Intorno al mondo con Diego Forlán

Nove campionati, moltissimi gol e molti trofei. Il ritiro di un attaccante che ha saputo essere devastante.

Diego Forlán ha detto basta. “Cacha” si ritira a 40 anni. Dopo aver messo in bacheca un numero impressionante di titoli: una Premier League, una FA Cup e una Supercoppa inglese con il Manchester United; un’Europa League e una Supercoppa Europea con l’Atlético Madrid; una Coppa America e una semifinale ai Mondiali del Sudafrica con la maglia della celeste. E ancora due titoli di capocannoniere nella Liga e uno ai Mondiali del 2010 a 31 anni suonati.
Assistman, attaccante versatile, capace di giocare prima punta ma anche esterno e trequartista, sarebbe stato, per dirne una, il giocatore perfetto nel Milan di oggi, da mesi è a caccia di un campione con queste caratteristiche proprio là davanti.

Nato a Montevideo, sposato con Paz, padre di tre figli, ha detto stop dopo aver fatto sognare per oltre vent’anni una nazione che conta meno abitanti del Veneto ma che è da sempre considerata una delle grandi madri del calcio mondiale, non fosse altro che per la qualità e la quantità di titoli vinti: quindici Coppe America e due Mondiali, tanto per gradire. Un piccolo miracolo dello sport, che ha generato stelle come Ghiggia, Schiaffino, Francescoli, e, appunto, Forlán, capostipite di una generazione di fenomeni che ha avuto le sue punte di diamante in Luis Suárez e Edinson Cavani.

Ha giocato 112 partite con la maglia dellUruguay, quinto di sempre, ed è il terzo miglior marcatore (Robert Cianflone/Getty Images)

Lo scrittore Eduardo Galeano diceva che ogni bambino uruguaiano quando nasce dice “Gol!”. E Diego è stato uno di questi. A 5 anni passava ore a calciare una pallina da tennis contro il muro di casa per allenare entrambi i piedi. Prima il destro, poi il sinistro. Prima il destro, poi il sinistro. Fino allo sfinimento. Poi da ragazzino ha fatto la trafila più classica. Ha calcato i campi delle giovanili del Danubio e dell’amatissimo Peñarol per poi sbarcare nel calcio che conta. Che nel suo caso era dall’altra parte del Rio della Plata, in Argentina. Si trasferisce nell’Independiente di Buenos Aires. Coi Diavoli rossi gioca dal 1998 al 2002 e diventa una star: 37 i gol fatti (molti dei quali realizzati da fuori area) in 80 match. Viene soprannominato “Cacha” per la sua presunta somiglianza con Cachavacha, una strega dei cartoni animati che in Sudamerica è più famosa di Beyoncé.

Diego è meticoloso, quasi maniacale. Si fa seguire da un trainer personale ancor prima che questo diventasse moda e segue una dieta ferrea. Nel 2002, dopo l’exploit argentino, Alex Ferguson (secondo Diego il più grande allenatore mai avuto, a parte suo padre Pablo) gli mette gli occhi addosso e lo porta all’Old Trafford, la casa di altri Diavoli rossi, quelli del Manchester United. Diego non è titolare, la squadra è imbottita di campioni: ci sono Giggs, Van Nistelrooy, Beckham, Keane, Scholes, Cristiano Ronaldo. Forlán però si dimostra fedele alla causa: tutte le volte che entra dalla panchina, segna. In 3 stagioni a Manchester gioca 63 partite e griffa dieci reti.

Nel 2004 si trasferisce in Spagna, nel Villarreal. È la svolta della carriera. Quell’anno il sottomarino giallo allenato da Manuel Pellegrini, uno che nella vita era destinato a fare, si qualifica per la Champions League giocando una delle stagioni più leggendarie della sua storia. Parte del merito è proprio della punta uruguaiana: il suo score è impressionante, 25 reti in 38 partite con Scarpa d’oro annessa. L’apice di quella stagione memorabile è la sfida al Nou Camp contro il Barcellona. Diego distrugge letteralmente gli azulgrana con una tripletta che ancora oggi i tifosi giallo canarino raccontano ai nipotini.

L’anno dopo Diego non ripete l’exploit in Liga ma rischia di farlo in Champions, dove il suo Villarreal esce soltanto in semifinale, battuto ai rigori dall’Arsenal. Nella Liga 2006/07 segna altri 19 reti e a fine stagione passa all’Atlético Madrid. Un upgrade in pieno duopolio Barcellona-Real Madrid. Eppure quell’Atlético allenato dal castigliano Quique Sànchez Flores vince l’Europa League e la Supercoppa Uefa. Nei quattro anni con i Colchoneros, Forlán firma 96 reti in 198 partite. Solo 32 nel 2008/09, vincendo ancora una volta la Scarpa d’oro. È l’ultima volta che il titolo di pichichi viene assegnato a un giocatore diverso da Messi e Ronaldo (salvo la parentesi Suárez). Un record. «Sono stato capocannoniere competendo con gente come Eto’o, Messi, Raúl e Henry», ha raccontato. «La concorrenza è sempre stata spietata in Spagna. Per questo sono orgoglioso di ciò che ho ottenuto».

La sua miglior stagione è la seconda all’Atlético: in 45 partite segna 35 volte. In totale, con i Colchoneros, saranno 96 gol in 198 match (Clive Brunskill/Getty Images)

Il momento più importante della sua carriera arriva fra il 2010 e il 2011. Ai Mondiali in Sudafrica trascina la sua Nazionale fino alla semifinale con l’Olanda. In quel torneo segna cinque reti diventandone il capocannoniere e viene eletto miglior calciatore dei Mondiali. L’anno successivo fa sua la Coppa America grazie a una doppietta nella finale contro il Paraguay. «È il momento più bello della mia vita», dirà al termine del match. Diego è il terzo giocatore di sempre per presenze con la maglia della Celeste (112) e terzo anche nella classifica goleador con 36 reti, dietro a fenomeni come Suárez e Cavani.

La Serie A la sfiora più volte. «Sono stato vicino alla Juventus, si parlò anche di Milan e, soprattutto, Lazio. Ma forse costavo troppo». Il momento giusto arriva nell’estate del 2011 quando sbarca all’Inter del dopo Triplete. Un peso insostenibile. È infatti è una delusione totale: gioca 18 incontri e realizza la miseria di due gol. Si dirà, è colpa degli infortuni. In realtà è iniziata la sua parabola discendente, che lo porterà a girovagare da un angolo all’altro del pianeta. «Viaggiare ti arricchisce», spiega in quei mesi, «e io sono un uomo di mondo». Milita nell’Internacional di Porto Alegre, nei Cerezo Osaka, di nuovo al Peñarol, poi al Mumbai City fino ad Hong Kong, dove chiude la sua carriera nel Kitchee.

Fra una partita omaggio a Montevideo e un’intervista in cui scaglia un paio di strali contro l’ex compagno di squadra Cristiano Ronaldo («Passava l’intera giornata a guardarsi allo specchio. Nello spogliatoio era una persona egoista, Beckham era di tutt’altra pasta»), Diego costruisce il suo futuro. Che appare tutt’altro che nuvoloso. Nel suo destino ci sarà al 99% una panchina. Quasi un omaggio al padre Pablo e a Sir Alex. «Mi piacerebbe molto guidare una squadra», ha spiegato in una recente intervista. «Ho quasi concluso il corso da allenatore e continuo a studiare perché il calcio è un mondo che non si ferma mai». Proprio come lui.