Sarà la Serie A dei nuovi talenti italiani?

Barella, Mancini e Lazzari si sono conquistati l'accesso a un club di livello superiore. Un esame importante, anche in chiave Nazionale.

Nell’estate che precede l’Europeo 2020, il primo vero banco di prova dell’Italia di Mancini, vale la pena concentrarsi con una certa attenzione sui trasferimenti dei giovani in odore di Nazionale. Ce ne sono stati diversi: quelli di Sensi e Barella all’Inter, quello di Mancini alla Roma, e poi ancora Lazzari alla Lazio o Di Lorenzo al Napoli, fino ad arrivare a chi, come Kean e Cutrone, ha scelto di espatriare. Tenendo ai margini la categoria dei prestiti (vi rientra Pinamonti al Genoa, anche se con una formula particolare) e quella dei riscatti (in primis Orsolini, che il Bologna ha acquistato dalla Juve a giugno), qui è dove facciamo il punto sui più interessanti.

Il primo della classe un po’ da tutti i punti di vista, costato all’Inter 45 milioni di euro, è Nicolò Barella. Pilastro della Nazionale di Mancini dallo scorso ottobre, non ci sono molti dubbi sul fatto che il 22enne di Cagliari sia destinato a recitare un ruolo di primo piano anche sotto la guida di Conte. Soprattutto, cambiando prospettiva, sarà chiamato a un salto di qualità che già ci attendevamo lo scorso anno, e che non ha ancora compiuto fino in fondo. Barella è sicuramente cresciuto sotto il profilo disciplinare, un miglioramento già piuttosto evidente nelle fasi iniziali dello scorso campionato e che con nella seconda parte della stagione è andato confermandosi. Per dimostrarlo sono sufficienti un paio di dati. Il primo è quello relativo ai falli fatti, che dai 2,3 e 2,4 p90 delle prime due stagioni in Serie A sono diventati 1,7 p90 durante la scorsa stagione; il secondo ha a che fare con i cartellini gialli: nelle stagioni 2016/17 e 2017/18, Barella si è fatto ammonire in media una volta ogni 220’, lo scorso anno una volta ogni 420’. Un’inversione di rotta su cui hanno influito le disposizioni tattiche di Maran – lo ha schierato più spesso sulla trequarti, meno a ridosso della ‘zona calda’ – ma che è dipesa anche dalla maturazione del ragazzo.

Barella non è cresciuto, ma nemmeno calato drasticamente, nel rapporto con il gol. È vero che ne ha segnato appena uno contro i 6 della stagione precedente, ma quest’anno non ha battuto i rigori e in termini di xG non si rileva una differenza significativa: secondo i dati di Understat furono 3,32 al termine della Serie A 2017/18, sono stati 2,52 alla chiusura di quest’ultima. Si è rifatto invece con la Nazionale, segnando alla Finlandia e alla Grecia nell’arco di due settimane. Semmai un aspetto più delicato è quello legato ai palloni persi, per via di una frenesia che ogni tanto emerge e lo rende troppo impulsivo sul campo: nell’annata conclusa a giugno sono stati 3,3 p90, contro i 2 delle precedenti. In quest’ottica, il trasferimento a Milano non potrà che giovargli: come in Nazionale, anche all’Inter avrà a fianco giocatori più abili nel possesso a cui appoggiarsi – Skriniar, de Vrij, Brozovic, Sensi – e questo lo slegherà da un senso di responsabilità che a tratti è parso avvertire fin troppo. Se un anno fa ci dicevamo che Barella avesse bisogno di un contesto più competitivo in cui misurarsi, oggi che ha oltre 100 presenze in A alle spalle la sensazione è che per livello, struttura e ambizione, Conte e l’Inter rappresentino quello ideale.

Più anziano di Barella di 10 mesi, Gianluca Mancini è un altro profilo che il Ct seguirà con attenzione in chiave Nazionale. Dopo l’Europeo Under 21 disputato da intoccabile e lo storico terzo posto guadagnato con la maglia dell’Atalanta, il centrale nativo di Pontedera ha fatto le valigie e si è trasferito alla Roma per una cifra che bonus compresi potrà toccare al massimo i 23 milioni di euro. Ad oggi è numericamente il sostituto di Manolas, ma i due hanno caratteristiche piuttosto diverse: più ‘marcatore’ il greco, più ‘moderno’ e a suo agio nel difendere in avanti il neo-giallorosso. Lo dicono ad esempio i dati sui passaggi chiave (0,4 p90 Mancini, 0,1 p90 Manolas), o più banalmente quelli sui passaggi (53 p90 Mancini, 40 p90 Manolas), che descrivono la maggiore attitudine dell’Azzurro a partecipare alla fase di prima costruzione. Senza dubbio il fatto che sulla panchina della Roma sieda un tecnico come Fonseca, che non nasconde la sua «ossessione per l’iniziativa» e per il controllo del campo, è potenzialmente un vantaggio per Mancini, già abituato a un contesto fortemente proattivo – pur con sistemi di gioco differenti – come quello dell’Atalanta di Gasperini.

