Il momento di Cristiana Girelli

Intervista a una delle calciatrici simbolo della Juventus e della Nazionale italiana.

C’è stato un momento, all’inizio della sua carriera, in cui Cristiana Girelli non aveva assolutamente nessuna intenzione di giocare a calcio con le femmine. Aveva quattordici anni e fino ad allora se l’era sempre vista con i maschi: comprensibilmente anche, visto che lei era già una di quelle brave e le sue compagne, è facile immaginarlo, faticavano a starle dietro. Come racconta oggi lei con una risata, sono stati i suoi genitori a convincerla a non mollare, a prendere in considerazione la possibilità di militare nelle squadre femminili, lei piuttosto che giocare con delle pippe avrebbe smesso. «Il calcio femminile è più tecnico che fisico, perché ovviamente la conformazione fisica di un maschio in età adolescenziale è diversa da quella di una femmina. Riusciamo a tenere lo scontro con un ragazzo fino ai quindici anni, dopodiché è chiaro che si diventa troppo differenti», mi spiega mentre il fotografo le gira intorno per farle dei ritratti ravvicinati. «Ciò non toglie che poi quelli che vengono a vederci ci dicono “ah cavolo, però siete brave con il pallone”».

 

Pensa avere quattordici anni e dire a quelli del Bardolino Verona, che la notano nel 2004 nelle giovanili dell’A.S.D. Rigamonti Nuvolera, dove si è formata calcisticamente, «guardate che io a giocare con le femmine non ci vengo». Per fortuna poi che i genitori le hanno fatto cambiare idea, ché son quelle classiche cose che capitano una volta sola nella vita. A Verona Girelli ci è rimasta dal 2005 al 2013, collezionando 148 presenze in Serie A, segnando 67 gol, vincendo 4 scudetti, 3 Supercoppe italiane e 3 Coppe Italia. Nell’estate del 2013 si trasferisce a Brescia, vicino alla sua Gavardo, dove rimane per cinque stagioni (119 presenze, 99 gol, due scudetti, due Coppe Italia e quattro Supercoppe) fino a che, nel luglio del 2018, non firma con la Juventus Women.

Ha già segnato 12 gol con la maglia numero 10, la prima nella storia del team bianconero. Ha esordito nella Nazionale Under 19 nel 2006. Nella Nazionale maggiore, invece, è stata convocata per la prima volta nel 2012, ma la sua prima partita l’ha giocata un anno dopo, e cioè il 26 settembre 2013 contro la Romania, quando è entrata al 68esimo e al 93esimo ha segnato il gol della vittoria (e della qualificazione agli Europei). Ha vinto lo scudetto, tra pochi giorni ci saranno i Mondiali in Francia, che iniziano il 7 giugno.

Allo Stadium erano in 40mila per Juve-Fiorentina: «Quando ho fatto la borsa per uscire dallo spogliatoio ho pensato ai miei colleghi maschi, a quanto sono fortunati a vivere una cosa del genere ogni settimana» Cristiana Girelli è una delle calciatrici italiane più forti di sempre, insomma. La incontro a Torino il giorno dopo Juve-Fiorentina (finita 1-0) all’Allianz Stadium, mentre le arrivano le notizie sul record di spettatori, sugli spalti e su Sky Sport, dove è stata trasmessa la partita: a vederle giocare c’erano quarantamila persone, non era mai successo prima. Non in Italia. Com’è stato, con tutte quelle persone a fare il tifo? «Non volevo più uscire dal campo. Ho pianto, e anche parecchio. Di solito quando entro a vedere il campo prima della partita non c’è quasi nessuno, invece ieri era già pieno di persone e c’era un’atmosfera bellissima». Poi aggiunge: «Spero tanto che non sia l’ultima volta (che vediamo lo stadio così pieno, nda) ma sono convinta che non lo sarà. Quando ho fatto la borsa per uscire dallo spogliatoio ho pensato ai miei colleghi maschi, a quanto sono fortunati a vivere una cosa del genere ogni settimana». È pur sempre lo stadio di Cristiano Ronaldo, no?

Al di là della retorica da “empowerment” che ormai taccia tutto quello che ha a che fare con le donne, è innegabile che qualcosa stia succedendo nel calcio femminile italiano. I Mondiali arrivano a suggellare una stagione lunga in cui sempre più club, sponsor e media hanno rivolto le loro attenzioni al settore. E se c’è qualcuno che questo “movimento” lo può raccontare bene, una che con le femmine non ci ha voluto giocare finché non hanno dimostrato di essere brave almeno quanto lei, beh quella è Cristiana Girelli, classe 1990 e quattordici anni di sudata carriera alle spalle (i numeri e le statistiche non li abbiamo mica messi a caso).

