Berardi è il miglior giocatore di questo inizio di campionato. Non il migliore del Sassuolo: il migliore di tutta la Serie A. Al di là della forzatura semantica, Berardi è il miglior marcatore di questo inizio di stagione con cinque reti, e ha contribuito a sette dei dieci gol della sua squadra (il secondo miglior attacco, dopo il Napoli). È chiaramente il leader tecnico ed emotivo di un Sassuolo che sta giocando un ottimo calcio offensivo, guidato proprio dal suo capitano. L’unico interrogativo sulla tenuta del castello costruito da De Zerbi non riguarda tanto il campo, l’approccio tattico della squadra, la solidità difensiva o se reggerà lo sforzo fisico e mentale per tutta la stagione. È un dubbio più astratto. E riguarda proprio Domenico Berardi. Banalmente: quanto durerà, stavolta?
Nulla di quel che ha fatto vedere il ragazzo da Cariati Marina in queste tre partite (ha saltato la prima giornata per squalifica) fa pensare che possa esserci – ancora – un lato oscuro della forza. Ma è pur vero che, dopo sei stagioni di Serie A, credere a tutto quel che ci dice di sé Berardi quando va in campo è quanto meno ardimentoso. Veder giocare il 25 del Sassuolo, dopotutto, è come sentir parlare un bugiardo cronico: oltre ogni evidenza, si fa fatica a dar peso alle sue affermazioni.
La realtà che l’attaccante del Sassuolo disegna davanti ai nostri occhi quando parte da destra, accarezza il pallone con il sinistro, si muove senza palla negli spazi e nei tempi giusti ci dice che Berardi è un giocatore eccezionale, come ha dimostrato, dimostra e probabilmente continuerà a dimostrare negli anni. I suoi gesti tecnici, per saltare un avversario o servire un assist in controtempo sui movimenti della linea difensiva, raccontano di un talento superiore, di un ragazzo che possiede il potenziale per stare ai più alti livelli in Serie A. I numeri che Berardi ha messo insieme in poco più di sei stagioni confermano questa possibilità, almeno in teoria: ha segnato cinque triplette, oltre ad aver raggiunto quota 60 gol in totale nel massimo campionato italiano, entrando in un ristrettissimo gruppo di calciatori nati dopo il 1994 che hanno segnato 50 o più gol in una delle cinque leghe più importanti d’Europa. A fargli compagnia, per dire, ci sono solo Timo Werner, Kylian Mbappé e Raheem Sterling.
Tutte queste cifre, però, sembrano non corrispondere al suo reale valore, è come se Berardi fosse in grado di smentire i suoi stessi numeri – con altri numeri e/o con alcune sensazioni. Perché l’attaccante del Sassuolo è inspiegabilmente bravo a far emergere il sommerso del suo gioco, dove per sommerso si intende la parte più negativa, quella che invece bisognerebbe nascondere, quella che lui stesso dovrebbe aver interesse a non mostrare agli altri. È un riferimento ai tanti cartellini, in primis, alle 6 espulsioni e ai 65 gialli che ha racimolato sui campi della Serie A (uno come Paolo Montero, per dire, ha un giallo in meno nonostante abbia quasi il doppio delle presenze in campionato). Parliamo di un ragazzo che ha già saltato 25 partite per squalifica.
Ma queste difficoltà non riguardano solo il numero di cartellini – una cifra che eventualmente potrebbe essere considerata come un eccesso di impegno difensivo –, ma un intero set di problemi che fanno capo alla sua fragilità caratteriale. Questo difetto emotivo si manifesta in più modi, attraverso debolezze che fanno passare in secondo piano anche un talento eccezionale, e che da un momento all’altro possono trasformare Berardi da giocatore inarrestabile in giocatore lento, prevedibile, egoista, che fa fatica anche a stare in campo. La metamorfosi da Dr. Jekyll a Mr. Hyde può durare settimane, mesi. È accaduto anche nella scorsa stagione, ad esempio, quando ha segnato un solo gol tra la terza e la ventiseiesima giornata – nella vittoria esterna per 0-2 contro il Frosinone.
Lo scollamento tra lo zenit e il nadir, tra la migliore e la peggior versione di Berardi, creano una distorsione nella valutazione del giocatore, della sua carriera. O meglio, rendono praticamente impossibile dare un giudizio di valore univoco. Guardarlo giocare, quando è nel periodo negativo e dopo aver visto più di qualche lampo delle sue qualità, significa osservare un calciatore imprigionato in una realtà che non gli piace, in un contesto fin troppo provinciale che ovviamente gli sta stretto. Per il Sassuolo, il talento di Berardi è decisamente sovradimensionato. E in periodi come questo che sta attraversando in questo avvio di campionato sembra essere lui per primo a dirci che vorrebbe tornare indietro, ricordandoci quel che potrebbe essere se solo non dovesse fare a pugni con il suo alter ego a cui mancano fame e ambizione. Ma quella in cui è immerso Berardi è la realtà che lui per primo ha contribuito a creare: tra occasioni mancate, presunti trasferimenti rifiutati e problemi caratteriali, è difficile non pensare che sia lui la prima causa del mancato upgrade della sua carriera.
Come ha scritto Enrico Sisti su Repubblica dopo la tripletta alla Sampdoria: «Berardi ha trascorso gran parte del momento migliore della sua carriera a dimostrare che ciò che si pensava di lui fosse sbagliato. I primi bagliori di notorietà hanno coinciso con una perdita di valore, improvvisa, inspiegabile. È diventato fumoso, nervoso. Si è arreso ad una condizione di impalpabilità, come nel suo ruolo capitò a Candreva o, più indietro, a Cerci. Bravi, con una marcia in più, certo, ma poi alla fine inciampavano, minacciavano di spaccare il mondo eppure niente di ciò che preparavano sortiva effetti. Adesso ha 25 anni ma è come se non li avesse vissuti: come se li avesse solo consumati. Ha trattenuto gelosamente a sé le proprie virtù, quasi fosse un segreto di cui vergognarsi». Sisti costruisce un paragone con altri giocatori, i what if della storia recente del calcio italiano, quelli che potevano essere e non sono stati.
È un discorso che si può avvicinare ad altre due figure controverse come Cassano e Balotelli, calciatori di puro talento ma privi di quel senso di professionalità che avrebbe dovuto accompagnarne la carriera. Loro però – a differenza di Berardi – sono partiti da molto più in alto: Balotelli è stato allevato nell’Inter, ha vinto un triplete prima di trasferirsi al Manchester City; Cassano è cresciuto nella sua Bari, nella provincia del calcio italiano, ma da giovanissimo è andato alla Roma e a 23 anni ha firmato un contratto con il Real Madrid. Poi però ad entrambi la storia ha presentato il conto. Nessuno dei due è riuscito a rimanere sui palcoscenici che il loro talento avrebbe meritato: partiti come giganti, sono stati costretti a ridimensionarsi strada facendo.
Invece Berardi ha 25 anni, può ancora essere e mostrare la miglior versione di sé, come calciatore, atleta, sportivo professionista. Forse non ha più i margini e le prospettive di crescita del un ragazzino che nei primi due campionati di Serie A, giocati prima di compiere 22 anni, aveva messo insieme 31 gol (16 nella stagione d’esordio, poi 15). Però può ancora svincolarsi da quella realtà distopica che ha contribuito a creare, ed essere più di così, ha ancora il tempo – non tantissimo, per la verità – e le capacità per riuscirci. Ammesso, però, che lo voglia davvero.