Wimbledon e la rivoluzione della tradizione

Il torneo londinese ha un fascino senza tempo, sembra essere sempre uguale a sé stesso. In realtà è riuscito a modernizzarsi, senza perdere la sua magia.

Alla cerimonia hanno partecipato un tenore di fama mondiale, Joseph Calleja, e una pop star britannica, Paloma Faith, vestita di un abito arancione talmente sfarzoso da richiedere l’aiuto di quattro assistenti per essere sistemato sul palco. Ad accompagnare i cantanti, l’orchestra della Bbc e i coristi della Grange Park Opera. Oltre allo spettacolo musicale, le esibizioni dei tennisti John McEnroe, Venus Williams e Martina Navratilova. Non c’era un solo posto vuoto. A cosa si deve tale grandioso spiegamento di talenti, e probabilmente di denaro, in un pomeriggio domenicale di maggio alle porte di Londra? All’apertura, e chiusura, di un tetto. Sì, un tetto. Certo, non parliamo di una copertura in cemento qualsiasi. Ma di un tetto progettato durante un decennio, costato settanta milioni di euro e costruito nel giro di tre anni, realizzato in materiale trasparente, del peso di mille e cento tonnellate, capace di aprirsi in dieci minuti circa. Ma più importante ancora di questi numeri da capogiro è la location: è il tetto di Wimbledon.

Dieci anni dopo aver coperto il tempio sacro del tennis, il Centre Court, Wimbledon inaugura il suo secondo tetto, questa volta sul No. 1, a partire da giugno. «Festeggiamo così quasi cinque anni di duro lavoro», ha detto Philip Brook, presidente dell’All England Club e mente dietro all’ambizioso progetto. «È stata un’opera ingegneristica molto impegnativa e complessa da portare a termine». Il tetto e la festa a lui dedicata sono il culmine di un decennio di sforzi, ma rappresentano anche la quintessenza di Wimbledon per come lo abbiamo conosciuto in questo secolo. La musica non aveva nulla di anticonformista, ma il vestito di Faith si è fatto notare sui social. Se il tetto sarà un dono dal cielo, quando piove, per tutti gli spettatori, sarà altrettanto apprezzato dai partner commericali di Wimbledon, Bbc, Espn e le altre reti televisive che mostrano il torneo al resto del mondo: gli sponsor non dovranno più preoccuparsi dei ritardi dovuti al maltempo.

Wimbledon nel 2019 è diventato un luogo dove convivono storia e innovazione, spirito puro e commerciale. Come ha fatto notare, non senza approvazione, il Guardian, «negli ultimi dieci anni, Wimbledon è diventato più moderno, democratico e dinamico verso nuovi mercati». Ma la gara di tennis più antica al mondo non ha avuto sempre questa fama. «Wimbledon è proibitivo», commentò nel 1978 il giornalista americano Peter Bodo parlando della filosofia del torneo. Nei suoi primi novant’anni, Wimbledon fu un campo per il gioco amatoriale, una torre d’avorio per dame e gentiluomini con gonne e pantaloni lunghi, rigorosamente bianchi e di flanella, tennisti per passione, ben educati. Nel 1968 cominciò a offrire premi in denaro e aprì ai professionisti i suoi illustri campi in erba. I cancelli del tennis si aprirono finalmente anche al denaro, al mercato, al mondo moderno. Nel decennio successivo questo sport così serio dovette fare i conti con il clima di ribellione: i capelli dei tennisti diventarono più lunghi, le loro voci più forti e le divise più colorate.

Ma agli occhi dei professionisti, i funzionari dell’All England Club si comportavano ancora come se i tennisti fossero degli usurpatori. E così, nel 1973, per protestare contro lo strapotere dei dirigenti sulle loro carriere, ottanta tennisti decisero, tra lo stupore di tutti, di boicottare il torneo. Alla fine, naturalmente, tutti fecero ritorno al Centre Court. Avevano sognato per una vita di competere su quei campi, come potevano stargli lontano? «I funzionari di Wimbledon sono convinti che i tennisti arriveranno, per quale motivo dovrebbero spiegare quello che sta succedendo?», affermò Ted Tinling, stilista ed ex tennista, negli anni Settanta. «Sono loro i veri padroni, e sono convinti che alla fine tutti vorranno partecipare».

Ora degli anni Ottanta, molti addetti ai lavori cominciarono a mettere in dubbio la rilevanza dell’evento inglese, in uno sport sempre più americanizzato. Nel 1978, lo U.S. Open si spostò in una struttura pubblica del Flushing Meadows e passò da un campo in erba a uno in cemento, una superficie più comune e da molti considerata un terreno di prova migliore rispetto al manto accidentato di Centre Court. John McEnroe divenne famoso per le sfuriate contro i funzionari intransigenti, chiamandoli «imbecilli incompetenti» e «feccia dell’umanità». Jimmy Connors e Billie Jean King sfogarono la loro frustrazione verso le decisioni inique dell’All England Club. «I newyorchesi si esaltano a vederti vomitare insulti durante lo U.S. Open», rimarcò Connors. «A Wimbledon ti fermano e te li fanno rimangiare tutti». Sembrava soltanto una questione di tempo prima che Flushing Meadows soppiantasse Wimbledon come capitale del tennis.

