Martin Odegaard non è una meteora

Sembrava essersi perso dopo il passaggio da sedicenne al Real Madrid, oggi è il giocatore più decisivo della Real Sociedad.

Due sconfitte in fila, al Sánchez Pizjuán di Siviglia e in casa contro il Getafe, hanno allontanato la Real Sociedad dalla vetta della classifica. In Liga, i Txuri Urdin sono tra le rivelazioni dell’inizio di stagione, ma è anche comprensibile che abbiano avuto uno stop proprio sul più bello, quando si trattava di mandare un messaggio a tutto il campionato – del resto sono una squadra giovane, con la seconda età media più bassa  dopo il Celta Vigo (25 anni).

Tra i ventenni che guidano il gruppo, il più brillante fin qui è stato Martin Odegaard, vero protagonista di questo avvio di Liga. È stato nominato giocatore del mese (settembre) del campionato, ha già realizzato due gol e due assist, ma il suo rendimento va ben oltre i numeri. Per la Real Sociedad, il talentino norvegese classe ‘98 di proprietà del Real Madrid, sembra semplicemente il fit perfetto.

La squadra guidata da Imanol Alguacil ha un sistema di gioco molto ben definito, basato sul possesso, sul controllo del pallone per disordinare gli avversari, e sulla creazione di vantaggi posizionali. Di questo sistema, Odegaard è l’elemento cardine, che dà ritmo al palleggio, che ordina la squadra quando si piazza nella metà campo offensiva, è il giocatore che sceglie di mettere in pausa l’azione se necessario; allo stesso tempo, è anche quello che schiaccia sul pedale del gas nelle azioni verticali. La Real Sociedad, paradossalmente, sembra più efficace quando può attuare il suo piano b, nelle situazioni di gioco rotto, quando cioè può correre in transizione sfruttando gli allunghi di giocatori fisicamente eccezionali come Oyarzabal, Portu e Isak. Oltre che dello stesso Odegaard, sorprendentemente a suo agio anche a ritmi elevati, capace di mantenere una lucidità tecnica eccellente anche in situazioni più dinamiche.

Un gol in transizione, dopo una corsa di 70 metri ad alta intensità

Negli ultimi anni Odegaard ha aggiunto nuove sfumature al suo gioco, sviluppandosi secondo le direttrici del centrocampista moderno, trasformandosi in un palleggiatore che agisce tra la posizione di mezzala destra, la trequarti e il corridoio laterale. Un’evoluzione sorprendente, per certi versi, perché il giocatore acquistato dal Real Madrid nel 2015 aveva fatto vedere un talento cristallino, con grandi colpi, ma anche un gioco pieno di lacune che ne rendeva difficile la collocazione in campo.

Oggi invece può essere decisivo in molti modi. Intanto perché, a dispetto delle sue stesse capacità tecniche, il primo momento in cui influenza l’azione è quando non ha la palla. Quando, cioè, invece di aspettarla nei piedi slitta frenetico per cercare la posizione giusta, galleggiando tra centrale e terzino, tra le linee di difesa e centrocampo della squadra avversaria. È lì che crea un primo scompenso, un esempio si è visto nella partita contro l’Atlético Madrid, alla quarta giornata, quando ha costretto Saúl Ñíguez a perdere la posizione a ogni possesso aprendo spazi per i compagni. Il Martin Odegaard sorprendente di questo inizio di stagione sa prima di tutto come mettersi in visione per il compagno, con una sensibilità tattica superiore rispetto ai pari età. Poi riceve il pallone, e allora può chiamare il passaggio, procedere con la ricezione e da lì far partire la giostra con la qualità tecnica che non gli ha mai fatto difetto. Come ha imparato anche l’Alaves a sue spese.

Nel derby basco contro l’Alavés, un passaggio decisivo e abbagliante, a dir poco

Di tutte le sfumature del talento di Odegaard con il pallone, quella che più di tutte ha fatto la differenza sin qui rientra nella dimensione della tattica, individuale e di squadra: la capacità di scegliere i tempi di passaggio e della giocata senza abusare con le tentazioni che gli arrivano dal fatto di avere un piede sinistro di qualità superiore. Ha dimostrato un alto livello di comprensione del gioco, imparando anche a muoversi nel calcio liquido di oggi. Nel 4-2-3-1 di Alguacil, Odegaard ha alla sua destra un attaccante esterno super dinamico come Portu, con il quale ha sviluppato una grande intesa (più che con Januzaj, più portato a ricevere largo e da fermo): l’ex Girona, parte largo per tagliare verso il centro, facendo il gioco del norvegese, che ama cadere sulla fascia destra per guardare tutto il campo e all’occorrenza cambiare gioco sul fianco sinistro, dove trova un partner perfetto in Oyarzabal, uno dei migliori esterni del campionato per movimenti sul lato debole. Qualche lacuna in più, invece, l’ha mostrata nelle situazioni in cui il contesto gli è avverso, come nell’ultima partita contro il Getafe: dopo un primo tempo in sostanziale controllo, la Real Sociedad ha perso ogni forma di influenza sul gioco e non è stata in grado di incidere sul contesto tattico – complice anche l’espulsione di Llorente all’ottavo minuto del secondo tempo. Odegaard non è riuscito a dare alla sua squadra le certezze di cui aveva bisogno nel palleggio, quando mantenere il possesso si è fatto più difficile. Anzi, si è smarrito insieme ai compagni, se non addirittura prima.

