La sconfitta dell’Atlético Madrid in casa della Real Sociedad è racchiusa tutta nei pochi secondi in cui i baschi hanno costruito il gol dell’1-0 segnato da Martin Odegaard. Un’azione veloce, partita dalle mani del portiere Moya e sviluppata sul lato sinistro con pochi tocchi: Monreal verticalizza per Oyarzabal, che con un passaggio d’esterno serve Merino tagliando fuori l’intera linea di centrocampo avversaria. Poi la traccia interna, in orizzontale, per il talento norvegese, liberissimo a venti metri dalla porta; infine, ecco una ricezione troppo comoda per l’ingresso in area e una deviazione decisiva sul tiro. È un’azione indicativa di quel che, più in generale, durante tutti i novanta minuti, i ragazzi di Simeone hanno regalato alla Real Sociedad: transizioni difensive confuse, errori individuali – anche banali – in fase di costruzione, occasioni da gol costruite solo a metà e altre mai finalizzate.
Insomma, la prima sconfitta stagionale dei Colchoneros è arrivata dopo una prestazione negativa ma in qualche modo fisiologica o quantomeno giustificabile, soprattutto in questo avvio di campionato che coincide con una fase di evoluzione della squadra. L’Atleti ha cambiato molto in estate e adesso deve adattarsi a una nuova immagine. La sconfitta della Reale Arena – nuovo nome dello stadio Anoeta, fresco di ristrutturazione – allora, «può essere istruttiva», come ha detto il difensore uruguaiano Giménez a fine partita. A maggior ragione perché arriva a pochi giorni dall’esordio stagionale in Champions League, contro la Juventus. La partita di San Sebastián è forse anche più istruttiva delle tre vittorie di agosto, sempre in Liga contro Getafe, Leganés ed Eibar: in quelle partite la squadra di Simeone era sembrata inaspettatamente pronta, brillante e ricettiva ai cambiamenti, che sono stati enormi.
In estate i Colchoneros hanno perso il capitano Godín e Antoine Griezmann, cioè l’anima difensiva e l’uomo che muoveva i fili in attacco. Con loro, sono scompari altri tre quarti della vecchia linea difensiva – Lucas Hernández, Filipe Luís e Juanfran – oltre al faro di centrocampo Rodri, finito al Manchester City per 70 milioni. Il mercato in entrata ha dovuto quindi ridisegnare la rosa a disposizione di Simeone. Il nuovo Atlético ha meno esperienza, ma ancje diverse opzioni in più, grazie all’arrivo di un mix di giovani e giocatori già pronti: insieme al terzino brasiliano Renan Lodi, al centrale Mario Hermoso – già nel giro della Nazionale spagnola – e al mediano Marcos Llorente, sono stati acquistati anche Trippier (dal Tottenham), Felipe e Héctor Herrera (dal Porto). Ma il nome più importante è ovviamente quello di João Felix.
Il portoghese classe ‘99 rappresenta, da solo, un cambiamento di prospettiva per l’intero ambiente rojiblanco. È una questione di status, del giocatore e della squadra che lo ha comprato, perché è vero che il costo del cartellino – oltre 120 milioni – è stato coperto quasi interamente con i soldi incassati dalla cessione di Griezmann, ma già al termine della scorsa stagione era chiaro che João Felix fosse la next big thing del calcio mondiale. Quindi era logico pensare che fosse destinato a un ristretto gruppo di squadre, quattro o cinque superclub, nei quali non dovrebbe rientrare l’Atleti. Quello di Joao Felix è un acquisto figlio di un’ambizione chiara da parte del club colchonero, che vuole rompere lo status quo delle grandi d’Europa ed entrare di prepotenza in quello stesso circolo elitario.
Oltre il discorso politico, va sottolineato come l’arrivo di João Felix abbia avuto un impatto già evidente sull’approccio al gioco dell’Atlético – un discorso che va al di là dei numeri del talento portoghese, già autore di un gol e un assist dopo tre partite, oltre a un rigore procurato e al primato di squadra per dribbling tentati e riusciti. La trasformazione della squadra di Simeone è stata anticipata e spiegata da Koke, uomo simbolo dell’era-Simeone, durante il precampionato: «Il nostro allenatore vuole che diventiamo più offensivi, che teniamo di più la palla e che guardiamo di più la porta avversaria rispetto agli altri anni». È una nuova consapevolezza: anche la squadra che è arrivata seconda nelle ultime due stagioni di Liga, sempre davanti al Real Madrid, può crescere ancora. Ma per farlo deve avere un nuovo atteggiamento. Un atteggiamento più offensivo.
