diminuzione del numero di squadre per ogni campionato nazionale, salary cap e parametri più stringenti per l’iscrizione alla stagione successiva. Il nuovo torneo continentale svaluterebbe, di fatto, i campionati locali, che – come hanno riportato molti media – potrebbero giocarsi in turni infrasettimanali (almeno in alcuni momenti della stagione), ed eventualmente sarebbero derubricati a lega di sviluppo della Superlega stessa. In pratica si sostituirebbe l’attuale format del calcio continentale in favore di un sistema maggiormente votato all’intrattenimento, si punterebbe su uno spettacolo che offre continuamente scontri diretti tra i migliori club al mondo. Una soluzione che, anno dopo anno, diventa sempre più plausibile per l’enorme differenza di valori tra le squadre che si affrontano nei contesti domestici. La proposta della Superlega europea, però, ha già grossi ostacoli sulla sua strada – oltre allo scontato rifiuto del presidente della Uefa Ceferin («Ucciderebbe il calcio»).

Il format della competizione, con squadre selezionate a priori grazie alle wild card, è stato adottato dall’Eurolega nel basket, e funziona perfettamente per uno sport che ha negli Usa la sua origine, la sua matrice culturale. Da questo lato dell’Atlantico, però, la componente “entertainment” non è necessariamente la priorità nello sport. Nelle leghe europee il concetto di meritocrazia e l’idea di dare a tutti i club le stesse possibilità hanno tutt’altro valore. Nel calcio questo discorso risalta ancor di più, al punto che – paradossalmente – anche nel soccer Usa stanno aumentando i sostenitori di un modello più europeo, aprendo alla possibilità per le franchigie iscritte alla federazione di ambire alla massima divisione di calcio (la Mls) attraverso un sistema di promozioni e retrocessioni. Un sistema che oggi non è contemplato nel calcio americano. Molti club statunitensi hanno inviato alla Fifa e al presidente della federazione nazionale una lettera aperta  per chiedere un cambiamento nel sistema: «Chi vuole investire per arrivare in alto», hanno scritto, «vede frustrati i propri obiettivi, perché più di tanto non può salire. Tutti vogliono vedere un campionato aperto, con promozioni e retrocessioni. Dobbiamo adeguarci al resto del mondo».

Lo sbarramento culturale che rischiano di incontrare i sostenitori della Superlega potrebbe essere ancor più ingombrante in quei Paesi che hanno un retaggio culturale legato a identità territoriali forti. Qui i consensi per una nuova competizione europea, che vada a sminuire il campionato nazionale, potrebbero essere davvero pochi. È il caso dell’Italia, che potrebbe essere rappresentata nella nuova competizione solo da squadre del Nord (Juve, Milan e Inter, in quest’ordine), una condizione che aprirebbe ancor di più il divario con il Sud – oltre a sfocare completamente l’immagine di una “Italia dei comuni” cui sono ancorati alcuni personaggi ai vertici del calcio italiano. Stesso discorso anche per la Spagna, un contesto sociopolitico in cui le comunità autonome hanno sentimenti identitari ancor più marcati, e in cui il campionato rappresenta un’occasione per creare ogni settimana una nuova sfida tra fazioni contrapposte.

Una proposta dalla portata così rivoluzionaria potrebbe essere osteggiata anche da chi non ha interesse a modificare lo status quo per altri motivi. La Premier League, ad esempio. È il più grande campionato di calcio in Europa, il più ricco, un benchmark per le altre leghe che fanno a gara per imitarne il modello di sviluppo, oltre che l’unico al quale si può attribuire l’aggettivo “globale” con cognizione di causa. Attualmente sembra difficile che i vertici della lega inglese, e dei suoi club, possano schierarsi sul fronte dei revisionisti facendo saltare la miniera d’oro che li foraggia. Lo scorso novembre, il direttore generale dell’Arsenal Vinai Venkatesham aveva parlato a nome del club sull’argomento: «L’Arsenal non è interessato ad una competizione che indebolisce la Premier League. La Premier è la prima lega del mondo dello sport più importante e non vogliamo fare nulla per danneggiarla». Difficile immaginare i suoi colleghi su posizioni molto diverse.

In risposta ai tentativi di ribaltare l’attuale formato delle competizioni europee, la Uefa ha reagito con una riforma che da questa stagione porta ancora più introiti ai grandi club. Un drenaggio di ricchezza a vantaggio delle società più ricche descritto così in un articolo pubblicato lo scorso novembre su L’Espresso: «Ogni anno, il massimo torneo continentale per club muove oltre 2 miliardi di euro. Un fiume di denaro che secondo le previsioni della stessa Uefa potrebbe crescere fino a 3,2 miliardi entro il 2021. Con il nuovo meccanismo di distribuzione delle risorse, ogni società incassa una somma che dipende per il 25 per cento dai risultati raggiunti nelle precedenti edizioni della Champions League e per un altro 15 per cento dal valore dei diritti tv incassati nel proprio Paese. La novità finisce per favorire le squadre più ricche, le stesse che negli ultimi anni hanno raggiunto con maggiore frequenza i turni finali della UCL».

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