Nuove case in Serie A

Il business del calcio passa per uno stadio moderno, efficiente, di proprietà. Uno sguardo alla situazione italiana.

Il 5 febbraio il sindaco di Roma Virginia Raggi ha annunciato la partenza entro l’anno dei lavori di costruzione del nuovo stadio della Roma, ed è almeno il terzo proclama del genere che viene dato nella Capitale. L’iter di costruzione dell’impianto si era fermato l’ultima volta l’estate scorsa in seguito ad alcune intercettazioni che mettevano in dubbio la raggiungibilità del sito con le infrastrutture previste nel progetto voluto dalla giunta M5S (che stralciando le tre torri di Libeskind riduceva le opere di viabilità a carico del proponente, a partire dal prolungamento della linea B della Metro fino ad arrivare alla costruzione di un nuovo ponte sul Tevere – e a naso, beh, sì, arrivarci potrebbe essere un problema). In ogni modo, in seguito allo scandalo il Comune aveva incaricato il Politecnico di Torino di fornire un parere circa i flussi di traffico previsti con l’attuale progetto.

Il parere, pur sottolineando alcune criticità, le ha definite “risolvibili”, per la felicità della sindaca che ha così potuto promettere un’altra volta la partenza dei lavori. Salvo ulteriori impedimenti – a cominciare dall’incognita delle indagini archeologiche – la Roma potrà finalmente costruire lo stadio che insegue dalla presidenza Viola. Il sogno della Roma è lo stesso di diverse altre squadre di Serie A, che in forme più o meno complesse (e con progetti più o meno realizzabili) stanno pensando, in questi anni, a come trovare il punto di equilibrio e riuscire finalmente a “procurarsi” uno stadio di proprietà. Intervenire in tal senso del resto è ormai necessario: l’età media degli impianti italiani è infatti di 64 anni. Nel nostro Paese circa metà delle infrastrutture calcistiche è stata costruita prima del 1949, e soltanto il 12 per cento dopo il 1990. L’ultima occasione di rinnovamento architettonico risale a Italia ’90, quando gli stadi coinvolti nell’evento hanno subito un restyling, tranne il San Nicola di Bari e il Delle Alpi di Torino, inaugurati in quell’occasione. Negli ultimi dieci anni in Italia sono stati costruiti o ristrutturati solo l’Allianz Stadium di Torino, la Dacia Arena di Udine e il Benito Stirpe di Frosinone, mentre sono addirittura 139 gli impianti aggiornati nel resto d’Europa.

L’approccio conservativo che l’Italia ha nei confronti degli stadi è legato all’idea di tutela che riguarda tutto il patrimonio storico: qui l’importanza architettonica delle strutture spesso finisce per costituire un vincolo difficile da superare. E vale anche per gli stadi: si stima infatti che il 70 per cento di questi sia sottoposto a vincolo architettonico. Tuttavia, benché in ritardo rispetto al resto del continente, anche per la Serie A sembra ormai giunta l’ora del rinnovo delle strutture, e non solo per questioni di appeal – gli ampli spalti vuoti di stadi ormai vetusti contribuiscono in modo decisivo a offrire un’immagine dimessa del nostro calcio – ma soprattutto perché gli impianti di nuova concezione rendono possibili ricavi capaci di mettere alcune squadre in grado di competere a livello sportivo con i top club europei, come dimostrato dalla Juventus. L’Allianz Stadium di Torino è infatti l’unico stadio italiano che si avvicina al concetto di Smart Arena, consentendo al club torinese di godere di ricavi legati all’impianto (57 milioni nel 2016/17) oggi impensabili per altri club.

Il nuovo concept di stadio che dall’Inghilterra si è diffuso nel resto d’Europa veicola un’idea di vera e propria rigenerazione urbana, attraverso la creazione di centri che ambiscono a essere spazi di aggregazione attivi tutta la settimana. Importare il modello inglese in Italia è però più difficile che altrove, e la colpa è di vincoli burocratici che rendono complessa la riqualificazione dei vecchi impianti. Quasi tutti gli stadi italiani sono di proprietà comunale, oppure, come nel caso dell’Olimpico, appartengono ad altri enti (segnatamente al Coni), e non possono essere alienati ai privati (se non in concessione per periodi limitati) in quanto beni di pubblica utilità. Nessuno del resto investirebbe nel rinnovamento di un bene senza garanzie di ritorno economico, malgrado la situazione paradossale per cui molti comuni sarebbero ben felici di cedere le strutture delegandone così i problemi di gestione che comportano.

Per tali ragioni nel nostro panorama risulta più fattibile l’idea della costruzione di nuove arene, spesso in periferia (sembra quasi che urbanisticamente gli stadi costituiscano un problema per il tessuto cittadino, circostanza non scontata se si pensa che gli antichi anfiteatri, come il Colosseo, erano in pieno centro), con conseguente cementificazione di ulteriori porzioni di territorio. Ad oggi solo il comune di Bergamo ha venduto lo stadio Atleti Azzurri d’Italia all’Atalanta per 9 milioni di euro, nel 2017. A maggio di quest’anno inizieranno i lavori di restyling dell’impianto (l’originale è del 1928, di buon pregio architettonico, in particolare per quanto riguarda la copertura della tribuna ovest, che aggetta di 13 metri sul campo, con geometrie strutturali ardite per l’epoca e per questo sottoposta a vincolo della Soprintendenza), che consisteranno nella demolizione e ricostruzione delle due curve, che saranno coperte e avvicinate al campo.