L’idea di Simeone è che il suo Atlético debba sviluppare una fase d’attacco non può dipendente dal genio di un solo giocatore – per quanto eccezionale – come spesso è accaduto negli ultimi anni con Griezmann. Il cambio di mentalità deve essere legato all’atteggiamento di tutti gli undici giocatori in campo, preparati e mentalizzati a un gioco offensivo più ragionato, più manovrato e sistemico. Anche se questo dovesse comportare una deroga (anche solo parziale) a quei principi che hanno portato gli ottimi risultati degli ultimi anni. Doveva essere ed è una scelta coraggiosa: abbandonare la strada che ha portato fino a questo punto del percorso di crescita, quella che ormai era diventata una comfort zone, per intraprenderne una più ambiziosa e per questo accidentata, che soprattutto all’inizio potrebbe portare grosse difficoltà.
È per questo motivo che nelle prime partite della stagione Simeone sta mettendo sul tavolo tante opzioni, sempre diverse, dimostrando come la sua squadra sia ancora in fase di costruzione, ma ha in cantiere progetti molto interessanti. All’esordio in campionato, per contrastare il 4-4-2 compatto del Getafe, Simeone ha proposto un rombo di centrocampo inedito con Koke e Saúl Ñíguez ai lati di Thomas; Lemar schierato in posizione da trequartista e i terzini Trippier e Lodi costantemente in attacco a garantire ampiezza; le due punte Morata e Joao Felix, nel frattempo, giocavano tra centrale e terzino per allargare e muovere le maglie della difesa. Una soluzione che potrebbe dare dare all’Atleti un’opzione contro le squadre più chiuse – come appunto il Getafe. ùgrazie ai tanti scaglionamenti offerti dal 4-3-1-2, infatti, i Colchoneros potrebbero ovviare a un problema ricorrente nelle ultime stagioni: la ripetitività della manovra offensiva.
Contro il Leganés, una settimana dopo, un’altra proposta ancora. Simeone ha emulato lo schieramento avversario provando la difesa a tre. Inizialmente la scelta non ha pagato grandi dividendi in termini di occasioni create, ma l’aggiunta del terzo centrale ha semplificato di molto il consolidamento del possesso da dietro, migliorando la circolazione del pallone nel primo palleggio. Poi un nuovo rombo, con interpreti diversi, contro l’Eibar, prima del ritorno al 4-4-2 visto a San Sebastián.
La partita più divertente dell’Atlético Madrid in questo inizio di stagione: 3-2 contro l’Eibar, al Wanda Metropolitano
Per ora siamo ancora nel campo degli esperimenti, tentativi che hanno bisogno di correzioni e di revisioni. Ma segnano una strada: l’Atlético sta provando ad essere una squadra meno conservativa, più aggressiva e proattiva rispetto a quanto fatto vedere nelle ultime stagioni. E sembrerebbe esserci già un primo risultato importante raggiunto da Simeone: la sua nuova creatura è più versatile offensivamente rispetto al passato, ha proposte di gioco più varie, è pensata e costruita per essere efficace contro tutti gli avversari, sempre in maniera diversa. Questa nuova elasticità permetterebbe a Simeone di sfruttare al meglio meglio tutti gli elementi della rosa – cosa che non è riuscita granché negli ultimi anni. È un discorso di disponibilità, di capacità di assimilare le variazioni rispetto allo spartito iniziale. È successo anche contro il Leganés: nella ripresa il Cholo ha spostato Saúl sulla linea dei difensori e ha ridisegnato il suo attacco per inserire Vitolo, che poi si è rivelato decisivo con il gol sull’assist di Joao Felix.
Ovviamente, è ancora presto per capire a cosa porterà questa rivoluzione offensiva, per stabilire se la squadra riuscirà davvero, sul lungo periodo, a metabolizzare un’evoluzione che è iniziata con il mercato e prosegue in campo. Verosimilmente, l’Atlético che affronterà la Juventus sarà molto diverso da quello che arriverà in primavera a giocarsi – eventualmente – i trofei più importanti: la Liga, la Copa del Rey, e forse anche la Champions League. Proprio quella competizione che nelle ultime stagioni ha premiato chi ha proposto un calcio offensivo, e che dopo due finali perse rappresenta un’ossessione per Simeone e per l’intero universo dell’Atlético Madrid.