Nel 1988 l’Australian Open seguì l’esempio della competizione statunitense passando a una superficie dura, e negli anni Novanta tutti cominciarono a chiedersi quando Wimbledon avrebbe finalmente deciso di abbandonare il suo storico manto. Chi voleva giocare ancora sull’erba? E chi guardare tennisti sull’erba? Campo scivoloso, spesso impraticabile, rimbalzi sgangherati per uno spettacolo blando in cui gli scambi raramente andavano oltre a un servizio e un rovescio mancato. Se da un lato il mondo del tennis appariva sempre più moderno, Wimbledon sembrava sempre più antiquato, giorno dopo giorno.

Roccaforte del gioco amatoriale per lungo tempo, Wimbledon è anche il primo torneo del Grande Slam ad ammettere i professionisti, nel 1968A dire la verità, l’All England Club non è sempre stato così restio al cambiamento come la storia può far pensare. Durante la prima edizione del torneo, datata 1877, il Club aggiorna e standardizza il sistema di punteggio e le dimensioni del campo. Sette anni dopo è il primo grande torneo ad ammettere le donne. Prima della Seconda guerra mondiale, gli uomini gareggiavano indossando lunghi pantaloni di flanella; ma quando il britannico Bunny Austin si presenta in calzoncini nel 1932, «Re Giorgio V e consorte accettano la novità di buon grado e senza commentare», scrive il New York Times. Roccaforte del gioco amatoriale per lungo tempo, Wimbledon è anche il primo del Grande Slam ad ammettere i professionisti nel 1968.

E insieme ai professionisti, arrivano agenti e promotori. Uno dei più affermati, Mark McCormack della IMG – conosciuto come Mark the Shark – avvia la collaborazione quello stesso anno e comincia a sfruttare la vocazione tradizionalista di Wimbledon. IMG produce un video, realizza nuovi servizi ricettivi e facilita le sponsorizzazioni e il merchandising. Invece di tappezzare i campi con i loghi delle aziende, come fanno ancora l’Open francese e quello statunitense, gli sponsor di Wimbledon restano discreti, esclusivi: nulla può deturpare gli spalti e i teloni verdi. Fatta eccezione per un orologio: McCormack sfrutta le sue conoscenze per trovare il partner ideale del torneo, senza tempo e di alto profilo: Rolex. «Abbiamo valutato l’adeguatezza del prodotto con l’immagine di Wimbledon», ha detto Chris Gorringe, ex presidente del torneo. «La qualità è sempre stata al primo posto». E quel senso di adeguatezza è reciproco. «I partner sono felici di associare il proprio marchio con Wimbledon», racconta Leigh Walsh, consulente digitale per il torneo dal 2014. «Wimbledon è un evento unico, non per forza interessato a massimizzare i profitti nel breve termine. Cerca di costruire rapporti duraturi per assicurare il suo futuro».

Con il nuovo secolo arriva anche il cambiamento più significativo: una nuova superficie. Invece di eliminare il vecchio manto erboso, Wimbledon trova un compromesso. Nel 2011 installa un terreno più solido, il loietto perenne. Più lento e dal rimbalzo migliore, il loietto rende l’intrattenimento più coinvolgente senza sacrificare il legame del torneo alle sue origini di sport nato sull’erba. La scelta viene apprezzata: invece di ribellarsi alla tradizione, Roger Federer, Serena Williams, Rafael Nadal, Novak Djokovic e altri sportivi la accolgono a braccia aperte e oggi preferiscono il Centre Court a ogni altra location.

Dopo aver consolidato, ancora una volta, la sua immagine di Mecca del tennis, Wimbledon negli ultimi anni ha lavorato sulla sua espansione e sul suo marchio. Il primo tetto è stato inaugurato nel 2009, il secondo quest’anno, e lo scorso dicembre il Club ha acquistato un campo da golf a pochi metri di distanza, che diventerà parte della struttura principale. Wimbledon ha anche allargato in modo capillare la sua presenza online per raggiungere i fan più giovani su Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat. «Wimbledon può essere percepito come un torneo rigido ed elitario, ma chi ci è stato sa che è un luogo accogliente, amichevole, brillante», sostiene Walsh. «È questo lo spirito che vogliamo comunicare attraverso i social media».

Alcune consuetudini non si vedono più nell’edizione 2019: le palle da gioco non sono più bianche, i tennisti non si inchinano davanti al Royal Box e, a partire da quest’anno, ci sarà un tie-break sul 12-12 nei set decisivi. Ma qualcosa rimane: la superficie è ancora verde e naturale, i tennisti si vestono di bianco, la Middle Sunday è ancora un giorno di riposo e nel 2018 non è stato concesso di trasmettere la finale dei Mondiali di calcio durante il torneo: Wimbledon rimane, dopo tutto, il tempio del tennis. A centoquarantadue anni dalla sua inaugurazione, riesce a capitalizzare le tradizioni come nessun altro.

Dal numero 28 di Undici
Illustrazioni di Alice Piaggio