Gli stadi di proprietà delle squadre attualmente in A sono solo cinque. Oltre all’Atalanta sono proprietarie dell’impianto in cui giocano il Sassuolo, il Frosinone, l’Udinese e la già citata Juventus. Le ultime due hanno avuto dai rispettivi comuni l’area per (ri)costruire lo stadio in concessione a 99 anni, equiparata a una cessione per quanto concerne la gestione economica delle entrate. L’Allianz e la Dacia Arena sorgono così su terreni pubblici gestiti da privati. La Juventus, dopo aver preso in concessione l’area nel 2002 e presentato un progetto di ristrutturazione del Delle Alpi, ha in seguito preferito abbatterlo e ricostruirlo. A Torino e Udine, come in quasi tutti gli altri interventi del genere, è stata eliminata la pista di atletica ed è stato ridotto il numero di posti.

La Dacia Arena è uno degli stadi più riconoscibili d’Europa, grazie alla tribuna sormontata da un arco in cemento armato che sorregge la copertura, e che rimanda ai progetti visionari per l’E42, ovvero l’esposizione mondiale che si sarebbe dovuta tenere all’Eur, la cui opera principale – mai realizzata – avrebbe dovuto essere un arco di dimensioni colossali. L’Udinese, una volta acquisiti i diritti sull’area del vecchio Stadio Friuli, ha sostituito quasi per intero la struttura del 1976 (eccezion fatta per la tribuna sormontata dall’arco) spendendo 25 milioni, compensati dalla presenza nell’impianto di nuove attrattive. Per il Sassuolo (che gioca a Reggio Emilia), l’acquisizione è stata più facile, poiché il vecchio stadio del Giglio (costruito nel 1995 e già casa della Reggiana) era un impianto privato.

Il Benito Stirpe di Frosinone (che fino a un paio di stagioni fa giocava nel vetusto Matusa) ha invece una storia particolare. La costruzione del suo antesignano, il Casaleno, risale al 1987, e avrebbe dovuto essere portato a termine con i fondi di Italia ’90 ma restò incompiuto. Per anni è stato utilizzato per gli allenamenti della squadra di casa, pur versando in gravi condizioni di degrado (a un certo punto crollò la copertura della tribuna a causa di una nevicata). Il comune ha provato a concluderne la realizzazione tramite operazioni di project financing, senza riuscirvi fino a che, a seguito della promozione in A, non ha bandito una gara per i lavori di ristrutturazione e la conseguente concessione per 45 anni, che la società di Maurizio Stirpe si è aggiudicata per 20 milioni. L’opera di rinnovamento è stata eseguita con cura, il Benito Stirpe spicca per eleganza e sobrietà, tanto da essersi meritato la candidatura allo Stadium of The Year 2017 (il premio è andato allo Stadion Luzhniki di Mosca). Sull’esempio di Frosinone si sta muovendo Empoli per la riqualificazione del Castellani, dedicato all’attaccante morto nel campo di concentramento di Mathausen. In questo caso il project financing servirà a finanziare il rifacimento di tutti i settori dello stadio tranne la Tribuna Maratona che, almeno strutturalmente, verrà conservata. Come sempre sarà eliminata la pista d’atletica e per una volta verrà aumentata la capienza, che passerà da 14.000 a 20.000 posti.

Un restyling in grande stile sarà quello che riporterà alla luce le originarie e splendide strutture del Dall’Ara, a Bologna. Inaugurato nel 1926 è stato il primo monumento sportivo del regime fascista, nonché il primo stadio moderno d’Italia. Grazie alla ristrutturazione sancita dall’accordo tra il presidente Joe Saputo e il Comune, il Dall’Ara tornerà a esibire i suoi richiami classici, costituiti dal doppio ordine di archi sovrapposti che ne caratterizzano il perimetro. Come al solito verrà eliminata la pista d’atletica, ridotta la capienza e gli spalti saranno coperti totalmente, ma il velarium sarà trasparente per consentire la vista sui colli e sulla torre di Maratona.

A Cagliari invece, al posto del Sant’Elia, verrà realizzato un impianto da 30.000 spettatori. I progettisti hanno dichiarato di essersi ispirati a Grazia Deledda e ad alcuni elementi identitari della città: il mare, il centro storico, le scogliere e la macchia mediterranea. Al di là dell’uso retorico che si fa di questi espedienti nell’architettura contemporanea, bisogna riflettere sull’esigenza di legare al territorio un monumento. Necessità mostrata anche dal progetto della Roma, che scimmiotta banalmente il Colosseo, come da quello, più fine ma di più difficile realizzazione, della Fiorentina. Il Franchi, progettato da Nervi, è vincolato al massimo livello e quindi intoccabile. Sarebbe dunque necessario costruire un nuovo impianto ma la sua realizzazione appare al momento appesa a una serie di variabili difficili da coniugare. Il disegno della nuova ipotetica casa della Viola è stato realizzato dallo studio di ingegneria ARUP, che ha progettato alcuni degli stadi più belli al mondo (e che sta lavorando al completamento nientemeno che della Sagrada Familia). L’idea architettonicamente prova a istituire un legame formale con la città: l’impianto dovrebbe avere un basamento ottagonale, con chiari rimandi alle geometrie fiorentine, mentre la forma delle tribune allude a un fiore (un richiamo al giglio o, se preferite, a Santa Maria del Fiore).

Costruire uno stadio in Italia oggi è difficile, aiuterebbe una grande manifestazione che manca ormai da trent’anni; nel frattempo non ci resta che sperare che gli equilibrismi politici vadano in porto, che non saltino fuori rovine troppo maestose e che qualche comune decida di gettare il cuore oltre l’ostacolo (del danno erariale), e finalmente così riusciremo ad avere impianti abbastanza telegenici da non sfigurare in un mosaico interattivo con Bundesliga e Premier League.

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Dal numero 26 di Undici