L’Europa League è una miniera di storie

Buffe, drammatiche, eroiche o particolari, sia in campo che in panchina, e vale la pena leggerne un po'.

I numeri sono sempre quelli: 48 squadre, 144 partite da giocare e 24 posti a disposizione per proseguire l’avventura. La fase a gironi dell’Europa League regala gol a grappoli e la sensazione di non riuscire ad afferrare tutta quella quantità di calcio che si distribuisce nei sei giovedì designati.

Le favorite di questa edizione portano i nomi di Manchester United e Arsenal, anche se i rapporti di forza e gli equilibri possono risultare stravolti dall’ingresso nella competizione delle terze classificate ai gironi di Champions League. Dal 1999, anno del varo della Champions con 32 squadre alla fase a gruppi, e della possibilità per le terze di scivolare in Uefa, sono state 8 (su 20) le volte in cui la vincitrice del trofeo è arrivata in Coppa Uefa/Europa League scivolando dalla competizione principale. Ogni anno, la fase a gruppi si rivela comunque un ampio contenitore di storie e talento, di protagonisti dimenticati, di allenatori antieroi, di comparse e caratteristi del pallone in cerca di una ribalta.

 

Attaccanti frequent flyer

È da seguire il percorso di crescita di Alfredo Morelos, centravanti colombiano dei Glasgow Rangers, capocannoniere della fase preliminare dell’Europa League con 8 reti messe a segno. Già nella passata stagione si era messo in luce sia per la sua vena realizzativa che per le cinque espulsioni rimediate, molte delle quali a causa di colpi rifilati agli avversari a palla lontana. Morelos ha 23 anni, è soprannominato El Bufalo per il modo di giocare di chi non si risparmia e cerca spesso, e con profitto, il duello fisico. Viene da una famiglia molto povera di Cereté (distretto di Córdoba) ed è arrivato nel campionato scozzese seguendo un percorso non esattamente abituale. Dal caldo di casa sua, 26 gradi di media durante l’anno, è passato al gelo di Helsinki, dove ha vestito la maglia dell’Hjk. Ha raccontato che uscendo di casa per la prima volta si mise a passeggiare e cadde a causa della neve. La cosa più incredibile fu per lui «vedere il mare congelato».

Sol ha giocato, per il Real Madrid, soltanto nella squadra C nel 2013/14, un anno prima che venisse sciolta

Fa il centravanti anche Fran Sol, nato a Madrid 27 anni fa e cresciuto nelle giovanili del Real. Per lui, dopo qualche prestito tra Lugo e Oviedo e il passaggio al Villarreal, le porte del calcio spagnolo che conta non si sono aperte. Dopo aver collezionato solo due presenze in Liga, ha scelto, all’età di 24 anni, di andarsene a giocare in Olanda per dare una svolta alla sua carriera. Una rotta percorsa prima di lui solo da qualche ex Barça come Oleguer, Gabri (forse l’unico a mettersi davvero in mostra in Eredevisie), Bojan e Cuenca finiti all’Ajax, da attaccanti a fine carriera come Luque e Urzaiz, e da qualche altro calciatore poco noto persino in Spagna. Nell’estate del 2016 Fran Sol ha scelto il Willem II e si è trasferito a Tilburg. In due anni e mezzo ha messo a segno 47 gol in 88 partite, guadagnandosi l’attenzione di molti club europei, cinesi e messicani. La sua seconda stagione in Olanda ha conosciuto una complicazione non da poco quando ha scoperto di avere un tumore al testicolo. «Era un periodo in cui le cose mi stavano riuscendo a meraviglia. Arrivai in ospedale sentendomi invincibile e uscii sentendomi il più debole», ha raccontato a proposito del giorno in cui scoprì la malattia. Questo non gli impedì di scendere in campo due giorni dopo in Coppa d’Olanda contro l’Heerenveen e di decidere l’incontro con un gol, poche ore prima dell’intervento chirurgico. A gennaio 2019 ha chiesto la cessione in tutti i modi e, dopo un’estenuante trattativa, è stato lasciato andare alla Dinamo Kiev, con cui ha già esordito e fatto gol nella passata Europa League. È un centravanti non particolarmente fisico ma bravo con entrambi i piedi, dotato di una grande coordinazione e, soprattutto, molto abile nei sedici metri. A proposito di un ritorno in Spagna si è mostrato piuttosto freddo: «Non è il mio sogno, è una possibilità. Vedo che lì non apprezzano molto il mio lavoro e i miei gol e allora non ci penso troppo».

