Perché il calcio italiano negli anni Novanta andava così di moda in Inghilterra? Un fenomeno culturale, non solo sportivo.
Se oggi sono qui a scrivere questo articolo, una delle persone a cui devo un grosso grazie è Paul Gascoigne. Senza di lui probabilmente non sarei chi sono adesso: un giornalista inglese che segue la Serie A con un amore per l’Italia e il calcio italiano che dura nel tempo. Probabilmente tutto iniziò con il Mondiale 1990, che per noi inglesi è stato forse il torneo attorno al quale abbiamo fantasticato di più dal lontano 1966. Ha generato grande musica con “World In Motion” dei New Order e grandi libri come All Played Out di Pete Davies.
Ma, sopra ogni altra cosa, ha creato la sensazione di un momento epocale. Una nazione cominciava finalmente a rivedere il buono del calcio dopo il dolore e l’orrore di Heysel e Hillsborough. Non era soltanto il cammino dell’Inghilterra fino alle semifinali. Era la figura di Gazza. Al di là del talento e della personalità, l’apice della parabola che fece di Gascoigne un eroe nazionale fu quando scoppiò in lacrime durante la semifinale contro la Germania Ovest a Torino. Gascoigne ci teneva e, per quanto bizzarro, è questo che i tifosi inglesi vogliono vedere in un giocatore più di ogni altra cosa. La leggendaria rigidità degli inglesi iniziava a sciogliersi. E forse Gascoigne ci fece iniziare a pensare in modo diverso al nostro carattere nazionale. Nel 1979 i Cure pubblicavano “Boys Don’t Cry”. Nell’estate del 1990 mostrare un lato vulnerabile del proprio carattere era legittimo.
L’interesse del pubblico nei confronti di Gascoigne toccò nuove vette. Quando si seppe che andava alla Lazio, in uno dei più discussi trasferimenti che avessero coinvolto un giocatore inglese da anni, una casa di produzione decise di produrre un documentario. La società era la Chrysalis, più famosa come etichetta discografica dei Blondie, degli Ultra Vox e dei Procol Harum. Per la sua produzione televisiva, l’interesse a collaborare con Gascoigne era ovvio. Lui trascendeva il calcio. Ma una svolta inattesa della vicenda spostò completamente l’asse del documentario. Dopo la finale di Fa Cup del 1991, il film finì per concentrarsi più sull’infortunio potenzialmente fatale per la carriera di Gazza che sul trasferimento decisivo alla Lazio. Al termine della riabilitazione fisica, quando il documentario andò in post-produzione, un’osservazione buttata lì da Gazza diede alla Chrysalis un’idea. Lui era dispiaciuto che i suoi familiari e gli amici non potessero vederlo in tv giocare con la Lazio. Sky aveva rinunciato ai diritti di Serie A perché tutti gli investimenti e l’attenzione erano focalizzati sul lancio della Premier League. Così la Chrysalis pensò di fare due cose. La prima, scoprire se in Gran Bretagna c’erano emittenti terrestri interessate a mandare in onda le partite della Lazio. La seconda, parlare con la Rai dei costi di trasmissione.
La Chrysalis ebbe un colpo di fortuna. Channel 4 colse al volo l’opportunità di ospitare nel suo palinsesto la Serie A. Il canale televisivo britannico più alternativo e irriverente non aveva un’offerta di sport che potesse competere con Bbc e Itv. Gli incontri di sumo e di kabaddi non reggevano il confronto con il cricket, la Formula Uno e Wimbledon. In più la Serie A costava poco. Il prezzo che la Rai finì per proporre era troppo bello per essere vero. «Erano un sacco di lire, non un sacco di sterline», ricorda Michael Grade, capo di Channel 4. Non volendo cedere i diritti per una sola squadra, la Rai offrì tutta la Serie A in esclusiva per appena 650mila sterline. Per capire, in prospettiva, di che affarone stiamo parlando, basti dire che con la stessa cifra nel 2018 puoi comprare solo quattro minuti e mezzo di una partita di Premier League in diretta. QUATTRO MINUTI E MEZZO.
