In Herr Pepp, il libro cui si è dedicato su invito e al seguito di Guardiola durante la sua prima stagione al Bayern Monaco, Martí Perarnau ha decifrato il catalano con una accuratezza senza precedenti: nel rapporto con la famiglia, con i giocatori, con lo staff, con i dirigenti. Con i rivali, anche. Tornare su Herr Pepp oggi, con questa prospettiva, è un modo efficace per recuperare le origini della contrapposizione tra Guardiola e Jürgen Klopp. Di quest’ultimo Perarnau si chiedeva senza mezzi termini se con gli anni sarebbe diventato il Mourinho tedesco, aggiungendo: «Il paragone è dal punto di vista della tattica e delle strategie in campo; […] Klopp ha un carattere simile a quello del portoghese». Perarnau osserva le diverse priorità di Guardiola e Klopp nel bel mezzo di un cooling break: «Mentre i suoi giocatori si stanno reidratando», scrive, «l’allenatore del Borussia si dirige dai suoi difensori per dargli ulteriori istruzioni; qualche metro più in là, Guardiola sta andando verso i suoi attaccanti. Questa immagine contrastante rappresenta perfettamente la differenza di strategia dei due rivali».
La cornice di queste osservazioni è un contesto turbolento: coincide con la prima uscita ufficiale del Bayern di Guardiola, e anche con la sua prima sconfitta. La Supercoppa di Germania finisce nella bacheca del Borussia. Perarnau descrive il Dortmund di Klopp come una squadra cui non interessa avere il pallone, e che anzi si trova a suo agio se può aspettare e poi lanciarsi avanti all’improvviso. Più precisamente: «Non ha bisogno della palla tra i piedi perché è capace di dominare lo spazio in maniera intelligente». Il quadro restituito dalle parole di Perarnau evidenzia una contrapposizione netta, forte, tra due modi di pensare al calcio: Guardiola di qua e Klopp di là. Una dicotomia che dopo quattro anni sembra aver perso una parte consistente della sua forza magnetica.
Lo scorso gennaio, alla vigilia di Liverpool-Manchester City, un giornalista chiese a Guardiola di spiegare tecnicamente quali fossero le differenze tra le due squadre. Una domanda ambiziosa, forse troppo per le tempistiche di una conferenza stampa, a cui Pep rispose in maniera elusiva: «Giocano bene, provano sempre a farlo», disse dei Reds. «E quello che vogliamo fare noi è piuttosto simile. Alla fine dei conti la vera differenza la fanno le caratteristiche dei giocatori». Pochi mesi dopo, ad aprile, sul sito ufficiale del Liverpool uscì un articolo sul rapporto tra Guardiola e Klopp che comprendeva alcune considerazioni in virgolettato del tedesco. Tra queste una merita una certa attenzione: «Non credo ci sia grande differenza [tra gli stili di gioco], semplicemente Pep ha sempre avuto squadre più forti di me!». Non era sua intenzione – lo precisa in fondo – svilire le differenze che separano Liverpool e City nel modo di stare in campo, ma sosteneva a più riprese che queste non fossero così enormi e che soprattutto fossero meno evidenti rispetto ai tempi di Bayern e Dortmund.
Un altro riferimento in questo senso lo ha offerto Jonathan Wilson con un recente pezzo sul Guardian in cui ripercorreva il 2018 dal punto di vista dei trend tattici. Isolando come premessa le eccezioni rappresentate da Francia e Real Madrid, Wilson scrive: «Ovunque ha dominato un calcio fatto di pressione e possesso. Con variazioni, ovviamente: il calcio di Guardiola non è identico a quello di Klopp. Però i principi di fondo sono gli stessi: pressare con aggressività per riconquistare il pallone il più in alto possibile, tentare di attaccare con una transizione veloce e, se non ci sono le condizioni per farlo, mantenere il possesso fino a quando non vengono a crearsi». Volgendo lo sguardo agli anni passati – al Klopp di Dortmund e al Guardiola di Barcellona – è evidente come le linee di contrasto tra le due filosofie si siano col tempo progressivamente assottigliate. Dal Bayern al City Pep si è aggiornato e ha costruito, anche in adattamento alla Premier League, una squadra strutturalmente più rapida con meccanismi offensivi ancora più avanzati che lo hanno portato al record delle 106 reti segnate al termine della scorsa stagione. E anche Klopp, che fino a non molto tempo fa non si era mai discostato realmente da Gegenpressing e transizioni accelerate, ha sviluppato con il suo Liverpool un maggior grado di flessibilità che oggi fa dei Reds una squadra complessivamente meno frenetica e più a suo agio nella fase di controllo rispetto a quanto non lo fosse il suo Borussia Dortmund. Servendosi di una metafora musicale, Adam Bate ha scritto: «In questa stagione il suo calcio heavy metal sta facendo spazio ad un suono più dolce».
