Cosa ricorderemo di questa Serie A

L'impatto di Ronaldo e Quagliarella, l'impresa dell'Atalanta, il crollo di Roma, Fiorentina e Genoa.

La 117esima edizione della Serie A è andata in archivio con l’ottavo scudetto consecutivo della Juventus, con la retrocessione del Chievo, con la conferma del Napoli come seconda forza del campionato. Ne è stata protagonista l’Atalanta di Gasperini, che si è divertita e ha fatto divertire, e ne è stata protagonista la Spal, che con Semplici si è salvata di nuovo. Insomma, i temi da affrontare una volta chiusi i battenti sarebbero svariati: qui è dove abbiamo messo in fila alcuni tra quelli principali.

 

La lotta per i posti in Champions League

Se il duello per il titolo non è mai realmente esistito, la Serie A 2018/19 ha offerto comunque un finale degno di nota per le zone alte della classifica. Quattro squadre in tre punti – Atalanta e Inter a 69, Milan a 68 e Roma a 67 – e una serie di avvicendamenti che hanno lasciato tutti in gioco e col fiato sospeso fino, almeno, all’intervallo delle gare di ieri. Per trovare una simile vicinanza tra la terza e la sesta classificata bisogna risalire alla stagione 2006/07, quando i punti tra Lazio terza e Fiorentina sesta furono solo quattro. Tra le due ‘vincitrici’ dello scontro a quattro ha avuto la meglio l’Atalanta, la squadra dai tratti tattici e strategici più forti, più identitari, probabilmente anche quella con meno pressioni. Il gioco di Gasperini ha esaltato una rosa che, secondo le previsioni, non avrebbe avuto i numeri e la qualità assoluta per puntare a un piazzamento europeo. Invece, la forza di un progetto manageriale e di gioco pienamente condiviso ha portato la Dea fino alla prima, storica qualificazione in Champions League.

Per le due squadre milanesi, la stagione è stata a dir poco contraddittoria: l’Inter di Spalletti ha dovuto far fronte a qualche intoppo in più, si è complicata la vita nel finale, ma è comunque riuscita a confermare il quarto posto e la qualificazione in Champions. Più rumoroso il fallimento del Milan, una squadra costruita con una certa ambizione nelle ultime due sessioni di calciomercato eppure troppo altalenante nella qualità del gioco per poter raggiungere il quarto posto.

La prima stagione di Cristiano Ronaldo in Italia

A voler essere impietosi, c’è un dato di fatto che inchioda il pur ottimo esordio di Cristiano Ronaldo con la maglia della Juventus ad un giudizio più cauto di quanto si sarebbe potuto prevedere ad agosto. Per trovare una stagione in cui ha segnato così ‘poco’ – 28 reti in tutte le competizioni – bisogna scavalcare l’intera esperienza madrilena e tornare all’ultima annata con il Man United, quando di gol ne fece 26. Si potrebbe insistere, anche, sul fatto che dopo tre Champions vinte negli ultimi quattro anni con il Real la sua prima esperienza in bianconero in Europa sia stata un po’ quella del predicatore nel deserto. O sul fatto, paradossale, che la Juventus sia andata a prenderlo perché si era stancata del solito doblete e abbia finito per ritrovarsi in mano soltanto lo scudetto.

Ci sono tuttavia due dimensioni da tenere separate. Una riguarda la prima stagione della Juventus con Cristiano Ronaldo, e si lega ad un giudizio appena sufficiente. L’altra riguarda il portoghese, che dopo un breve periodo iniziale di ambientamento è stato semplicemente decisivo nella maggior parte delle gare che ha giocato. Anche se con numeri più umani rispetto ai suoi standard, ha segnato e servito assist a ripetizione in campionato e lo ha fatto, quando contava, anche in Champions League. Soprattutto, lo ha fatto in un contesto di squadra più a suo agio nella gestione, dunque poco propenso a spingersi verso risultati più rotondi una volta acquisito il risultato. Tra le cinque vincitrici del campionato tra Premier, Liga, Bundes e Ligue 1, la Juventus è stata per distacco quella che ha segnato meno reti: 70, a fronte di una media di 95 tra Man City, Psg, Bayern e Barcellona. Se Cristiano non si è spinto oltre le 22 marcature in Serie A, parte delle ragioni sono da ricercarsi anche qui.

Lo splendido gol di Ronaldo contro l’Empoli

Il tracollo di Genoa e Fiorentina

Entrambe salve all’ultima giornata, “protette” (se non addirittura “salvate”) dalle ambizioni europee dell’Inter – che aveva bisogno a tutti i costi dei tre punti contro l’Empoli – Fiorentina e Genoa hanno concluso la loro stagione in maniera perfettamente coerente, ovvero senza vincere. L’ultimo successo dei rossoblu risale al 17 marzo, mentre per trovare quello dei viola bisogna andare ancora più indietro, addirittura fino al 17 febbraio (vittoria per 4-1 in casa della Spal).

Il 16esimo e 17esimo posto conquistati a discapito dell’Empoli – nonostante le tre vittorie consecutive nel finale di stagione della squadra di Andreazzoli – certificano numericamente due annate tragiche: il Genoa pareva destinato ad una salvezza più che tranquilla ed ha finito – ceduto Piatek – per andare a un passo dall’autodemolizione; la Fiorentina aveva iniziato la stagione mirando al settimo posto e l’ha chiusa, dopo stravolgimenti di vario genere, con nitidi segnali di rivoluzione. Un doppio, silenzioso tracollo.

