Suzanne Lenglen è stata una delle tenniste più vincenti della storia, un’icona dell’era pre-Open: ha vinto 25 titoli del Grande Slam in singolare e in doppio tra il 1919 (anno del primo trionfo a Wimbledon) e il 1926 (l’ultimo successo al Roland Garros) e la medaglia d’oro olimpica ai Giochi di Anversa, nel 1920. Era soprannominata La Divine dalla stampa francese, per i suoi risultati ma anche per la grazia del suo gioco. Inoltre, fu una pioniera del professionismo e della liberalizzazione dell’abbigliamento sui campi da tennis: nel nel 1926 fu la prima grande stella a essere pagata (75.000 dollari) per un tour negli Stati Uniti e una serie di sfide contro Mary K. Browne. Nel 1919, a Wimbledon, fu proprio Suzanne Lenglen a firmare il primo fashion scandal nella storia di Wimbledon, presentandosi con una mise non convenzionale per il torneo londinese.
The Atlantic ha raccontato la vicenda, che proprio in questi giorni compie 100 anni: «Lenglen si presentò a Wimbledon con una blusa a collo basso e a maniche corte, e indossando una gonna a pieghe che le arrivava al polpaccio; calze di seta appena sopra le sue ginocchia e un cappello a coprire i capelli corti». La stampa del tempo definì «indecente» l’abbigliamento della tennista francese, all’epoca ventenne, anche perché l’abbigliamento delle sue colleghe – in campo e fuori – si componeva in maniera diversa: «Gonne alla caviglia e camicette a collo alto e a maniche lunghe». Il modo di vestire di Suzanne Lenglen cambiò completamente il modo di vedere e percepire il tennis, diede vita a nuove mode e persino a dei neologismi: il suo cappello di lino divenne il “Lenglen bandeau”, le sue scarpe basse con suola di gomma divennero “scarpe Lenglen”.
L’impatto socioculturale di questo cambiamento fu enorme. All’inizio del XX secolo, infatti, il tennis generava enormi polemiche, non tanto e non solo per una questione di abbigliamento, ma anche per il semplice fatto che contemplasse la presenza delle donne in campo, come spiegato da New Republic in questo articolo: «L’ascesa e la fama di Suzanne Lenglen aiutò le donne a liberarsi dalla loro condizione passività nella società vittoriana. Molte persone, e non solo uomini, consideravano poco rispettabile, addirittura indecente, una donna che potesse fare movimenti fisici tendenti anche solo lontanamente alla violenza. Questo era uno dei fattori più inibitori per le giocatrici: la convenzione che impediva alle giovani donne di avere una vigorosa manifestazione di movimento». La storia di Suzanne Lenglen è stata raccontata anche da Matteo Codignola in Vite brevi di tennisti eminenti (Adelphi, 2018), un libro di cui abbiamo parlato qui.