Oltre 250 ore di lezione, ripartite in nove discipline che variano dalla psicologia alla match analysis, dalla medicina alla scienza della comunicazione, fino naturalmente ai fondamenti di tecnica e tattica. È il percorso che in Italia attende gli aspiranti allenatori professionisti di prima categoria, Uefa Pro; tra le mura del Centro Tecnico di Coverciano è meglio conosciuto come ‘Master’, e non c’è da stupirsi perché ne ha tutte le caratteristiche. C’è il corso che si svolge tra settembre e maggio, c’è lo stage che consente ai candidati di osservare come si coniugano ad alti livelli teoria e prassi, e c’è anche – dalla metà degli anni ’90 – la tesi con cui concludono la propria formazione. Ad oggi gli Uefa Pro abilitati dal Centro Tecnico sono complessivamente oltre 1200, e almeno altrettanti gli studi che hanno lasciato in dote alla biblioteca della Federazione.
La scelta del tema deve passare al vaglio del relatore, che è diverso a seconda della disciplina. Dopodiché il candidato ha a disposizione, sin dall’inizio del corso, tutta la letteratura della piccola ma densa biblioteca di Coverciano per levigare la propria idea e perfezionarla. Il più datato tra i lavori degli allenatori che con il passare del tempo hanno avuto successo è quello di Cesare Prandelli, che nel 1995 si diplomò al Master con una tesi sul concetto di pressing. Non è una delle più approfondite, tutt’altro: sono appena venti pagine per gran parte occupate da grafiche di esercizi pensati per stabilire una certa regolarità nell’applicazione del pressing dalla squadra. Ma come spesso accade negli scritti con cui abbiamo avuto a che fare, le osservazioni più interessanti – meno legate strettamente all’aspetto tattico, e più analitiche dell’attualità – si trovano tra le righe. Scrive Prandelli: «Se all’inizio il calcio era fatto da individualisti, con il passare degli anni ci si è trovati a scoprire il gioco di squadra […] Dopo quegli anni ci fu sempre maggiore richiesta di mezzi espressivi rivolti non più alle raffinatezze personali del singolo, ma all’unità tattica di undici giocatori».
Due anni dopo, nel 1997, Carlo Ancelotti si abilitava con una tesi intitolata “Il futuro del calcio? Più dinamicità”. Era reduce da una prima stagione trionfale al Parma e aveva alle spalle un trascorso di tre anni da vice di Arrigo Sacchi sulla panchina della Nazionale: un bagaglio significativo per un tecnico ancora trentottenne. Inserendosi in parte nel solco tracciato da Prandelli, Ancelotti osservava: «Se nel calcio di qualche anno fa una delle qualità che distinguevano il fuoriclasse dal giocatore normale era sicuramente la cifra tecnica, oggi il grande giocatore si distingue, oltre che per dette qualità, soprattutto per la sua capacità di prevedere, anticipare la giocata propria e dell’avversario». Quella dell’attuale tecnico del Napoli, tra quelle conservate a Coverciano, è una delle più lungimiranti per profondità e vastità della materia. Nella parte introduttiva emerge con più precisione il senso del suo lavoro: «L’obiettivo futuro sarà quello di giocare un calcio sempre più dinamico», scrive Ancelotti, «e credo che questo concetto di dinamicità dovrà essere migliorato nel tempo perché il ritmo elevato del gioco, l’imprevedibilità e la varietà degli schemi sono tutte armi importanti per migliorare la qualità del gioco».
Poche righe dopo mette l’accento su due termini, spazio e tempo, che ritroviamo spesso anche in altri scritti. «I concetti di spazio e tempo sono di primaria importanza per l’allenatore nella didattica di un qualsiasi gioco d’attacco. Se tra chi dà la palla e chi la riceve non c’è sincronia, il concetto di dinamicità viene a mancare». Stefano Pioli è uno di quelli che hanno colto e sposato la riflessione di Ancelotti. Diplomatosi nel 2003, l’ex allenatore di Lazio, Inter e Fiorentina ha approfondito un tema che nel corso degli anni è stato riconosciuto all’unanimità come il suo cavallo di battaglia: lo sfruttamento delle catene laterali nel 4-4-2 (o 4-2-3-1).
E a proposito di spazio e tempo, letteralmente ricalcandolo per un tratto, si lega ad Ancelotti: «Il calcio dei nostri giorni è sempre più dinamico, gli spazi e i tempi di gioco sono sempre più piccoli e veloci, quindi il movimento senza palla e la velocità di pensiero diventano elementi fondamentali per la didattica di qualsiasi gioco d’attacco». E ancora, lo stesso Prandelli ne sottolineava l’importanza nella sua tesi: «Pressing vuol significare azione oppressiva nei confronti dell’avversario […] in modo da non lasciargli né TEMPO né SPAZIO (i maiuscoli sono suoi, nda) per poter agire con calma e riflessione». Corini, la cui abilitazione risale al 2011, è soltanto un altro dei tantissimi esempi: «Secondo me il calciatore del futuro deve essere allenato alla percezione del tempo e dello spazio», scriveva nella sua dettagliatissima analisi del Bayern Monaco di Louis van Gaal, «questo fa sì che ogni modulo e sistema di gioco possa diventare razionale, equilibrato, elastico e imprevedibile».
