La sfida dell’Italia, secondo Carolina Morace e Cecilia Salvai

Due protagoniste dell'Italia femminile raccontano le loro sensazioni alla vigilia del Mondiale.

Ad arricchire il racconto dei Mondiali femminili su Sky Sport, ci saranno due protagoniste, tra passato e presente, del calcio italiano: Carolina Morace e Cecilia Salvai. Carolina Morace è stata una delle giocatrici simbolo della Nazionale italiana femminile: ha segnato oltre 100 gol in azzurro, ed è stata il volto copertina dell’Italia della prima spedizione Mondiale, in Cina nel 1991. Dal 2000 al 2005 è stata anche ct delle Azzurre, mentre nell’ultima stagione ha allenato il Milan femminile. Cecilia Salvai, difensore della Juventus, è oggi un punto fermo della Nazionale, con cui ha all’attivo 31 presenze, ma un infortunio rimediato nella partita dello Stadium contro la Fiorentina le ha impedito di unirsi al gruppo delle convocate di Milena Bertolini. La sua assenza, però, dice Salvai, non pregiudica la forza dell’Italia: «Ho tantissima fiducia in chi giocherà, soprattutto al mio posto, ci sono Sara Gama ed Elena Linari che hanno anche più esperienza di me in campo internazionale. Conosco il gruppo, so quanto sono cariche e quanta voglia hanno di fare bene, sono super fiduciosa».

Fiducia è la parola d’ordine, in questa avventura dell’Italia, che torna al Mondiale femminile dopo vent’anni – «Ma è uno stimolo in più, non un handicap», dice Salvai. «Questa Nazionale non ha una Carolina Morace, una come me», dice l’ex attaccante azzurra, «ma il livello medio si è alzato». Il girone ci vede inseriti con Australia, Brasile e Giamaica: passano le prime due, ma anche da terza – le migliori quattro dei sei gironi – ha possibilità di qualificarsi. «L’Australia è la squadra più forte», dice Morace, «ma da due mesi ha cambiato allenatore per motivi interni e con la nuova guida tecnica hanno perso due partite su due, subendo otto gol. Per me è una squadra un po’ allo sbando, e si potrebbe approfittarne: ho visto grosse lacune a livello difensivo e sui calci piazzati. Anche il Brasile sulla carta è più forte, ma è un anno che non vince una partita, sono forti tecnicamente ma hanno qualche mancanza a livello tattico. Però hanno una grossa esperienza internazionale, sono giocatrici abituate a fare Mondiali a ogni categoria. Le nostre, invece, pagheranno lo scotto di giocare davanti a 80mila persone. Nelle nostre partite di avvicinamento al Mondiale c’erano 300 persone, le australiane invece giocavano davanti a 10mila spettatori».

È un aspetto di un gap che l’Italia accusa nei confronti di altre realtà, ma è solo uno dei tanti. Anche a livello fisico, le Azzurre potrebbero patire la differenza con le avversarie: «Oggi le atlete, almeno delle prime squadre del campionato, si allenano quanto i professionisti», dice Morace. «E poi vedo la loro altezza, quella di Cecilia per esempio, e vedo una generazione cresciuta, ragazze più alte rispetto a quelle che avevo io in Nazionale. Ma comunque continuiamo a pagare lo strapotere fisico delle avversarie, di struttura e non di allenamento». Un concetto espresso anche da Salvai: «Quello che oggi sta succedendo in Italia in altre nazioni è accaduto dieci, quindici anni fa. Le bambine cominciano a fare percorsi da atleta sin da piccole, crescono con una mentalità diversa, grazie all’ingresso delle società professionistiche che mettono a disposizione strutture e personalità preparate. Io a dieci anni giocavo nel campetto di casa, mentre oggi le bambine hanno la fortuna di giocare nella Juventus: perciò, nei prossimi anni, il livello sicuramente si alzerà tantissimo».

Ma ci sono altre conquiste da inseguire, sottolinea Morace. «Questo Mondiale non dev’essere visto come un traguardo, ma come l’inizio di qualcosa. Per esempio, forse è il momento di organizzare in Italia un Mondiale o un Europeo. E poi dobbiamo fare qualcosa per rendere questo campionato più competitivo. Vedo, dopo l’ingresso delle squadre professionistiche che certamente hanno mosso tantissimo, un leggero impasse. Se in Italia c’è la regola di due extracomunitarie e undici italiane in panchina, ed è una regola che negli altri Paesi non esiste, è ovvio che quando ti misuri con squadre straniere, magari in Champions League, non sei competitivo. Così come è penalizzante avere il tetto massimo degli stipendi, ed è logico che le calciatrici più forti rifiuteranno l’Italia e preferiranno andare in Inghilterra, Francia o Germania. Ci sono Nazionali, come quella australiana, che fanno firmare alle loro giocatrici dei contratti in cui c’è la clausola di non giocare nel campionato italiano, perché considerato un torneo non all’altezza».