A fronte di nessun rischio, il successo fu istantaneo. Il 6 settembre 1992 tre milioni di spettatori si sintonizzarono su Channel 4 per vedere la prima partita, un thriller da sei gol in cui la Sampdoria di Roberto Mancini rimontò tre reti strappando un 3-3 contro la Lazio di Beppe Signori a Marassi. Il pubblico inglese iniziò a riprendere confidenza con stadi e atmosfere che facevano affiorare i ricordi di Italia ‘90. Aveva la possibilità di gustarsi i migliori giocatori del mondo nella lega più competitiva di tutti i tempi. Oltre alla Fa Cup e alla Champions League, sui canali terrestri inglesi non c’erano altre dirette di calcio. La Premier League era a pagamento su Sky, e comunque il prodotto impallidiva al confronto.
Cosa avreste guardato voi? Campioni d’Europa e vincitori di Palloni d’oro gratis, o palle lunghe per accaniti bevitori sovrappeso a caro prezzo?Mentre le squadre di Serie A in Europa travolgevano chiunque di fronte a loro, le inglesi erano per lo più imbarazzanti. Prendiamo per esempio il Manchester United. Nel 1993 il Galatasaray lo eliminò al secondo turno di Champions League. L’anno seguente non riuscì a superare la fase a gironi e nel 1995 fu umiliato dal Rotor Volgograd in Coppa Uefa. Quanto al Blackburn, tutto ciò che chiunque ricorda della sua solitaria cavalcata in Champions League sono i pugni volati tra i compagni di squadra Graeme Le Saux e David Batty nella disastrosa sconfitta per 3-0 contro lo Spartak Mosca. È difficile immaginare Andrea Agnelli che si abbona a Sky per guardare la Premier League mentre porta avanti i suoi studi a Oxford. Soprattutto con la Serie A su Channel 4. Che avreste guardato voi al posto suo? Campioni d’Europa e vincitori di Palloni d’oro gratis, o palle lunghe per accaniti bevitori sovrappeso a caro prezzo? Per la Chrysalis e Channel 4 fu un gol a porta vuota. E per la Serie A fu la miglior vetrina che la lega potesse immaginare, capace di generare tra il pubblico inglese una familiarità che ancora oggi Liga, Bundesliga e Ligue 1 possono soltanto sognarsi. Gran parte del merito va al programma del mattino di Channel 4, intitolato Gazzetta Football Italia. Mandava in onda le interviste con le star più importanti, raduni di preghiera con Taribo West, gossip di mercato, grandi gol e una presentazione del match di cartello della domenica. Ma c’era molto, molto più di questo.
Gazzetta Football Italia ha cambiato per sempre il modo di parlare di calcio in Inghilterra. L’idea all’inizio era di farlo presentare a Gazza. Ma non si poteva essere certi che si sarebbe presentato in studio, e poi non era a suo agio davanti alla telecamera. Alla fine, per presentare il programma, dovette farsi avanti uno dei produttori. James Richardson, omonimo del fondatore inglese del Genoa, aveva una fidanzata italiana che viveva a Roma, e così chiese di lavorare nel programma. Non sapeva quasi nulla di calcio e non aveva praticamente mai visto nessuno degli speciali tv inglesi. Ma la sua inesperienza portò una nuova freschezza nell’approccio. Richardson non aveva punti di riferimento e uno studio. Creava la rassegna stampa leggendo la Gazzetta e gli altri quotidiani sportivi in esterna in un bar, collegato da location stupende su e giù per l’Italia, spesso con un enorme gelato in mano. In seguito, questo è diventato un cliché emulato dai tifosi inglesi ogni volta che visitano l’Italia. A guardarlo dalla cupa Inghilterra, ti sentivi in vacanza. Escapismo allo stato puro.