Fino ad ora si è fatta menzione soltanto dei lavori di natura tecnico-tattica, che tradizionalmente sono quelli che vanno per la maggiore. Quasi tutti gli allenatori di successo si sono concentrati su aspetti legati a sistemi o situazioni di campo. Allegri ad esempio ha scritto nel 2005 una breve tesi sulle caratteristiche dei centrocampisti in un centrocampo a tre; Sarri,nel 2007, ha messo in fila giorno dopo giorno la sua settimana ideale in preparazione alla partita. Da qualche anno a questa parte è invece in ascesa una tendenza nuova, ovvero quella delle tesi in comunicazione e psicologia. Quella di Davide Nicola nel 2012, una delle più stimate tra le stanze di Coverciano, era intitolata ‘Leader… si nasce o si diventa?’. Nel 2013, un anno dopo, i fratelli Inzaghi si diplomarono con un lavoro molto simile: quello di Filippo era una riflessione su ‘Una mentalità per essere vincenti’ e quello di Simone era incentrato sulle ‘Dinamiche allenatore-gruppo’. Fabio Liverani, allenatore del Lecce neopromosso in Serie A, ha scritto nel 2014 una tesi intitolata ‘Approccio e gestione psicologica di una squadra di calcio’. Un unicum, almeno tra le tesi che siamo riusciti a consultare, è quella di Roberto De Zerbi, presentata con titolo ‘Il mio modello di gioco’. Un lavoro estremamente personale, passionale e sincero, nonché la chiave per comprendere il suo calcio.
Leggendo gli scritti degli allenatori, la sensazione principale è che quelli – diversamente da chi, come noi, prova a dedurre dall’esterno – abbiano una comprensione straordinariamente approfondita e in qualche modo “totale” del gioco e della sua evoluzione. Emerge, inoltre, un humus condiviso, un retroterra comune che è generato un po’ dal fatto che tutti gli allenatori che si diplomano a Coverciano vivono e hanno vissuto il contesto italiano, un po’ dal fatto che ciascuno è tenuto a partecipare ai corsi, e viene quindi permeato di concetti e parole chiave che tendono a riproporsi, e un po’ dal fatto che i candidati più giovani sono invitati a consultare le tesi degli allenatori già diplomati. Nella parte sopracitata del lavoro di Corini, ad esempio, emergono quattro aggettivi: razionale, equilibrato, elastico e imprevedibile, in riferimento al ‘sistema di gioco ideale’. Ebbene, pescando nella tesi di Antonio Conte troviamo un dettaglio quasi identico. L’attuale tecnico dell’Inter, abilitatosi nel 2006 con un’analisi del 4-3-1-2 e del valore dell’uso didattico dei video, scriveva che «ogni sistema deve tener conto delle caratteristiche fondamentali dalle quali non si può prescindere: EQUILIBRIO – ELASTICITÀ – RAZIONALITÀ (anche in questo caso il maiuscolo è originale, nda)».
Un riferimento simile si trova anche nello studio di Eusebio Di Francesco, che nel 2010 si è diplomato con una tesi intitolata “Allenare la fase offensiva del 4-4-1-1”, curiosamente un modulo che non ha mai adottato se non nelle fasi iniziali della sua carriera. Nell’introduzione sosteneva di considerare «particolarmente importante il principio […] detto dell’elasticità, secondo il quale un allenatore deve avere la capacità di modulare le proprie scelte in base alle capacità e alle caratteristiche tecniche, tattiche e psicologiche dei calciatori a disposizione». Ma ancora più emblematiche di questa affinità terminologica e concettuale sono le parole del già menzionato Pioli: «Qualsiasi sistema di gioco si desideri attuare deve tenere conto delle caratteristiche fondamentali e indispensabili che rappresentano i principi generali di qualsiasi sistema. Esse esigono che il sistema di gioco sia: equilibrato […]; elastico […]; razionale».
È chiaro che più ci si issa in superficie e più le specificità dei singoli vengono fuori. Conte, ad esempio, dopo aver esposto con cura accademica la triade equilibrio-elasticità-razionalità, aggiunge una sua considerazione in un quarto paragrafo, dove scrive: «Oltre queste caratteristiche fondamentali, […] un sistema di gioco si rivela efficace se è composto da calciatori che sappiano collaborare tra loro, abbiano grandi motivazioni nel raggiungere gli obiettivi prefissati e riescano ad integrarsi gli uni con gli altri». Poche righe che spiegano da sole molte sue scelte, anche recenti. La sottolineatura di Pioli è dello stesso stampo di quella di Conte, ma elogia altri aspetti della personalità: intelligenza, altruismo e ambizione. Insomma, se ammettiamo che esiste una “scuola italiana” di allenatori, concentrarsi sulle tre parole chiave più volte proposte in questa analisi potrebbe essere un ottimo punto di partenza per definirne i tratti.