Il Napoli si è inceppato
Se il tema ricorrente nel racconto del Napoli di Ancelotti, durante l’avvio di questa stagione, riguardava lo squilibrio tra fase difensiva e offensiva, con netta preminenza di quest’ultima (tredici gol fatti e nove subiti nelle prime quattro giornate di campionato), ora il piano si è ribaltato. La squadra azzurra ha segnato due gol nelle ultime tre partite, zero nelle ultime due; di contro, ne ha incassati tre nelle ultime sette partite. I dati mostrano come il lavoro di Ancelotti sia stato pensato e attuato per migliorare la fase passiva, ma allo stesso modo è evidente la crisi degli attaccanti, dei meccanismi della manovra offensiva: nelle quattro partite giocate dopo quella contro il Lecce, solo Mertens e Manolas sono riusciti a trovare il gol (nella sfida interna al Brescia). Non è un caso, il belga sembra l’unico giocatore in grado di dare brio al gioco d’attacco, ieri a Torino è stato titolare nel tridente con Insigne e Lozano, ma non è bastato. Anzi, la partita di ieri sembra aver ingoiato nella crisi anche lo stesso Mertens, l’unica chance degna di nota è capitata sulla testa di Llorente, subentrato della panchina per cambiare il modulo iniziale (da 4-3-3 a 4-4-2) senza un reale impatto sul risultato e sulla prestazione della squadra. È un momento difficile per il Napoli, che sembra essersi inceppato, anzi impantanato: nelle ultime partite, si sono palesati i limiti dell’approccio al calcio di Ancelotti, che lascia ampie libertà creative ed esecutive ai giocatori di maggior talento, e proprio per questo ha bisogno che i suoi elementi migliori siano al massimo della forma, dell’ispirazione. Non sta accadendo, allora la classifica diventa anonima (quarto posto a sei punti dalla Juve e a cinque dall’Inter) e servirà far risultato contro il Salisburgo, in Champions, per non vanificare la splendida vittoria contro il Liverpool. Un risultato che sembra vecchio di secoli, che racconta un altro Napoli, una squadra che non sembra più esserci.
Inter-Juventus ha ristabilito le gerarchie del campionato
Lo sapevamo, ne abbiamo avuto la conferma: in Serie A, la Juventus resta la squadra da battere. E non per il sorpasso in classifica sull’Inter, che porta i bianconeri al primo posto, ma per i punti di forza emersi a San Siro: qualità, intensità, ampia varietà di scelte, tra titolari e panchina. Sarri ci ha messo del suo, ridisegnando la squadra di volta in volta a seconda delle situazioni del match – prima con Dybala al posto di Higuaín, poi inserendo il Pipita, rivelatosi decisivo. L’analisi più lucida l’ha fatta, in fin dei conti, proprio l’allenatore degli sconfitti, Conte, che ha parlato di «gap da diminuire», di «un percorso duro e lungo da fare» per i suoi giocatori. È così: l’Inter non ha certo deluso le aspettative, ma nel confronto diretto con la Juventus è apparso chiaro che ai nerazzurri manchi ancora qualcosa – la capacità di star dentro certe situazioni, e più di tutto la risorsa della panchina. Ad esempio, l’uscita di Sensi nel primo tempo per problemi muscolari ha di certo indebolito la verve offensiva dell’Inter – l’apporto di Vecino è stato di gran lunga inferiore rispetto a quello dell’ex Sassuolo. Mentre i nerazzurri, con gli ingressi in campo, cercavano di rimanere incollati alla partita pur non migliorando di fatto la qualità della squadra, la Juventus ha beneficiato del contributo dei tre subentrati: Bentancur (assist), Higuaín (gol), Emre Can (che ha equilibrato una squadra apparsa troppo sbilanciata col tridente). Quella dei bianconeri è stata una prova super, con pochissime ombre (de Ligt ancora incerto, Bernardeschi spaesato) e tantissimi lati positivi – oltre ai già citati attaccanti, Bonucci ha giganteggiato in difesa, mentre il centrocampo, pur privo dei nuovi arrivi, ha dato prova di essere inossidabile. La Juve è già prima in classifica, dopo aver incontrato e battuto nelle prime sette giornate già Napoli e Inter, le principali concorrenti: un segnale di forza impossibile da sottovalutare.
La migliore Atalanta possibile
La differenza tra l’Atalanta di Champions e quella di campionato permette di capire tante cose, sulla squadra di Gasperini come sul campionato di Serie A genericamente inteso. I bergamaschi hanno letteralmente schiantato il Lecce, e l’hanno fatto con le proprie armi: forza fisica straripante, gioco metodico, qualità negli ultimi trenta metri. Sono le doti manifestate anche durante la prima fase del match contro lo Shakhtar, solo che l’intensità e la qualità del gioco europeo sono troppo diverse da quelle della lega italiana. Così l’Atalanta si ritrova a giocare contro avversari che hanno valori simili e che vanno anche alla stessa velocità, differentemente da quanto avviene in Serie A – e questa è una colpa delle squadre italiane –, e sembra ridimensionarsi, almeno così è stato nella prima fase del torneo continentale. Per questo il gioco di Gasperini viene definito europeo, rappresenta una novità per la Serie A ma soprattutto è il migliore possibile per l’Atalanta, per il progetto della società nerazzurra, perché permette alla squadra bergamasca di spiccare nel suo contesto, di vincere meritatamente cinque partite su sette, di impadronirsi del terzo posto a poche lunghezze dalla Juventus e ancora meno dall’Inter, con Napoli, Roma e Lazio che arrancano alle spalle di Gómez, Zapata e compagni. Dopo la sosta ci sarà proprio la sfida in casa della Lazio, all’Olimpico arriverà un’ulteriore prova sulla reale consistenza dell’Atalanta, per la lotta Champions e forse, chissà, anche per qualcosa in più.