In Youth League si costruisce la Champions del futuro

Non solo una vetrina per i giovani talenti, ma il laboratorio del calcio del domani.

Nel 1779 Goethe soggiornò nella Tour César, l’edificio abitativo più antico di Nyon: innalzato nell’Undicesimo secolo, oggi, a vederlo, ha l’aspetto di una costruzione scalcagnata, certamente affascinante, con le ampie vetrate delle finestre che si concedono alla vista come sorrisi sdentati. A pochi metri di distanza, lì dove una piccola piazzetta permette di estendere lo sguardo al meraviglioso panorama del lago Lemano – e oltre, fino alle piccole cittadine francesi di Yvoire e Nernier dalla parte opposta della riva, visibili a occhio nudo –, c’è l’hotel che accoglie i giocatori dell’Under 19 del Chelsea, impegnati nella Final Four di Youth League: qualcuno, prima della finale contro il Porto, giocata nel tardo pomeriggio, ne aveva approfittato per una breve passeggiata all’ombra della Tour César. Qualche ora più tardi, a far festa sarebbe stato però il Porto, e Goethe avrebbe potuto spiegare ai giovani Blues: «Non abbiamo un difetto che non possa diventare la nostra forza, e non un punto di forza che non possa diventare un difetto».

Il Chelsea che in semifinale stritola il Barcellona nel secondo tempo con l’intensità, cede nettamente al Porto in finale perché non in grado di reggere gli stessi ritmi del match di tre giorni prima – che, indubbiamente, ha portato via preziose energie fisiche e mentali. I Blues vincono e perdono nello stesso modo, con le loro idee e le loro convinzioni; e lo stesso vale per il Porto campione, e ancora per il Barça. La Youth League – che dalla sua creazione, nel 2013/14, vede semifinali e finali disputarsi a Nyon, a un tiro di schioppo dalla sede dell’Uefa – è una vetrina importante per i calciatori delle formazioni Under 19, ma non è una sfida individuale: il livello è alto, perché alla crescita personale si accompagna l’insegnamento nel modo di stare in campo, nel ragionare in una logica di collettivo, nello sviluppare un’identità definita di squadra. Non è un caso, infatti, che in sei anni di esistenza del torneo le squadre finaliste siano state appena sette: significa che ci sono realtà più evolute in un senso progettuale più ampio, che non tiene conto esclusivamente dello scouting, ma che arriva alla delineazione di una proposta di gioco, cucita sui giocatori a disposizione.

La vittoria in finale del Porto contro il Chelsea

La finale è stata vinta dal Porto per 3-1, che nel primo tempo è andato in vantaggio con Fabio Vieira e nel secondo ha chiuso i conti con le reti di Diogo Queirós e Afonso Sousa, dopo il temporaneo pareggio – durato lo spazio di appena due minuti – di Daishawn Redan per il Chelsea. I portoghesi lo scorso anno erano arrivati in semifinale, e a eliminarli era stato proprio il Chelsea, ai rigori; e i Blues avevano poi perso in finale contro il Barcellona, la stessa squadra che quest’anno hanno battuto in semifinale. Nomi e rivincite si intrecciano frequentemente per il motivo già enunciato: la Youth League è un manifesto di come si possa e si debba costruire squadre competitive sulla base di investimenti mirati e idee di gioco. Concetti già fondamentali in Champions, ma che in una competizione come quella giovanile – per certi versi più “democratica”, perché le variabili economiche hanno un’incidenza minore rispetto alle prime squadre – godono di una centralità ancora maggiore.

A premiare il Porto è stata un’ottima organizzazione di gioco e la capacità, da parte dei giocatori, di adattarsi a ogni situazione della partita. Se in semifinale, contro l’Hoffenheim, la più debole tra le quattro semifinaliste, ha imposto ritmi lenti al match colpendo nei momenti chiave (3-0 il risultato finale), in finale ha giocato un calcio diverso, più rapido e verticale, chiudendo il match con una sapiente amministrazione del risultato, tra gli olé dei tanti tifosi dei Dragoni – tra cui gruppi di tifo organizzato arrivati dalla vicina Losanna. Alla fine, lo scarto con gli avversari è sembrato poggiare più su una questione di personalità, e qui interviene la solita questione: l’abitudine a giocare in contesti competitivi. Cinque undicesimi della formazione titolare che ha sconfitto il Chelsea arrivano dal Porto B, che gioca in seconda serie; Diogo Leite, centrale difensivo classe ’99, in questa stagione ha disputato sei partite con la prima squadra, tra cui una di Champions. Insieme al capitano Diogo Queirós, ha spiccato per senso di leadership difensiva, con una sapiente organizzazione di reparto che ha annacquato i tentativi offensivi del Chelsea, pure il miglior attacco del torneo con 33 reti realizzate – il gol è arrivato solo a seguito di un’uscita errata del portiere Diogo Costa. Di contro, la difesa dei Blues – schierata con una linea di tre centrali – ha palesato qualche difficoltà nel contenere la rapidità dei giocatori del Porto, anche se Joseph Colley, possente centrale di destra, è apparso tra i giocatori più affidabili della competizione.

