Tre temi sulla seconda giornata di Serie A

La partita emotiva tra Juve e Napoli, il derby degli opposti, il Milan che cerca se stesso.

Il senso di Juventus-Napoli alla seconda giornata

La sfida tra Juventus e Napoli è la più attesa e grande e importante della Serie A 2018/19, lo dicono i numeri degli ultimi anni e quelli dei valori delle rose. Il fatto che si giochi già al secondo turno cambia poco rispetto alla sostanza delle cose, ci sono in palio gli stessi tre punti che ci sarebbero in una giornata diversa, ma la realtà è necessariamente più sfumata: il mercato è ancora aperto e le squadre sono in via di definizione, soprattutto quella di Sarri, grande ex di turno (quasi una consuetudine, tre anni dopo Higuaín) che però non dovrebbe essere in panchina, almeno fino a nuovo ordine; il risultato non potrà essere così impattante sulla classifica, la vittoria di una delle due squadre dilaterebbe poco le distanze e un pareggio darebbe un vantaggio minimo a un’eventuale terza contender in agguato (l’Inter?). Quindi la prospettiva è leggermente diversa, a Torino andrà in scena una partita dal significato soprattutto emotivo, il cui risultato indirizzerà la prima fase di stagione. Come già accennato, la Juve ha meno certezze rispetto al Napoli di Ancelotti, è inevitabile quando si avvia un nuovo progetto tecnico, quando il nuovo allenatore ha il compito di modificare le basi tecniche e forse anche culturali di una realtà così importante; allora un successo sugli azzurri potrebbe alimentare la percezione di essere più forti, e di esserlo nonostante un cambiamento in atto; confermerà ai bianconeri di essere sulla strada giusta per confermare il dominio imposto negli anni Dieci, per proseguire con maggiore convinzione in questo primo abbozzo di rivoluzione. Dall’altra parte, il Napoli è alla ricerca di conferme, un risultato positivo a Torino accenderebbe l’entusiasmo intorno a un gruppo che non ha subito stravolgimenti, che è stato solo integrato in alcuni ruoli chiave e deve solo crescere, non scoprire o costruire una nuova identità. Rispetto al passato non sarà uno scontro anche ideologico, si affrontano due squadre diverse ma entrambe offensive, almeno sulla carta, e il fatto di essere a inizio stagione potrebbe incidere anche su questo aspetto: pochi calcoli, ancora meno attesa del solito, si va in campo per vincere, per mettere in chiaro le cose. Per farlo subito. Sarà una bella partita, anche alla seconda giornata.

 

Il derby degli opposti

La chiave di Lazio-Roma, di questo derby che arriva così presto, è nello stato delle due squadre, esattamente opposto: Inzaghi e i suoi uomini sono chiamati a consolidare un progetto che va avanti da anni, Fonseca è all’inizio di una piccola rivoluzione tattica, ma soprattutto dell’approccio. Da qui cadono a cascata mille temi, mille prospettive da cui poter partire per presentare il match dell’Olimpico: nelle prime uscite stagionali, la Lazio ha dimostrato di essere una squadra già rodata, consapevole delle proprie possibilità e rispetto a cosa può e deve fare in campo, dopotutto i cambiamenti sul mercato sono stati minimi e l’approccio elastico di Inzaghi è una garanzia di equilibrio, di solidità; la Roma rappresenta invece una novità assoluta, non solo nella storia giallorossa ma proprio per tutto il calcio italiano, le etichette semplicistiche del Fonseca come Zeman sono state apposte subito, ma la realtà è che il tecnico portoghese ha idee ambiziose, che richiedono tempo per essere assimilate e riprodotte in campo con efficacia; in più l’ambiente giallorosso deve metabolizzare una sessione di trasferimenti ricca di movimenti e di scommesse, ci sono  giocatori giovani da integrare e simboli del passato da dimenticare. Quindi magari la Lazio potrebbe essere favorita per questo derby, ma è una sensazione che va maneggiata con attenzione, perché certe partite, certe atmosfere, possono cambiare le carte in tavola.

Nell’ultima stagione, Lazio e Roma si sono spartite i derby: 3-1 all’andata in favore dei giallorossi, 3-0 al ritorno per la squadra di Inzaghi (Paolo Bruno/Getty Images)

Giampaolo, il Milan e il cambiamento

Marco Giampaolo non ha un compito facile, al Milan: deve creare e imporre qualcosa di nuovo a livello tattico, magari la sua visione, infatti è stato scelto proprio per questo, ma deve anche fare i conti con dei calciatori che non sembrano poter recepire le sue istruzioni. È una sensazione condivisa da tutti dopo la preseason dei rossoneri e dopo l’esordio balbettante di Udine, anzi proprio Giampaolo si è espresso in maniera scettica sulle possibilità di adattamento di alcuni interpreti al suo sistema di gioco preferito, il 4-3-1-2 – Piatek e Suso su tutti. E allora ecco un nuovo cambiamento, la possibile controrivoluzione: contro il Brescia, a San Siro, i rossoneri potrebbero proporre un nuovo assetto, una sorta di ibrido tra il 4-3-3 di Gattuso e il rombo di Giampaolo, con Suso e Bonaventura alle spalle di Piatek, schierato come unica punta. Questa possibile trasformazione è stata accolta e (pre)giudicata con scetticismo, come se un’impostazione iniziale, anche se rappresenta una sorta di feticcio, magari anche una guida per e sul calciomercato, non possa essere rivista alla luce delle contingenze. In realtà il compito degli allenatori è proprio quello di trovare il modo migliore per esaltare i propri giocatori, e i principi di gioco fanno la differenza rispetto ai numeri di un modulo. Appena quattro anni fa Maurizio Sarri ha vissuto un’esperienza simile al Napoli, e ne è uscito discretamente, per usare un eufemismo. Il Milan deve ancora capire cos’è, cosa può essere, allora ben vengano le sperimentazioni, ben venga la ricerca, il match contro una squadra che non ha paura di giocare – il Brescia visto a Cagliari ha qualità individuali di buon livello e non rinuncia all’idea di colpire l’avversario – potrebbe offrire il contesto giusto per dare a Giampaolo le indicazioni che cerca, e di cui ha bisogno il Milan.

Con il Milan, Piatek ha segnato 11 gol in 22 partite ufficiali (Alessandro Sabattini/Getty Images)