Il passo indietro della Juventus
La vittoria contro il Napoli, prima della sosta, aveva un significato importante oltre i tre punti conquistati con una rivale diretta: la Juventus vista nei primi 60′ del match contro gli azzurri era sembrata una squadra (abbastanza) vicina all’idea di calcio del suo allenatore, capace di muovere velocemente il pallone e sfruttare i punti deboli degli avversari. A Firenze, quella Juventus non si è vista. Certo, l’infortunio nei primi minuti di Douglas Costa ha un peso sul giudizio della partita, ha costretto a un cambio di strategia e ha privato Sarri del miglior calciatore di questo avvio di stagione, ma il passo indietro della Juve è apparso evidente. I numeri raccontano la superiorità territoriale degli uomini di Montella (18 tiri contro 8 dei bianconeri), l’assenza di occasioni da gol reali, al netto della chance capitata a Khedira nella ripresa, certifica una difficoltà reale nel bypassare un sistema difensivo intenso come quello della Fiorentina. Alla vigilia del match contro l’Atlético, Sarri si trova a dover far fronte alle prime difficoltà: finora ha utilizzato un solo blocco di calciatori, con il solo de Ligt pescato dall’elenco dei nuovi acquisti; anche per questo non sarà facile trovare nuove soluzioni, considerando pure le assenze di Chiellini, ovviamente di Douglas Costa, ma probabilmente anche di Higuaín per la trasferta al Wanda Metropolitano. Uno stadio che, tra l’altro, non evoca bei ricordi alla Juventus, che si trova già di fronte al primo bivio della sua stagione.
Mertens e la continuità
Secondo la percezione comune, Dries Mertens si è “fermato” alla prima metà della stagione 2017/18, l’ultima di Sarri sulla panchina del Napoli. A dicembre 2017, un anno dopo lo spostamento nel ruolo di prima punta – un’intuizione dell’attuale tecnico della Juventus –, il belga aveva realizzato 40 gol in 47 partite, senza considerare tutto il resto del suo contributo al gioco degli azzurri – assist decisivi, movimenti a uscire per servire i compagni, dribbling nello stretto. Quello è stato il picco di riferimento dell’ex Psv, che dopo un reale calo nella seconda metà della stagione 17/18 ha attivato una modalità di rendimento forse più silente, ma non per questo meno dominante: dall’arrivo di Ancelotti al Napoli, infatti, Mertens ha segnato 22 gol e servito 13 assist in 3254′ di gioco. Praticamente ha realizzato o propiziato una rete ogni 92 minuti. La doppietta contro la Sampdoria ha confermato la centralità di Mertens nel nuovo Napoli: nel sistema di Ancelotti, il belga agisce come punta mobile, può scegliere di allargarsi sulla “sua” fascia sinistra come di attaccare la profondità; in fase di conclusione, la sua rapidità e la facilità di coordinazione lo rendono imprevedibile soprattutto sul breve – per informazioni chiedere a Murillo, letteralmente bruciato in occasione della prima marcatura di sabato. Nella ripresa del match di sabato, l’esordio di Llorente ha creato un nuovo scenario tattico: il basco ha un gioco diverso da quello di Milik (altro compagno con cui il belga ha costruito una certa intesa), è più fisico, più statico, più presente in area, può fungere da riferimento mentre Mertens si muove come seconda punta e come regista offensivo, senza perdere efficacia e creatività. Dries Mertens sembra aver fatto un patto con il diavolo e con sé stesso, ha venduto la sua anima di fantasista per diventare un attaccante letale, al punto che anche Ancelotti non riesce a fare a meno di lui, si gode la sua continuità nonostante Dries abbia 32 anni compiuti a maggio, creando sempre nuove soluzioni per sfruttare le sue immense qualità.
Il primo gol di Mertens contro la Sampdoria
Giampaolo sa che il Milan ha problemi tattici
A un punto dal secondo posto, con due partite vinte consecutive e la miglior difesa della Serie A. A leggerla così, la stagione del Milan sembrerebbe partita bene, eppure Giampaolo, intervistato dopo la vittoria contro il Verona, è stato onesto sui pochi meriti di questa squadra e i suoi grandi limiti. Ha parlato, l’allenatore ex Sampdoria, soprattutto di schemi da incorporare, di movimenti non assimilati, di schemi adatti a una situazione e schemi che non si possono reggere 90 minuti (come il 4-3-3). Il problema del Milan, per Marco Giampaolo, è soprattutto tattico, e ha ragione: al Bentegodi si è vista una squadra con cinque, sei giocatori oltre la linea della palla, che non sa ancora però muoversi, e facile, dunque, da difendere. Giunti ai frangiflutti della linea difensiva schierata, i sei offensivi del Milan si scambiano il pallone senza scambiarsi la posizione, sfruttando linee troppo centrali, come evidenziato dalle heatmap del match che lasciano troppo fredde le fasce, e toccando il pallone troppo a lungo. Logico che l’unico che possa tirare, in queste situazioni, sia sempre Suso. Il Milan ha sofferto, in queste prime tre partite, contro squadre chiuse, ma paradossalmente potrebbe essere più ottimista nella partita di sabato prossimo, la più difficile dell’anno.
Il rigore decisivo di Verona-Milan