Il 3-0 del Porto sull’Hoffenheim in semifinale

Anche il Barcellona ha utilizzato a Nyon elementi della squadra B, come i difensori Juan Miranda, Guillem Jaime, Oscar Mingueza e il talentuoso centrocampista Monchu. Non che i catalani avessero problemi di organico: ben dodici giocatori erano stati spediti in tribuna. L’Under 19 blaugrana, la formazione campione in carica, si muove in campo esattamente secondo gli stessi principi di gioco della prima squadra: nella prima ora di gioco contro il Chelsea domina il campo, trovando con facilità spazi di campo dove sviluppare la manovra e mandando puntualmente in tilt la pressione alta dei giocatori avversari. Quando, nella ripresa, i blaugrana perdono un po’ di lucidità – qualcuno finisce la partita con i crampi, altri chiedono la sostituzione anticipata –, vengono sopraffatti dall’atletismo del Chelsea.

Il gol dell’1-1 arriva da un errore dal portiere Tenas, che nel tentativo di servire un compagno di squadra indirizza invece il pallone sui piedi di Redan, che dà a McCormick la facile occasione di segnare a porta sguarnita. Ma è la solita questione: restare fedeli alla filosofia di sempre. Già nel primo tempo Tenas, chiamato tantissimo in causa dai compagni nell’impostazione dal basso come il collega ter Stegen, aveva sbagliato il passaggio: il suo allenatore, ad azione finita – e pericolo scampato – lo aveva comunque applaudito per la giocata. Il Barcellona era riuscito a tornare in vantaggio con Fati, autore di una doppietta, ma nel finale è stato ripreso da Charlie Brown, capocannoniere del torneo con dodici reti. Con la sfida protratta ai rigori – in Youth League non ci sono tempi supplementari –, l’errore dal dischetto di Miranda si è rivelato decisivo.

La semifinale tra Barcellona e Chelsea, vinta dagli inglesi ai calci di rigore

Barcellona, Porto, ma anche chi gioca nell’Under 23 del Chelsea – la quasi totalità dei titolari: sono calciatori che disputano tornei di livello, abituati a fronteggiare avversari più grandi di età, in contesti tattici progrediti. In Italia, purtroppo, mancano le condizioni perché gli under 19 possano misurarsi in realtà più impegnative: quest’anno nessuna squadra del nostro Paese si è qualificata agli ottavi di finale della Youth League, con Juventus e Roma eliminate negli spareggi da Dinamo Kiev e Midtjylland. Nella storia del torneo, solamente la Roma, nel 2015, con in campo Sanabria, Pellegrini e Verde, è riuscita ad arrivare alla Final Four, finendo però per perdere 4-0 in semifinale contro il Chelsea. Facile dire che esiste un problema strutturale, che non si può ridurre al “mancano i buoni giocatori”: semmai, mancano le condizioni per permettere una crescita più rapida dei più giovani. Perché, d’altronde, è anche logico che un calciatore non possa, da un giorno all’altro, passare dalla Primavera alla Serie A: la differenza di valori è troppo ampia. L’esperimento dell’Under 23 della Juventus andava in quella (giusta) direzione, creare uno step intermedio – come avviene nel resto d’Europa, a prescindere se esistano squadre B inserite nei tornei professionistici o no – per accelerare lo sviluppo dei talenti. Ma a oggi, con una stagione quasi finita e l’inizio di una prossima non così lontano, il tema squadre B resta ancora un’incognita.

Champions League e Youth League hanno molti più punti di contatto di quanto si possa pensare, e allora è bene che le squadre italiane, per cominciare a costruire i successi europei, si abituino a eccellere anche a livello giovanile. Da questa competizione, per citarne solo alcuni, sono passati de Ligt, Mbappé, Rashford, Sané, Sancho, Alexander-Arnold. Occhio a non restare indietro, perché i giovani scesi in campo a Nyon, oggi, sono più avanti dei loro coetanei rimasti a casa. Oltre ai già citati, una carrellata di nomi interessanti in ottica futura: il talentuoso trequartista Romário Baró del Porto, autore di un meraviglioso gol su calcio di punizione contro l’Hoffenheim; l’esterno del Porto Angel Torres, tecnico e veloce, e la punta Fábio Silva, che ha solo 16 anni e che ha dimostrato forza e qualità; Billy Gilmour del Chelsea, un centrocampista box-to-box che ha tempi di gioco e facilità di calcio; ancora tra i Blues, il rapidissimo Tariq Lamptey, un esterno di fascia destra difficile da fermare; nel Barça, hanno rubato l’occhio l’intelligenza tattica di Antonio Jesús e i dribbling di Konrad De La Fuente.