«Le cose sono cambiate tanto ma troppo lentamente, si son buttati via tanti anni. Ci stiamo arrivando, perché alla fine l’Italia ha una storia calcistica importante e fortunatamente gli addetti ai lavori si sono accorti che bisognava investire, credere in questo momento femminile». Alla fine se ne sono accorti, e meno male, che Girelli gioca in Serie A dal 2005, ma finché non è arrivata alla Juventus mica lo considerava un lavoro. Funziona così da noi, le donne non hanno diritto d’accesso a una legge dello Stato (la n. 91 del 1981) che regola i rapporti tra società e sportivi professionisti, sono dilettanti con le medaglie d’oro. «Fino all’anno scorso vivevo la mia vita pensando solo a giocare, facendo tanti sacrifici, ma solo con la Juventus è cambiato il mio modo di guardare al calcio. Capisco di essere in una società che ambisce a vincere, come ho sempre fatto io, e adesso che ho la possibilità di vivere questa mia passione come un lavoro è il coronamento di tutto quello che ho fatto finora», mi dice schietta.

«Le cose sono cambiate tanto ma troppo lentamente, si son buttati via tanti anni. Alla fine, fortunatamente, gli addetti ai lavori si sono accorti che bisognava investire, credere in questo momento femminile»

Negli altri Paesi il movimento è iniziato prima e manco a dirlo sono più avanti di noi. Solo qualche anno fa Girelli avrebbe volentieri giocato all’estero per mettersi alla prova, oggi ci penserebbe due volte, c’è lo scudetto e a giugno quel Mondiale da giocare: «Non voglio pensare a questa qualificazione come a un punto d’arrivo ma come a un punto di partenza», ripete. «L’Italia manca da vent’anni al Mondiale (femminile, nda) e fa quasi paura a dirlo, anzi è pure un po’ vergognoso. Tutti gli altri anni (io tra l’altro ho fatto parte di quella squadra che nel 2015 ha perso ai playoff con l’Olanda) più di così non si poteva fare. Ma questa volta è diverso, è cambiata anche la fiducia che ognuna di noi ha nella Nazionale, entri in campo e vuoi vincere, prima entravi in campo e speravi di prenderne il meno possibile. È un cambiamento importante nella testa di noi giocatrici, talento e qualità ci sono sempre stati ma adesso vengono utilizzati nel migliore dei modi».

È un peso, anche, tutta questa attenzione, Girelli e le altre lo sanno bene, ma dopo tutta questa fatica non ci rinunciano certo: «Abbiamo una grande determinazione. Io mi auguro che tutto questo entusiasmo ci accompagni al Mondiale. È un appello che facciamo a tutti gli italiani, di starci vicino perché non andiamo in Francia per partecipare, vogliamo essere una grande sorpresa». Tifate per noi, insomma, ora che vi siete accorti che con il pallone ci sappiamo fare. Come le bambine e le ragazze che erano all’Allianz Stadium quel 24 marzo e l’hanno aspettata per chiederle una fotografia e un autografo; come i tifosi e le tifose che a Vinovo, dove lei e le sue compagne si allenano insieme agli uomini, hanno iniziato a riconoscerle, prima non le guardavano neanche; come sua nipote, che dopo la vittoria con la Fiorentina voleva andare all’asilo con la sua maglia; come il barista che nel servirle il caffè le ha rimproverato le traverse prese; come tutte quelle bambine che le scrivono sui social (su Instagram la seguono  in 37mila): «Quando ti dicono “vogliono essere come te” prima ti domandi “ma cos’ho fatto di speciale?”, e poi pensi è uno stimolo in più per diventare un punto di riferimento per tutte quelle bambine che iniziano oggi a giocare. Prima tante mamme mandavano le figlie a danza, adesso anche a giocare a calcio, è una cosa stupenda. Io non riesco a vedermi come un “idolo”, forse perché non ne ho mai avuti di miei, almeno non donne». Perché non ce n’erano.

 

«Prima tante mamme mandavano le figlie a danza, adesso anche a giocare a calcio, è una cosa stupenda»

Adesso c’è anche Cristiana Girelli, per esempio, e queste bambine sono fortunate, così come quelle giocatrici, in realtà solo di una manciata di anni più giovani di lei, che si ritrovano a vivere questo momento perché «hanno un futuro davanti. Io a 19 anni mi divertivo, non pensavo che sarebbe potuto diventare il mio lavoro». Ci sono anche quelli che dicono che all’Allianz erano in quarantamila solo perché era gratis: una vasta schiera di tristi minimizzatori, chiamiamoli così, che non sanno vedere la bellezza e la forza della differenza, e probabilmente non si sanno neanche divertire. «Faccio parte di quella generazione che ha letto i commenti stupidi di Carlo Tavecchio e Felice Belloli, ma ora siamo tre passi avanti rispetto a quel periodo, fortunatamente sono episodi che rimangono nel passato». Tre passi solo, perché ce ne sono ancora molti, prendi quelli che fanno i cori ridicoli e considerando il calcio femminile uno sport minore. Ma a Cristiana mica interessano, dopotutto «il calcio è calcio». Sai quanti ne avrà buttati a terra quando aveva quattordici anni.

 

Foto di Fabrizio Albertini
Dal numero 27 di Undici