Il primo anno di Milik senza infortuni

La stagione del Napoli si apriva ad agosto con diverse incognite, e quasi tutte ruotavano attorno al passaggio di consegne tra Maurizio Sarri e Carlo Ancelotti. Sullo sfondo, questione a sé, restava il terzo tentativo di Arkadiusz Milik, che nelle prime due annate napoletane aveva messo insieme appena 1400 minuti e 14 reti realizzate. Quella conclusa sabato a Bologna è stata la sua prima senza infortuni, quindi la sua prima per numero di presenze – 45 – e, soprattutto, per numero di reti segnate: 20.

Per un Napoli che in estate si era mosso sul mercato con cautela, Milik è stato insieme a Fabián Ruiz il più riuscito dei nuovi acquisti. Pur avendo registrato in chiusura di stagione il maggior numero di gare di fila senza andare a segno (6) il polacco è quinto insieme a Mertens nella classifica degli attaccanti con la miglior quota di gol per minuti giocati (uno ogni 141′), preceduto soltanto dagli attaccanti – Quagliarella, Zapata e Cristiano Ronaldo – che si sono contesi il titolo di capocannoniere nelle ultime settimane. Un modo, uno dei tanti, per certificare che Milik è tornato, e vale l’investimento che il Napoli ha scelto ormai tre anni fa di fare su di lui. E nulla vieta che in futuro possa alzare ancora l’asticella.

Una delle 3 reti su punizione diretta realizzate da Milik, contro il Cagliari

Il caos gestionale della Roma

Dopo il  convincente terzo posto di un anno fa, unito alla spettacolare campagna europea della squadra di Di Francesco, alla Roma è successo di tutto. A partire dalla rivoluzione estiva, con le cessioni illustri e le numerose scommesse di Monchi in continuità con il mercato precedente, fino ad arrivare alla pessima gestione del futuro di De Rossi, passando per il doppio esonero di Di Francesco prima e dello stesso Monchi poi, l’arrivo di Ranieri. La parte giallorossa della Capitale è stata una vera e propria polveriera: il progetto sportivo è fallito perché non è stato in grado di proseguire, di evolversi, e come la maggior parte delle cose che non vanno avanti, è finito per tornare indietro.

Archiviata questa Serie A si ripartirà ancora, ma la sensazione è che la carenza di equilibrio e progettualità dentro la Roma  non sia un fattore di congiuntura. Dopo cinque anni consecutivi sempre sul podio (secondo posto nel 2014, 2015 e 2017, terzo posto nel 2016 e nel 2018), la misera sesta piazza con cui i giallorossi hanno chiuso il campionato ha un pessimo odore di smobilitazione. Un retrogusto che potrebbe essere addolcito soltanto ponendo già da ora le basi di un progetto vero, condiviso, difeso e partecipato all’interno del club giallorosso.

 

Gli attaccanti che non ci aspettavamo

Non più Immobile e Icardi, non più Higuaín e Dzeko. Non più gli attaccanti che si erano presi copertine – e titoli di capocannoniere – delle ultime cinque stagioni. La Serie A 2018/19 è stato il campionato dei bomber inattesi: di Piatek, che degli inattesi è stato senza dubbio il meno atteso; ma anche di Quagliarella,che ha vinto la classifica marcatori a 36 anni (26 reti) dopo dopo che nel 2018 aveva fissato il record personale di marcature in Serie A (19). Solo Toni a Verona è riuscito a farlo con una carta d’identità più sgualcita (22 reti a Verona nell’annata 2014/2015, a cavallo tra i 37 e i 38 anni).

E prendiamo Duván Zapata: 28 anni, un passato con più bassi che alti, mai sopra gli undici centri da quando è in Italia. Apparentemente destinato ad una carriera da metà classifica. Entra a far parte della straordinaria macchina da gol che è stata l’Atalanta di Gasperini, contribuisce ad alimentarla e ne esce a maggio con 28 gol in stagione, di cui 23 in Serie A. Per non parlare degli outsider veri e propri, Caputo e Petagna, 16 reti per entrambi e due riflessioni differenti da fare: il primo può e merita di restare nella massima serie; il secondo non è patologicamente allergico al gol come era apparso negli anni di Bergamo.

Quagliarella aveva aperto così la sua stagione: colpo di tacco volante contro il Napoli

I giovani migliori

Nell’anno in cui è partito il nuovo corso della Nazionale di Mancini si sono intravisti da più lati segnali incoraggianti dai giovani italiani. Nella Roma è emerso Zaniolo, che nei primi mesi ha messo insieme prestazioni di altissimo livello; nella Juventus ha trovato spazio Moise Kean; nella Fiorentina è esploso definitivamente Chiesa; nel Cagliari, Barella ha dimostrato di essere pronto per il salto di qualità definitivo. E ancora, per restare tra gli azzurri del presente e del futuro: Orsolini a Bologna, Mancini a Bergamo, Romagnoli alla prima stagione con la fascia al braccio al Milan.

Si sono notati meno, molto meno, i giovani stranieri. Il primo di Kluivert alla Roma è stato un anno di adattamento, e lo stesso discorso vale per Lafont a Firenze. Paquetá al Milan ha fatto vedere ottime cose, ma gli è mancato un pizzico di continuità: è tra i giovani da seguire con attenzione per il prossimo anno. Guardando verso il basso, al fondo della classifica, meritano una menzione le prime stagioni in A di Bennacer, Ionut Radu e Cristian Romero, mentre i più attesi tra chi già c’era – Bentancur e Cengiz Ünder – hanno brillato soltanto a tratti. L’eccezione a conferma di un trend ben definito, allargando di poco la cerchia dei giovani, è rappresentata da Fabian Ruiz. Uno che, a 23 anni ha ancora molto da far vedere.