Raf Vallone ha vissuto tante vite, tutte straordinarie

Calciatore di Serie A, partigiano, giornalista e attore di successo, i pranzi con Pavese e Picasso.

Chiariamo subito una cosa: per chi scrive, Raf Vallone era come un semidio. I più se lo ricordano al cinema, nel ruolo drammatico del sergente Marco Galli in Riso Amaro, film culto del neorealismo italiano, accanto a una Silvana Mangano da brividi. Pochi però sanno che Raf, in realtà Raffaele (originario di Tropea, in Calabria), non è stato solo un grande attore, ma anche un ottimo calciatore di Serie A, un eroe di guerra e un giornalista. Nella vita, solitamente, a malapena si riesce a fare bene una cosa. Lui le ha fatte bene tutte. Eppure, di Vallone ci siamo quasi dimenticati. «Era umile e riservato, non si vantava mai dei suoi infiniti successi», ha raccontato la figlia Arabella in una recente intervista. Occorre quindi rimediare.

Classe 1916, le premesse affinché fosse un tipo davvero “speciale” c’erano fin dai tempi del liceo classico a Torino. Un comune mortale, salvo eccezioni, avrebbe avuto insegnanti che si barcamenano fra supplenze e graduatorie, lui aveva Luigi Einaudi (futuro Presidente della Repubblica) e Leone Ginzburg («Oggi non ci sono più professori intellettuali. Tutti si sbranano fra loro per i premi letterari», disse un giorno). Ama la musica e sogna di fare il direttore d’orchestra, all’Università si laurea sia in filosofia che in legge. La guerra, scoppiata qualche anno più tardi, lo porta inizialmente a fare il giornalista. Non lavora nel giornale parrocchiale però. Lui se fa una cosa, la fa come Cristo comanda. Così diventa caporedattore della cultura all’Unità (ma non si iscrive al Pci perché non sopporta Stalin) e critico cinematografico per La Stampa di Torino. Ha solo 25 anni.

«Pavese veniva spesso a trovarmi», ricordava, «andavamo a pranzo a Porta Palazzo, alle Tre Galline. Mangiavamo in silenzio: lui non parlava molto, io neppure. Credo gli piacessi per quello: assecondavo il suo silenzio». Ma ci sono i bombardamenti, le rappresaglie, le fucilazioni e l’onore chiama. Così, al posto di continuare a scrivere, diventa partigiano. Dopo l’8 settembre entra in Giustizia e Libertà, operando nella zona di Tortona. Viene arrestato ma riesce a fuggire. Lo fa gettandosi vestito nel lago di Como con le SS che sparavano dalla riva. Insomma, roba tranquilla.

Ma Vallone è conosciuto soprattutto per essere stato un attore. «Ero un autodidatta: le scuole di dizione erano infrequentabili: si imparava a recitare se stessi, non il testo», diceva. Raf ha rughe sexy, l’incarnato bronzeo e una voce che accarezza i testi che interpreta. Lavora con registi come Pietro Germi ne Il Cammino della speranza, Alberto Lattuada in Anna e La Spiaggia e con Giuseppe De Santis in Riso amaro e Roma ore 11. Nel 1953 recita accanto a Simon Signoret nel film Teresa Raquin, diretto del mostro sacro del cinema francese Marcel Carné. L’ultima pellicola in cui ha recitato è stata Il Padrino Parte III di Francis Ford Coppola, nel 1990.

Raf Vallone recita in uno spettacolo teatrale con Anny Cordy, nel 1971 (Keystone/Getty Images)

Raf è stato una sorta di Re Mida: qualunque cosa abbia toccato l’ha trasformata in oro. E fra questi tesori, pochi forse lo sanno, c’è anche il calcio. Sì, perché il nostro eroe ha giocato anche in Serie A. La sua carriera è come quella di tanti astri nascenti. All’inizio degli anni Trenta, insieme all’amico Giglio Panza, Raf mette in piedi una piccola squadra alla Barriera di Milano. Qualche tempo dopo lo stesso Panza, divenuto dirigente del Torino, si ricorda di lui e gli organizza un provino per il settore giovanile granata. Il gruppo all’epoca era noto agli addetti ai lavori col nome di “Balon Boys” (quell’appellativo era un omaggio ad Adolfo Baloncieri, campione sublime che aveva regalato al Toro due scudetti) ed era guidato da due maghi come Carlin Rocca e Karl Sturmer. «Avevo 13 anni, era il 1931», raccontò al Corriere della Sera, «Mi misero all’ala destra. Un po’ per le scarpe da gioco non mie, un po’ per l’emozione, non toccai palla. Fu un disastro. Mi ripresi solo nel finale. E forse fu propri quegli ultimissimi minuti che convinsero i tecnici ad assumermi lo stesso». La squadra mette in bacheca un titolo italiano ULIC ragazzi 1930-1931. Vallone fa la mezzala.

Esordisce nella massima serie nella stagione 1934-1935, giocando al Filadelfia accanto a stelle come Maina, «Bambo» Ferrini, Allasio, Flip Prato. Quello stesso anno vince la Coppa Italia. Nel 1938 gioca un’altra finale di coppa, ma stavolta gli va male ed esce sconfitto nel derby, contro i rivali della Juve. In totale saranno 23 le presenze in Serie A, con 4 reti. Nella stagione 1939-40 finisce in prestito al Novara, disputando altri 7 match. Un anno più tardi rientra alla base, gioca un paio di incontri ma poi appende gli scarpini al chiodo, quasi all’improvviso. Aveva coperto una combine mentre partecipava ai Campionati Mondiali delle nazionali studentesche a Vienna. Una partita era stata venduta ai tedeschi per motivi politici. «Non potevo più rimanere in quel mondo», ricorda, «non avevo grandi piedi, ma avevo tanto fiato. Il mio non era ancora il Grande Torino, anche se eravamo piuttosto forti. Un anno fummo campioni d’inverno, vincendo il derby con la Juve e battendo l’Ambrosiana». Per inciso una delle due mezzali dell’Ambrosiana era Giuseppe Meazza.

Raf Vallone con la maglia del Torino, club in cui ha militato dal 1934 al 1941, con una parentesi in prestito al Novara nella stagione 1939/40

Insomma, Raf primeggia sempre. Ma la vita privata? Le donne? Uno che gioca in Seria A, va a pranzo con Pavese, Pablo Picasso e Curzio Malaparte, si fa beffa dei nazisti e diventa uno dei volti del Neorealismo, può non primeggiare anche li? Ovviamente sì. E’ stato sposato per 50 anni con l’attrice Elena Varzi. Ma lo hanno corteggiato in tante, a partire dalla Dietrich (che un giorno dirà di lui: «Ciò che mi colpì subito di Raf Vallone furono la sua eccezionale intelligenza, la sua discrezione, la sua mancanza di vanità»).

Solitario, riflessivo, ai flirt e alle copertine dei rotocalchi ha sempre preferito divorare libri nel suo amato buen ritiro di Sperlonga. In questo mezzo secolo è caduto in tentazione solo una volta: negli anni Cinquanta, con Brigitte Bardot. «La prima avance fu sua«, confessò un giorno, «per dieci sere venne a vedermi a teatro dove recitavo Uno Sguardo dal ponte. Sempre seduta sulla stessa poltrona, in prima fila. Per nove volte mi barricai in camerino. Quella donna mi faceva paura, mi scombussolava. La decima sera cedetti. E fu splendido…». Anche stavolta il meglio, tanto per non smentirsi mai.