Un contratto in scadenza a fine giugno e nessuna squadra che gliene offre un altro. Almeno finora. Nel paradossale 2019 di Adrien Rabiot, la situazione più assurda è quella legata al suo trasferimento a parametro zero, che fatica ad arrivare. L’addio al Psg è scontato dalla fine del 2018, quando di fatto si è chiusa la sua stagione di calcio giocato: dall’inizio del nuovo anno il centrocampista francese classe ‘95 non ha visto il campo, proprio a causa del mancato rinnovo. Colpa anche di qualche dichiarazione non proprio conciliante della madre – suo agente fino alla scorsa primavera – che fin dalla prima firma, nel 2012, ha avuto un rapporto ben oltre i limiti dell’ostilità con la dirigenza del club parigino. Eppure la difficile gestione del calciatore a livello contrattuale non dovrebbe bastare a spiegare perché non sia ancora arrivato l’annuncio del suo trasferimento in un club che, qualunque sia, avrebbe l’occasione di inserirlo in rosa senza tirar fuori un euro per il suo cartellino. A maggior ragione perché si tratta di un calciatore ancora giovane, di grande qualità e con ampi margini di miglioramento, ma allo stesso tempo con una buona esperienza alle spalle.
Dal punto di vista puramente tattico, Rabiot è un centrocampista moderno, capace di operare da regista, da mezzala, da centrocampista box-to-box. Ogni volta che entra in campo, il ragazzo di Saint-Maurice – comune dell’Île-de-France a due passi dal XII arrondissement di Parigi – mostra di avere qualità superiore nel trattamento del pallone, che ama muovere con tocchi semplici e precisi, spostandolo con il sinistro mentre ciondola con i suoi (quasi) 190 centimetri lungo il campo. All’inizio della stagione appena conclusa, in realtà, Rabiot sembrava aver iniziato una parziale ridefinizione del suo gioco: meno incursore più palleggiatore, meno rifinitore e più regista a inizio azione. Ha giocato solo da agosto a dicembre, eppure le statistiche raccontano questo cambiamento in atto: è sopra la media dei migliori centrocampisti europei per volume e precisione dei passaggi (oltre il 93%, secondo Wyscout) e duelli difensivi vinti, ma fa registrare calo dei dati per dribbling riusciti, passaggi verso l’area di rigore avversaria e assist serviti.
Più che un regista o creatore di gioco in senso stretto, Rabiot stava diventando un elemento in grado di ripulire il pallone ogni volta che entravs nella sua sfera di influenza, stava imparando a sfruttare il fisico e le gambe lunghe per proteggere la sfera e girarsi dalla parte giusta ogni volta che riceve un passaggio a ridosso della sua area di rigore; dopo poteva azionare il motore e spostare il gioco da una parta all’altra del campo, la cosa che gli riesce meglio, in conduzione come attraverso una distribuzione pulita e sicura sulle brevi distanze.
Il più importante aggiornamento del suo percorso evolutivo si legge nella crescita in fase difensiva. Rabiot ha imparato a usare il suo corpo per schermare le linee di passaggio avversarie, e per recuperare il possesso con interventi in tackle che a inizio carriera non facevano parte del suo bagaglio tecnico. Nei pochi mesi giocati quest’anno ha ingaggiato più di 7 interventi difensivi e 2,5 duelli aerei ogni 90 minuti. Numeri sorprendenti soprattutto rispetto a una narrazione che lo vedrebbe giocare sempre sulle punte, quando invece il suo sviluppo lo stava portando ad avvicinarsi geograficamente sempre di più ai suoi difensori. In seguito a questo cambiamento, Robert Pires aveva azzardato un paragone abbastanza impegnativo con Sergi Busquets – saltando magari diverse tappe nel suo percorso di crescita –, un giocatore che ricorda sicuramente per la corporatura esile e longilinea, ma anche per la semplicità con cui muove la palla e inizia l’azione. Quel che ancora manca – e su cui dovrebbe lavorare maggiormente per una trasformazione definitiva in un “5” classico – sono tempi e letture gioco, e un decision-making ancora non al livello di quel che i suoi piedi gli permetterebbero di fare.
Oggi, la società più disposta a puntare su Rabiot sembrerebbe la Juventus. Il club bianconero potrebbe scommettere sul suo talento, ammesso che di scommessa si possa ancora parlare, sulla sua definitiva maturazione. Per il centrocampista francese, il gioco di Sarri rappresenterebbe un’occasione per incanalare le sue qualità nella giusta direzione, per declinarle secondo un calcio di posizione che dovrebbe esaltare i suoi pregi e nascondere i suoi difetti. In un ideale centrocampo a tre, Rabiot potrebbe giocare da interno creativo, magari accanto a un mediano che alleggerirebbe il carico di responsabilità in fase di impostazione – attualmente questo slot è occupato da Pjanic – e a una mezzala con licenza di inserirsi in avanti (qualcuno ha detto Ramsey?).
Quel che non fa quadrare i conti nel profilo di Rabiot, così talentuoso eppure evidentemente distante dalle attenzioni dei migliori club europei (che si sono sfilati uno dopo l’altro dalla corsa a fargli vestire la loro maglia), è qualcosa di più sottile, intangibile, che ancora manca al suo gioco. Al netto dei miglioramenti tecnici – di cui ha bisogno, ovviamente – di Rabiot preoccupa l’aspetto psicologico, oltre alla già citata presenza ingombrante della madre nel suo entourage. È un discorso di costanza di rendimento, nell’arco dei novanta minuti e di tutta una stagione: una qualità che ancora non ha, e che deve necessariamente provare a costruire.
Ma non solo: la difficoltà nel dare un valore a quel che Rabiot fa, crea e produce su un campo da calcio sono legate anche al contesto. Finora Rabiot ha giocato solo nel Psg, una squadra evidentemente allergica ai grandi appuntamenti e che invece domina il calcio francese. In Ligue 1, le partite dei parigini si svolgono su pattern tattici per cui Rabiot gioca sempre nel tepore della sua comfort zone; in Europa, invece, il Psg ha quasi sempre manifestato grandi difficoltà, e Rabiot è uno dei calciatori che più hanno risentito del cambio di contesto – tecnico, tattico, ambientale. Il centrocampista d’élite che ha giocato nelle ultime stagioni in Ligue 1 non si è quasi mai visto in Champions League, sembra quasi nascondersi, scomparire del tutto. Il confronto statistico tra Rabiot in Francia e Rabiot nelle competizioni europee è impietoso: nell’ultima stagione il volume di passaggi scivolava da quasi ottanta a meno di cinquanta, i passaggi chiave si dimezzavano proprio come il numero dei dribbling, e la quantità di contrasti tentati e riusciti crollava letteralmente. Insomma, quando il livello si alza, quando c’è bisogno di dare un valore aggiunto che vada oltre il piano partita e le assegnazioni dell’allenatore, le carenze in fatto di personalità, comprensione del gioco e improvvisazione di Rabiot finiscono per ingigantirsi. Proprio per questo, la destinazione migliore per Adrien Rabiot, a questo punto della sua carriera enigmatica, potrebbe essere la Juventus di Sarri: un squadra che aspirerà a praticare un calcio codificato, pensata e costruita per esaltare il talento individuale mettendolo al servizio del collettivo.