Auguri Monte Carlo, terra di motori e assurdità

Compie 90 anni la gara più ricca e affascinante della Formula Uno.
di Benny Casadei Lucchi

Monte Carlo ha costruito la propria fama e grandezza sulle stonature e i contrasti. È così da sempre. Dal tredicesimo secolo, quando a litigarsi questo porticciolo erano francesi, spagnoli e genovesi. Stonature e contrasti hanno reso un paesello arroccato celebre nel mondo quanto Roma, Parigi e New York, trasformando la nobile Rocca nel suo Colosseo, il porto nella sua Eiffel, i grattacieli sfrontati nella sua grande mela a picco sul mare. Nella patria del contrasto tutto può accadere. Nel Principato le stonature diventano soldi e i soldi melodia. Come quella suonata ogni giorno silenziosamente dai quattro casinò; o quella rumorosa eseguita due volte l’anno, prima dal Rallye e poi dal Gran premio. Una melodia assurta nel tempo a inno e vessillo di questo Stato di contrasti.

 

Monte Carlo è costituzionalmente stonata. Visivamente, lo erano anche Ranieri III, il principe che ha reso Monaco quella che conosciamo, e Grace Kelly. Lui sgraziato, lei regale. Lui terrestre, lei marziana. Lui, al netto del titolo principesco, uomo come tutti noi, lei una dea con titolo o senza titolo. Mai, però, Monte Carlo è stata stonata come oggi, oasi di benessere e sorrisi patinati incastonata tra la Francia dei gilet gialli, le vetrine rotte, le auto incendiate, e l’Italia gialloverde dei redditi di cittadinanza e le quote cento. Oggi enclave di ricchi e arricchiti che non pagano tasse e vivono circondati dai populismi e da gente malestante tassata nello spirito e nel portafogli da crisi e governi claudicanti. Oggi, soprattutto, che poggia la propria fama e neutralità non su banche e forzieri come la Svizzera, ma sul gioco d’azzardo, il turismo e l’eterno fascino delle corse e del binomio donne e motori. Chi si priverebbe mai di un simile Eden? Chi invaderebbe mai questo Stato-resort che ha fatto dei contrasti con il resto del mondo la propria Muraglia?

Naturale che in un Paese così diventi assolutamente coerente far correre delle automobili a trecento chilometri all’ora lungo vie dove bisognerebbe invece mantenere i trenta orari. Quest’anno sono novant’anni che va avanti in questo modo. Le leggi non scritte delle corse dicono che sia pericoloso sfrecciare su strade strette e senza spazi di fuga; dicono che frenare e curvare a ridosso del mare non sia il massimo perché un guasto, una distrazione e, oplà, si finisce sparati fra le onde. O fra gli yacht. Le leggi del buonsenso applicato alle corse dicono che tribune troppo vicine fanno vedere meglio e rischiare peggio; dicono che pigiare l’acceleratore in pieno centro sia da idioti; dicono che a sgasare dentro i tunnel se si perde il controllo è la fine del mondo. Nel Gran Premio di Monte Carlo, invece, tutto questo c’è. Sarebbe follia e tentato omicidio ovunque però non qui. Perché contrasti e stonature sono la melodia di questo pifferaio magico che sa come attirare l’attenzione del mondo. Attenzione che diventa curiosità; e curiosità che si trasforma in un’eco capace di spingere le persone a entrare nel Principato. Chi per viverci se è milionario, chi per curiosare e spendere se è un turista. Comunque sia, a portare soldi.

Di questa terra di contrasti, Charles Leclerc è l’emblema. Primo esemplare di un monegasco alla guida della Ferrari di Formula Uno. Esemplare unico per un Paese cosparso di ricchezza che ha fatto dei bolidi di Maranello un simbolo cittadino e l’auto da regalare ai propri rampolli neopatentati. Un Paese che fino a oggi, però, non era mai riuscito a regalare a se stesso un pilota sulla Rossa più Rossa. Adesso, invece, ce l’ha. E Charles è perfetto per talento, eleganza dei modi e algida gentilezza. Ma ha un difetto che nella patria delle stonature è un pregio: ha imparato a guidare su un’utilitaria.

 

Dal numero 27 di Undici
Immagini Getty Images
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