La miglior stagione di Ekuban, in termini di realizzazione, è la 2016/17 con il Partizani Tirana: 17 gol in 34 partite di campionato albanese

Per Caleb Ekuban sarà la prima volta nella fase a gironi. Ha 25 anni, è la punta titolare del Trabzonspor, è nato a Villafranca di Verona ed è cresciuto nelle giovanili del Chievo. È di origini ghanesi, fa parte della nazionale delle Black Stars e proprio quest’estate, in Coppa d’Africa, il suo errore dal dischetto ha sancito l’eliminazione del Ghana agli ottavi di finale contro la Tunisia. Tra il 2013 e il 2016 ha militato in tre differenti squadre di Serie C: Sudtirol, Renate e Lumezzane. La famiglia di Caleb Ekuban si trasferì in Italia nel 1987 perché suo padre, il reverendo Kobina Ekuban, è un leader ecclesiastico della Chiesa Pentecostale ora in missione a Mantova. Alla scomparsa di sua madre Sabina è legato uno dei momenti più intensi della passata stagione di Ekuban al Trabzonspor. Pochi giorni dopo il lutto, il primo dicembre scorso, si giocava Kayserispor-Trabzonspor. Ekuban, partito dalla panchina, ha chiesto con insistenza al suo allenatore Karaman di entrare in campo fino a che, a 15 minuti dalla fine, non è stato accontentato. Pochi minuti dopo ha sbloccato il risultato con un colpo di testa su punizione dell’ex Napoli e Milan José Sosa, ed è scoppiato in lacrime. Da quel momento la sua stagione ha preso tutt’altra piega, diventando titolare e conquistando un posto in Nazionale ghanese. Stasera sul campo del Getafe non ci sarà a causa di una frattura al piede sinistro rimediata in allenamento la scorsa settimana, e che lo terrà fuori per un mese e mezzo.

Antieroi in panchina

«Il nonno di Uwe Rösler ha bombardato Stretford End», cantavano i tifosi del Manchester City negli anni ‘90 per omaggiare il loro beniamino. Non era vero: la Luftwaffe bombardò sì Old Trafford nel febbraio del 1941, ma l’antenato dell’attaccante nato ad Altenburg, allora Germania Est, non c’entrava nulla. «Humour inglese», rispose Rösler a chi in patria gli fece notare l’inopportunità di posare con indosso la t-shirt ispirata al coro. La carriera del possente e grintoso centravanti Uwe Rösler conobbe i suoi anni più felici in quel City che saliva e scendeva dalla prima e dalla seconda divisione. A tal punto che scelse di chiamare i suoi due figli maschi con i nomi di due leggende del club: Colin, come Colin Bell, e Tony, come Tony Book. Ora Rôsler allena il Malmø, club inserito nel gruppo B e che lo scorso anno condusse fino ai sedicesimi di finale, eliminato dal Chelsea, futuro vincitore della coppa. Forse rivede un po’ le movenze del Rösler calciatore in Markus Rosenberg, centravanti attorno a cui ruota la sua squadra, sempre molto attenta e messa in campo, di solito, con un ordinato 4-4-2. Anche se Rösler non è un integralista e a volte decide di partire schierando una difesa a tre. La sua vita è stata tutt’altro che banale e lo ha raccontato nella sua autobiografia Knocking Down Walls. Particolarmente interessante è la parte in cui riferisce di quando fu interrogato, neanche ventenne, dalla Stasi ai tempi della Lokomotive Lipsia. Gli agenti della polizia segreta della Germania dell’Est volevano sapere da lui informazioni sui compagni e sulla loro condotta in occasione delle gare in trasferta. Temevano nuove fughe come avvenne con Lutz Eigendorf, centrocampista della Dinamo Berlino che nel 1979, dopo un’amichevole contro il Kaiserslautern fuggì in Germania Ovest. O come fece Brigitte Berendonk, discobola, che più avanti scrisse un libro di denuncia sul doping di Stato. Rösler seppe resistere e fu lasciato andare a una sola condizione: quel giorno non era accaduto proprio nulla.

