Guardiola e Klopp sono andati oltre

Come il duello tra City e Liverpool ha portato la Premier a un livello superiore.

Dopo una Premier League dominata con 100 punti, miglior risultato di sempre, il Manchester City è riuscito a ripetersi, chiudendo il campionato a quota 98. Ma stavolta ha dovuto aspettare il fischio finale dell’ultima giornata per portare a casa il titolo in back-to-back, perché senza quel 1-4 in rimonta sul campo del Brighton i Citizens sarebbero stati scavalcati dal Liverpool, che invece ha chiuso secondo, a 97 punti (la terza quota più alta nella storia della Premier). «Niente di tutto questo dovrebbe accadere», aveva scritto Ryan O’ Hanlon su Espn prima ancora dell’ultimo turno di campionato, riuscendo a racchiudere in una sola frase una stagione senza precedenti in Inghilterra.

Una stagione in cui Manchester City e Liverpool si sono sfidati in un testa a testa che li ha costretti a ricercare settimana dopo settimana vette di eccellenza inesplorate: i primi hanno dovuto vincere le ultime 14 gare di campionato per sollevare il titolo, mentre il Liverpool è arrivato secondo pur perdendo una sola volta da agosto a maggio. Insomma, le formazioni allenate da Guardiola e Klopp hanno sostanzialmente giocato un altro sport rispetto alla concorrenza (come testimoniano i 25 punti di margine tra Liverpool e Chelsea, che ha chiuso terzo).

Una rivalità, durata tutto l’anno, estenuante e senza margine di errore che li ha costretti a inseguirsi e superarsi a ogni puntata, per portare ogni volta in campo una versione perfezionata di sé. Eppure senza quell’aria di pungente ostilità che si propaga fuori dal campo e prende talvolta le forme di provocazioni in conferenza stampa o, peggio, insulti in mondovisione, come è capitato spesso in precedenti volate simili. Non ultimo, proprio con Guardiola protagonista insieme a Mourinho, nel costante agone tra Real Madrid e Barcellona a cavallo tra i primi anni Dieci del Duemila. Al contrario, Klopp e Guardiola, City e Liverpool, hanno più volte dimostrato la loro stima per l’avversario. I due tecnici si sono guardati con ammirazione tutto l’anno sapendo di avere tra le mani una sfida all’altezza della loro competitività. Una rapporto che paradossalmente ha portato, sul campo, ad avvicinare concettualmente due squadre.

La necessità di migliorarsi costantemente ha costretto Guardiola e Klopp a rimodellare la propria strategia aggiornandola ancora e ancora. Il Liverpool, per essere così costante sul lungo periodo, nel suo percorso di crescita stagionale ha saputo e dovuto imparare ad avere una dimensione più orizzontale, votata al palleggio e al controllo del possesso. Mentre il Manchester City ha dato esempi di verticalità e di aggressività nel pressing che hanno ricordato i Reds di Jürgen Klopp. Una prossimità tattica che fa parte del gioco, dell’inseguimento e superamento costante del rivale. Lo stesso tecnico catalano ha spiegato più volte che l’alto tasso di difficoltà della (loro) Premier League è stata uno stimolo costante: «Dopo quel che abbiamo fatto la scorsa stagione siamo riusciti ad alzare ancora il livello. Le altre squadre se ne sono accorte, ma soltanto il Liverpool è riuscito a stare al passo. Sono stati incredibilmente costanti e abbiamo dovuto vincere 14 partite di fila per essere campioni. Il Liverpool ci ha aiutato a essere qui, perché negli ultimi due mesi sapevamo che non avevamo possibilità di perdere un singolo punto. Hanno fatto una stagione incredibile, ma noi siamo stati leggermente migliori», ha detto il tecnico catalano nell’ultima conferenza stampa post-partita.

L’imperativo a cercare e trovare soluzioni sempre nuove nella proprio rosa ha costretto gli allenatori a chiedere ai loro giocatori anche più di quel che si aspettavano a inizio stagione. Lo si è visto nel campionato mostruoso della coppia di terzini del Liverpool Alexander-Arnold e Roberson (12 assist il primo, 11 il secondo); nella leadership di Virgil van Dijk, votato miglior giocatore del campionato; o nel fatto che due giocatori del tridente di Klopp abbiano chiuso – con 22 gol – in vetta alla classifica marcatori (al pari di Aubameyang). E se Salah era atteso al varco dopo l’exploit della scorsa stagione, per Mané non era affatto così: il senegalese – che aveva proprio nella freddezza sotto porta e nel fiuto del gol i deficit del suo gioco – è il simbolo di un miglioramento che per il Liverpool è diventato una necessità dovuta alla competitività della sfida con il City, ma anche una conseguenza della stessa.

E a questo si è aggiunto il lavoro di Klopp, che ha dovuto incastrare perfettamente tutte le tessere del mosaico per fare in modo che l’upgrade dei singoli giocatori trovasse nel gruppo e nel gioco di squadra un moltiplicatore che permettesse di tenere il passo dei campioni in carica. Ma per il City vale lo stesso discorso. Anzi, come ha scritto Rory Smith sul New York Times, nella squadra di Guardiola il principio olistico per cui il valore finale della squadra va molto oltre la semplice somma dei singoli giocatori, vale ancor di più. E lo si legge nella stagione fenomenale di Laporte (in gol anche all’ultima giornata, dopo una stagione da 50 presenze su 60 partite della squadra); nell’esplosione definitiva di Bernardo Silva; nei 21 gol di Agüero (32 stagionali); nei miglioramenti di Sterling, che è riuscito ad andare oltre le già ottime prestazioni della scorsa stagione e dei Mondiali in Russia.

I nuovi standard di eccellenza segnati in questa stagione da City e Liverpool aprono spazio a una riflessione sulla possibilità o meno, per le rivali, di spezzare questo dualismo. Intanto per una semplice questione numerica: il solco di venticinque e più punti che separano le due di vetta dal resto delle big six del calcio inglese non sembra colmabile nel breve periodo. Anzi, è probabile che appeal, liquidità e capacità dei due tecnici di creare sempre nuovi stimoli, City e Liverpool possano aggiungere ancora qualcosa alle loro prestazioni. E allora questo dualismo, che a dire il vero è iniziato già l’anno scorso (anche se con tratti diversi, perché in campionato non c’è stata rivalità vera e propria), sembrerebbe destinato a durare ancora per diversi anni, a meno di clamorosi plot twist – magari un trasferimento di Guardiola e/o Klopp.

I record di Liverpool e Manchester City ricordano i testa a testa tra Real Madrid e Barcellona (anche lì era coinvolto Guardiola) all’inizio degli anni Dieci del Duemila, in stagioni segnate da un costante aggiornamento dei record della Liga. Una rivalità che ha anticipato quella che poi si è rivelata come la golden age del calcio spagnolo (un’epoca che ha portato in dote cinque Champions League e quattro Europa League in cinque stagioni). Chissà che Guardiola e Klopp, City e Liverpool, non possano fare da apripista per un nuovo ciclo dominante del calcio inglese anche sul piano internazionale. Per il momento, nella stagione della campionato più avvincente di sempre in Premier League, ci sono quattro squadre inglesi nelle due finali continentali. Il resto della storia ancora si deve scrivere.

 

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