A proposito dei Reds, un dato eloquente in questo senso è quello riferito alla precisione dei passaggi in questa stagione, l’85% dei quali va a buon fine: da quando il sito ufficiale della Premier pubblica le statistiche a questa voce nessun Liverpool ha fatto meglio. Resta indubbio che il City sia su un altro livello, e non solo perché con l’89% di passaggi riusciti ha il record di precisione in Premier, ma anche perché resta per distacco la squadra con il maggior possesso palla medio. Il gradino più alto del podio è dunque dei Citizens (67%) e il secondo spetta al Chelsea di Sarri (65), mentre il terzo se lo gioca proprio il Liverpool di Klopp (60) con Arsenal (59) e Tottenham (57). Tra i Reds il giocatore con più passaggi all’attivo è Van Dijk, il più pagato della storia del Liverpool appena dodici mesi fa.
E per restare sul tema trasferimenti il secondo investimento più costoso è stato Alisson, che come da pronostici in questo inizio di stagione si sta rivelando il terzo portiere più preciso del campionato dietro a Kepa e Ederson. Entrambi, il primo in particolare, sono emblematici di un Liverpool più versatile e più assimilabile al City in termini di principi fondamentali. In una analisi tattica dei Reds pubblicata a metà novembre Oliver Miller scriveva precisamente di questo aspetto: «In questa prima parte di stagione l’approccio del Liverpool alle partite è cambiato: aspira di più al controllo e si affida ad una difesa ben strutturata». A questo aspetto va aggiunta una ulteriore considerazione relativa ai contropiedi, una soluzione tuttora ricercata spesso dai Reds ma che sta portando meno frutti rispetto alla scorsa stagione: il Liverpool è la seconda squadra della Premier per contropiedi tentati (58), ma appena la tredicesima per contropiedi conclusi con un tiro (6). Non è un caso che delle 58 reti segnate da agosto ad oggi soltanto tre (due di Salah ed una di Mané) siano scaturite da azioni in campo aperto.
Tra le stagioni 2016/17 e 2017/18 Guardiola e Klopp si sono incrociati sei volte, quattro in Premier e due in Champions League. Al di là dei risultati – la strategia dei Reds ha sempre avuto la meglio tranne che in una occasione, il 5-0 dell’Etihad di un anno fa – l’andamento delle partite ha sempre mantenuto due costanti: il City controllava il pallone aspettando lo spazio, il Liverpool controllava lo spazio aspettando il pallone. Quest’anno invece le cose sono andate diversamente: in occasione del loro primo incontro Guardiola ha scelto un approccio più conservativo, e di risposta Klopp non ha giocato al ribasso affrontando i Citizens più o meno a viso aperto. Ne è venuto fuori uno 0-0 frutto di una gara bloccata e con pochi acuti, in cui l’unico vero momento saliente è stato il rigore calciato alle stelle da Mahrez. Ora, interpretare quella partita come una inversione di rotta dal punto di vista tattico della rivalità tra City e Liverpool sarebbe certamente azzardato, ma può rappresentare comunque una chiave di lettura nuova per osservare due squadre – e due allenatori – i cui principi generali sono oggi molto simili.
Nel sottosuolo dei dettagli ci sono numerosi aspetti che potrebbero trasformare l’accostamento tra City e Liverpool in una forzatura: basti pensare alle differenti modalità con cui Guardiola e Klopp sfruttano il contributo delle ali e dei terzini nei rispettivi 4-3-3, o alla gestione del pallone che le due squadre mettono in pratica (più ordinata e naturale quella del City, più caotica quella dei Reds). Gli stessi due interessati, quando vengono interrogati sulle caratteristiche dell’altro, tendono a evidenziare aspetti diversi: Klopp apprezza il City per come è in grado di posizionarsi sul campo, di tenere in pugno la partita, di sfruttare la velocità, mentre Guardiola solitamente elogia il Liverpool per la sua capacità nelle transizioni e ne sottolinea la solidità. Peculiarità diverse, senza dubbio. Eppure da una prospettiva generale le parole di Wilson sopracitate continuano ad apparire calzanti: non parliamo di due sistemi di gioco identici, ma fondati sugli stessi presupposti di «press and possess». E quindi Perarnau si sbagliava, Klopp non è e difficilmente diventerà un Mourinho tedesco: la rivalità con Guardiola, quella costruzione astratta per cui ciascuno trae dall’altro uno stimolo al perfezionamento, prima che sulle distanze si fonda sulle affinità.