Nella stagione 1999/00 Rösler, dopo una parentesi al Kaiserslautern, gioca un anno nel Tennis Borussia Berlin, la seconda squadra per anzianità della capitale tedesca, fondata nel 1902

Nello scorso febbraio, dopo il passaggio di Brendan Rodgers al Leicester, sulla panchina del Celtic è tornato Neil Lennon, ex bandiera e tecnico proprio dei biancoverdi di Glasgow dal 2010 al 2014. Da un gioco prevalentemente basato sul possesso palla e sulla gestione del vantaggio, Lennon ha chiesto alla sua squadra un calcio più diretto e meno speculativo nel tentativo di riprendere il lavoro interrotto qualche anno prima, quando il suo Celtic era considerato una delle squadre più divertenti di Scozia. I successi in campo e il gioco espresso stridevano un po’ con la sua vita fuori dal campo. Nordirlandese e cattolico, Neil Lennon ha subìto nel corso della sua carriera, sia da giocatore che da allenatore, numerose minacce e aggressioni. A partire da quando ha dovuto chiudere la sua esperienza con la nazionale all’età di 31 anni. Prima di un’amichevole contro Cipro arrivò una telefonata alla Bbc dal contenuto inequivocabile: quella sera Lennon sarebbe stato ucciso. Erano le formazioni paramilitari unioniste a volere che lui, cattolico, lasciasse la Nazionale. Sui muri di Belfast, in quegli anni, le scritte “Lennon RIP” erano all’ordine del giorno. Non meno complessa è stata la vita di Lennon in Scozia, soprattutto nel rapporto con i tifosi dei Rangers, squadra che rappresenta la componente protestante della città di Glasgow: un pacco bomba inviato a casa, un’aggressione in strada nel 2008, scritte sui muri inneggianti alla sua impiccagione sono solo alcune cause che hanno fatto sì che nel 2011 gli venisse assegnata una scorta.

Due delle tre Coppe di Lega inglesi vinte dal Leicester hanno la firma di Lennon: nel 1997 e nel 2000

Meno tormentato è stato il percorso di vita di Ivo Vieira, giovane allenatore del Vitoria Guimarães. La squadra portoghese fa parte del girone F, lo stesso di Arsenal, Eintracht Francoforte e Standard Liegi. Vieira, dopo una stagione da tecnico dell’Estoril conclusasi con la retrocessione del club, è ripartito lo scorso anno dalla Moreirense, squadra di Moreira de Cónegos, frazione di Guimarães. Inaspettatamente Vieira ha condotto i suoi al miglior piazzamento della storia di questo piccolo club, arrivando a giocarsi la qualificazione al preliminare di Europa League all’ultima giornata di campionato. Del suo passaggio al Vitoria Guimarães si parlava già un mese prima della partita decisiva. L’annuncio ufficiale è arrivato però soltanto il 17 giugno, quando Vieira è diventato il sostituto di Luís Castro, passato ad allenare lo Shakhtar Donetsk, sostituendo a suo volta un altro allenatore portoghese, Paulo Fonseca. Dall’inizio della stagione Vieira ha perso soltanto contro il Porto fuori casa, mettendo in mostra un buon gioco incentrato prevalentemente sull’abilità nell’uno contro uno sulle corsie di ali tecniche e veloci come Rochinha e Davidson. Per il suo 4-2-3-1 ha gradito molto l’arrivo di Lucas Evangelista, ex Udinese, che ha già avuto ai tempi dell’Estoril e che impiega nel ruolo di trequartista centrale.