Le prime partite di questa stagione, un campione ridotto ma comunque consistente, hanno ridefinito Odegaard come un giocatore sostanzialmente già pronto, in grado di essere dominante anche ad alti livelli. Al punto che Sam Pilger su Forbes avrebbe azzardato che le prestazioni del centrocampista norvegese potrebbero allontanare il Real Madrid dall’idea di acquistare Pogba: «Il Real per il momento si gode i progressi del giocatore di su proprietà. A differenza di Pogba, Odegaard appartiene già al Madrid, sta facendo benissimo in Liga e soprattutto non costerebbe 150 milioni». Quella di Pilger è una provocazione, chiaramente. Anche perché è ancora troppo presto perché sia possibile individuare il livello che raggiungerà Odegaard al suo picco, o per fare paragoni con un giocatore già fatto e finito come Pogba. Ma queste considerazioni vanno lette in un’altra ottica: sono già un traguardo per il norvegese, che ad un certo punto sembrava essersi arenato nel suo percorso di crescita, nonostante l’età. O almeno così sembrava.

D’altra parte, per un giocatore con le capacità di cui dispone Odegaard non è scontato riuscire ad imporsi a certi livelli: un atleta così giovane ha alte probabilità di perdersi nello sviluppo, nei primissimi anni di carriera A volte è lo stesso giocatore il primo a far naufragare la barca, con un approccio poco professionale. In altri casi le colpe sono da ricercare in fattori esterni, come l’ambiente e il contesto di gioco, o anche allenatori e compagni. Solo per fare qualche esempio: Hachim Mastour, Dominic Adiyah, Freddy Adu. Sono moltissimi i ragazzini che hanno iniziato a sorprendere ben prima dei 18 anni, salvo poi non avere carriere all’altezza delle premesse, a dimostrazione di come il solo talento non sia sufficiente a formare un giocatore, a determinare un professionista in grado di competere ai massimi livelli, dove le esigenze del gioco vanno molto al di là delle qualità individuali.

Odegaard ha esordito con la maglia della Norvegia a 15 anni e 253 giorni, nell’estate del 2014; oggi conta 20 presenze (Egard Wivestad Grott/AFP/Getty Images)

In realtà, anche Odegaard ha rischiato di unirsi a questo gruppo di meteore. Dopo due anni al Castilla, un po’ piatti a dire il vero, è stato prestato in Olanda per tre stagioni. La sensazione – soprattutto all’inizio – era che quel che il norvegese portava in campo non fosse sufficiente a giustificare l’attesa iniziale intorno al suo futuro. Ma poi ha dimostrato di aver seguito la strada giusta. Ne ha scritto anche Panenka in un recente articolo dal titolo eloquente, “L’odissea di Odegaard”: «Forse al Madrid aveva troppa pressione per la sua età, e in poco tempo ci siamo dimenticati di lui. Sembrava che lentamente la sua luce si sarebbe spenta, e che mai sarebbe arrivato a trasformarsi nel giocatore che prometteva… ma ci sbagliavamo. L’abbiamo perso di vista mentre cresceva rapidamente, senza fretta e senza pause prima all’Heerenveen, poi al Vitesse. Sembrava difficile rispettare le attese, ma lui ci è riuscito ed è maturato fino a diventare un giocatore decisivo anche in un campionato come la Liga».

Adesso Odegaard è pronto. Il suo impatto sulla Liga spagnola è stato fortissimo. Ripetere queste prestazioni per tutta la stagione e confermare le buone sensazioni sul lungo periodo sarebbe un primo traguardo importante. Un primo passo in una carriera di cui già immagina scenari futuri: «Penso di essere migliorato moltissimo negli ultimi due anni e penso di essere diventato un giocatore migliore, più maturo, più grande e più forte fisicamente. Sto molto meglio di quando sono arrivato per la prima volta in Spagna. Il mio obiettivo è ancora quello di giocare nel Madrid, ed è per questo che ho firmato con loro. Voglio tornare a giocare lì un giorno».