Gazzetta Football Italia ha cambiato per sempre il modo di parlare di calcio in Inghilterra. Il tono del programma era leggero, intelligente, argutoIl tono del programma era leggero. Intelligente, arguto, il paragone più vicino che mi viene è forse con Calciomercato – L’Originale. Richardson non si è mai preso troppo sul serio ed è riuscito a convincere Gazza e altri grossi nomi come Gianluca Vialli, Attilio Lombardo, Gianfranco Zola e Tino Asprilla a partecipare a esilaranti scenette comiche. David Platt addirittura rilasciò un’intervista in veste di Terminator. Richardson diventò anche molto amico di Paul Ince durante la sua militanza nell’Inter. Quando Ince non era a uno dei festini di Nicola Berti – una volta comparvero addirittura Uma Thurman, Michael Keaton e Joe Pesci – il capitano chiamava spesso Richardson nel cuore della notte nel suo appartamento di Roma, per farsi dare dritte per passare di livello a Tomb Raider. Celebrità come Bryan Adams prendevano appositamente un volo per comparire come ospiti nello show pre-partita della domenica. Un pomeriggio divenuto celebre Richardson riuscì a leggere i risultati di Serie A abbinando a ogni match un diverso brano di Elvis Costello, che era un grande fan del calcio italiano e del programma. Anche i Massive Attack e Paul Heaton dei Beautiful South lo adoravano.
Il programma è andato avanti quasi un decennio, per scomparire infine dalle onde dell’etere nel 2001. Richardson capì l’antifona quando Channel 4 interruppe la trasmissione della vittoria del titolo della Roma contro il Parma dieci minuti prima del fischio finale. Era chiaro che le priorità del canale erano ormai rivolte altrove. Tuttavia il culto nato al seguito di Gazzetta Football Italia ancora dura nel tempo. Oggi lo vediamo riemergere sull’onda del revival anni ‘90 che dilaga in Gran Bretagna. La sigla di Steve Duberry che culmina con un commentatore che grida Gooooooooolaaaaaaaazo (sic) per un’intera generazione di fan rappresenta ciò che le madeleine erano per Proust. Ti porta indietro nel tempo.
Far rivivere Gazzetta Football Italia in podcast è un po’ come rispolverare la vecchia Nintendo 64 e giocare a Zelda: Ocarina of Time o ascoltare What’s the Story Morning GloryOggi ho la fortuna di lavorare con Richardson in Bt Sport, l’equivalente inglese di Mediaset, che al momento detiene i diritti di Serie A. È un privilegio immenso per uno che è cresciuto guardando il programma che qui chiamavamo semplicemente Gazzetta. C’è stato il tutto esaurito quando Richardson, Paolo Bandini e io abbiamo presentato a Dublino e Londra delle mini versioni del programma come fosse un live podcast. È uno spettacolo estremamente bizzarro vedere centinaia di uomini adulti che vengono a sentirci raccontare storie su come Beppe Signori si apprestava a tirare i rigori come se fosse sulla linea di tiro a freccette, sulla passione di Dario Hübner per la grappa o sulla volta che Tuta segnò quel gol per il Venezia e nessuno che corse ad abbracciarlo… C’è uno zoccolo duro di fan che adora tutto questo.
Così a gennaio Richardson e io abbiamo deciso che fosse il momento di far rivivere la Gazzetta in podcast. I venti episodi che abbiamo registrato sono stati ascoltati più di un milione di volte. Non so come descrivere questa sensazione. Forse è un po’ come rispolverare la vecchia Nintendo 64 e giocare a Zelda: Ocarina of Time o ascoltare What’s the Story Morning Glory. Forse è un complesso di Peter Pan. Tutti noi cerchiamo di evitare di crescere. In definitiva, il fenomeno nel complesso mi ricorda il passo di una grande opera della letteratura inglese del Novecento, di L. P. Hartley: L’età incerta. Probabilmente conoscete la citazione: «Il passato è un paese straniero». E per una generazione di inglesi, quel paese straniero è l’Italia.