Protagonisti ritrovati

Sette anni dopo la sua ultima partecipazione alla competizione, riecco Emanuel Pogatetz, centrale difensivo austriaco in forza al Lask Linz. Fu soprannominato Mad Dog dopo il suo primo allenamento con il Middlesbrough. La spiegazione è rintracciabile nelle parole del suo allenatore dell’epoca, Steve McClaren: «Era assolutamente pazzo, spietato, senza alcuna paura. Era uno contro cui non avresti voluto giocare, un assassino sul campo ma un vero gentiluomo». Ancora oggi è un idolo dei tifosi del Boro, seppe entrare in piena simbiosi con l’ambiente, a tal punto che lo si poteva incontrare in giro a bordo della sua Mini con la Union Jack impressa sul tettino. Faceva parte di quel Middlesbrough che nel 2006 raggiunse la finale di Coppa Uefa, persa poi con il Siviglia. La competizione, però, finì ai quarti di finale per Pogatetz, quando nel match di andata con il Basilea si ruppe naso e zigomo in uno scontro con Mladen Petric. Per tre mesi dovette restare fuori dai campi da gioco altrimenti avrebbe rischiato di perdere la vista. Anche perché, solo due settimane prima, un violento scontro aereo con Kevin Davies del Bolton gli era costato cinque punti di sutura in faccia. Iconica la foto di Pogatetz, con il volto insanguinato, che si allaccia con Davies. Terrificante fu invece l’entrata di Pogatetz su Rodrigo Possebon, allora al Manchester United, a cui ruppe la gamba con un tackle violentissimo nel 2008. Poco tempo dopo, in un’intervista, espose il suo manifesto calcistico: «Sfortunatamente, ho fatto del male a degli avversari e loro hanno fatto male a me, è così. Mi piace il modo in cui gioco e non lo cambierò. Mi piace dare il 100% e, dopo la partita, è importante guardarsi allo specchio e poterlo riconoscere». Nel 2011/12, all’Hannover, l’ultima avventura in Europa League. Psv, Rosenborg e Sporting Lisbona sono le avversarie nel girone del Lask Linz, club austriaco capace di eliminare il Basilea nei preliminari di Champions prima di arrendersi al Bruges al playoff.

Pogatetz ha giocato un po’ ovunque in Europa: Austria, Germania, Svizzera, Russia, Inghilterra

Nel girone A, con Siviglia, Dudelange e Qarabag è inserito l’Apoel Nicosia, allenato da Thomas Doll, ex centrocampista tedesco con un passato nella Lazio e nel Bari. Sempre nell’Apoel gioca un certo Linus Hallenius, anche lui passato per il campionato italiano. Lo acquistò Preziosi e arrivò in Italia nel gennaio 2011 con la fama di “nuovo Ibrahimovic”. Si era guadagnato l’etichetta, oltre che per il fatto di essere svedese, grazie a un incredibile gol segnato con la maglia dell’Hammarby, club di seconda divisione svedese in cui militava. Il 20 giugno del 2010 in occasione di Syrianska-Hammarby, su un lancio del compagno Andreas Dahl, Hallenius stoppa di petto, fa un pallonetto al volo di destro e da posizione impossibile, ancora al volo, di sinistro manda la palla nell’angolo opposto. Il gol fa il giro del mondo e gli vale il secondo posto al Premio Puskas 2010. Con il Genoa gioca una sola partita, nell’annata 2012/13. La scorsa stagione da titolare nel Sundsvall, Serie A svedese, ha eguagliato il suo record personale di gol – 18 – e nella prima parte del 2019 era a quota 6, prima del suo passaggio al club cipriota.

Hallenius gioca una sola partita in Serie A, con il Genoa: una sconfitta contro la Fiorentina nel 2012, in una stagione in cui sulla panchina passano Ballardini, Delneri e De Canio

Due squadre in particolare radunano molte vecchie conoscenze del campionato italiano. Il Basaksehir di Istanbul, avversaria della Roma, può schierare come esterni offensivi Robinho e l’olandese Eljero Elia, arrivato alla Juve nel 2011 dall’Amburgo con grande hype. In mezzo al campo, anche se non sicuro del posto di titolare, c’è lo svizzero Gokhan Inler. L’allenatore della squadra turca è Okan Buruk, esterno di centrocampo passato per l’Inter di Cuper. Molto più lunga e più cult è la lista degli ex Serie A dello Standard Liegi guidato da Michel Preud’homme: secondo e terzo portiere dei belgi sono l’ex Sola Vanja Milinkovic-Savic e l’ex Bari e Torino Jean François Gillet; tra i difensori l’ex Crotone Dussenne, l’ex Cagliari Miangue e l’ex Lazio Cavanda; a centrocampo l’ex Genoa e Avellino Bastien, gli esterni Lestienne e Mpoku, rispettivamente passati per Genoa e Cagliari; in attacco l’ex Ternana e Bologna Avenatti e l’ex Cagliari Cop.