Durante la conferenza stampa di presentazione, rispondendo a chi gli chiedeva dei dettami tattici del nuovo allenatore, Mancini ha sciolto ogni eventuale dubbio a riguardo: «Che cosa vuole dai difensori? Difesa alta, grande pressing, ma anche circolazione di palla e saper impostare il gioco dal basso». Per lui si tratterà di un test complicato, e per certi versi rischioso: a differenza di Barella l’ex Atalanta ha alle spalle appena una stagione da titolare nella massima serie, e la nuova Roma è oggi una scommessa più di quanto non lo sia la nuova Inter. Ma se dovesse superarlo, e se allo stesso tempo la squadra dovesse ottenere fin da subito risultati positivi, Mancini finirebbe per coronare definitivamente lo status che ha fatto suo lo scorso anno. Oltreché guadagnarsi la convocazione – e magari anche un posto da titolare – in vista dell’Europeo.

Mancini è passato alla Roma dopo due stagioni molto positive con l’Atalanta: 41 presenze e 6 gol in Serie A (Paolo Bruno/Getty Images)

Vale un discorso piuttosto simile per Manuel Lazzari, che con la Nazionale ha già esordito lo scorso ottobre ma che ancora – anche per ragioni tattiche – non è riuscito a ritagliarsi uno spazio definito nella squadra di Mancini. È anche in quest’ottica che deve essere interpretato il suo passaggio alla Lazio dopo sei anni di Spal; un ciclo in cui partendo dalla Lega Pro ha finito per disputare al Mazza due stagioni di Serie A di alto livello. Lo scorso anno in particolare si è distinto tra i migliori nel suo ruolo: secondo i dati di WhoScored è stato il giocatore di fascia con più assist all’attivo (8), il sesto per passaggi chiave completati ogni novanta minuti (1,7) e il secondo per dribbling riusciti (2,1) dopo João Cancelo.

Come spesso accade ai leader tecnici di squadre di livello medio-basso (Barella a Cagliari è un altro esempio) ha perso anche molti palloni, 1,9 p90 nella scorsa stagione; ma se la Lazio lo ha preso è anche per avere l’opzione di spinta creativa che con Marusic (e Romulo) si è vista soltanto a sprazzi, e un possesso perso a partita in più non sarà certo un problema insormontabile se relazionato ai benefici che l’ex Spal potrà portare durante la proiezione offensiva della squadra.

Dalla Seconda Divisione (l’ex Serie C2) alla Serie A: Manuel Lazzari ha scalato 4 categorie indossando la maglia della Spal, con cui conta conta 205 presenze ufficiali e 4 gol segnati (Marco Rosi/Getty Images)

Nel suo trascorso a Ferrara, Semplici lo ha sempre adoperato come quinto di destra nel suo 3-5-2 di riferimento, che con minime variazioni è lo stesso sistema di gioco su cui Inzaghi ha edificato la Lazio. In questo senso ci si attende che i tempi di adattamento siano tutto sommato brevi – anche se l’infortunio alla mano finirà per rallentare il processo. Poi c’è un secondo punto di vista. A Roma sarà affiancato da giocatori dal tasso tecnico elevatissimo come Luis Alberto, Correa e Milinkovic-Savic, un aspetto che avrà senza dubbio influenza positiva sulla qualità dei suoi movimenti e delle sue giocate, che potrà ridurre in quantità e affinare in qualità (va detto che già in questo ultimo anno ha fatto progressi significativi in quanto a precisione).

Insomma, anche per lui come per Barella vale per un verso il concetto della deresponsabilizzazione: nella Lazio non sarà il protagonista, ma una delle tante pedine prestigiose. È un ribaltamento di prospettiva significativo: farlo proprio in tutte le sue sfumature sarà per Lazzari il primo step di questa nuova sfida.