Energy Football

Lipsia, Salisburgo, New York: come fa il network Red Bull a produrre utili, plusvalenze e soprattutto risultati.

In Germania Ralf Rangnick è amato come un politico che teorizza l’uscita dall’euro. Se da un lato nessuno osa negare la genialità e le intuizioni del personaggio, dall’altro lo stereotipo del corporate football, visto ancora come il male assoluto agli occhi di molti fruitori di calcio, non lo rende particolarmente popolare. Il marchio Red Bull deforma prospettive e analisi, finendo con l’offuscare, attraverso un pregiudizio imbevuto di retorica passatista, le valutazioni di merito su una realtà sportiva tra le più strutturate e sostenibili d’Europa. Sintetizzando brutalmente: vincono perché hanno i soldi. Qualcuno poi dovrebbe prendersi la briga di spiegare come questa tesi si sposi con il Salisburgo arrivato fino alle semifinali di Europa League 2017/18 con una squadra costruita con 16,5 milioni di euro (su un budget complessivo disponibile pari a 50 milioni), eliminato da un’Olympique Marsiglia che di milioni ne ha spesi 100 solo nelle due sessioni di mercato precedenti. Un club non gestito da un azionariato popolare, ma nelle mani di un businessman americano.

Il network Red Bull è reduce da diverse stagioni di alto profilo. Il Salisburgo, oltre alla citata semifinale di Europa League (miglior risultato di sempre nella competizione), ha (stra)vinto gli ultimi sei campionati austriaco; il Lipsia è alla sua seconda esperienza in Champions League, dopo che la prima volta si era qualificato da neopromosso; New York è arrivato in semifinale nella Champions Concacaf nel 2018. Il merito più grande di Rangnick è quello di essere riuscito nell’arco di sei anni a fare – da direttore sportivo – ciò che molte società sportive inseguono vanamente per lungo tempo: costruire un modello di calcio riconoscibile (in altre parole, un marchio) e, soprattutto, funzionale.

Noto in passato come Austria Salisburgo, l’ingresso di Red Bull nel 2005 ha cambiato nome e colori sociali del club. Con la nuova proprietà, a Salisburgo sono finiti dieci campionati austriaciI club del network Red Bull sono meccanismi di un gigantesco macchinario di marketing, con la finalità di trasfondere sui campi da gioco la filosofia aziendale del più famoso energy drink al mondo: squadre fisicamente sane, composte da giovani calciatori capaci di correre novanta minuti ad alti ritmi. Ma anche squadre capaci di vincere, perché senza il riscontro del campo non c’è strategia (politica, commerciale, mediatica) che tenga. Un concept ambizioso che può essere inseguito solo da una visione forte e strutturata. Nel 2012, nel corso delle cinque ore del primo colloquio intercorso tra Rangnick e Dietrich Mateschitz, a un certo punto il patron della Red Bull chiese al fußballprofessor cosa avrebbe cambiato a livello organizzativo se fosse stato a capo del pacchetto calcistico dei Bullen. Tutto, fu la risposta. E così è avvenuto, attraverso l’introduzione della formula delle tre K: Kapital, Konzept und Kompetenz. A spendere i soldi sono bravi tutti. Farlo seguendo determinate regole improntate a una certa visione, senza trascurare alcun segmento della macchina organizzativa, diventa già più complicato.

Il presidente della Federcalcio olandese Eric Gudde, durante un recente congresso, ha parlato di come negli ultimi anni nessuna visita lo abbia colpito maggiormente di quella effettuata in casa del RB Lipsia. «L’intera organizzazione ruota attorno alla filosofia calcistica: lo scouting, le tipologie di allenamento, la parte fisico-atletica, la struttura del vivaio». Detto da un olandese, proveniente dalla cultura calcistica che Rangnick sostiene essere quella che meno ha saputo adattarsi al mutare del tempo, è il miglior complimento possibile. «Una volta Johan Cruijff», ha spiegato Rangnick, «disse che se hai in squadra 7-8 giocatori che, nelle rispettive posizioni, hanno più qualità individuale dei loro diretti avversari, non puoi non vincere la partita. Oggi questo concetto non vale più. Ci sono squadre come il Liverpool che mandano in pressione 2-3 giocatori costantemente sul portatore di palla, per tutti i novanta minuti. Non è più tempo di chiedersi cosa possiamo fare quando abbiamo la palla. La domanda corretta è: cosa dobbiamo fare quando non abbiamo la palla? E la risposta è una sola: pressare».

Jesse Marsch, allenatore per tre anni del New York Red Bull e oggi sulla panchina del Salisburgo – dopo essere stato assistente tecnico al Lipsia – ha raccontato come in sede di colloquio gli fu presentato un foglio con una serie di direttive alle quali il tecnico avrebbe dovuto attenersi, dalla gestione dei giovani ai principi tattici. Non si parla di schemi, perché osservando le varie squadre Red Bull si nota una certa fluidità. Le fondamenta sono uguali per tutti, le modalità di costruzione invece vengono lasciate al singolo allenatore. Il comun denominatore rimane la filosofia di Rangnick. «Se dovessimo coniare uno slogan capace di sintetizzare il nostro credo», ha dichiarato Marsch al New York Times, «potremmo dire che noi siamo l’anti-Barcellona. Noi proviamo a essere dominanti attraverso il nostro calcio di posizione, senza possesso palla». Parole che si riallacciano a un concetto espresso dal suo maestro a Die Welt. «Il nostro obiettivo è costruire una squadra, non dei solisti. In fase di possesso vogliamo giocare il più possibile la palla in avanti. Il calcio orizzontale e i retropassaggi non fanno per noi». Pressing offensivo e ritmi alti in fase di possesso. Nella Bundesliga 2017/18, il Lipsia è stato il club con il più alto numero di passaggi effettuati nella metà campo avversaria. Nella Mls nessuna squadra ha totalizzato una media di passaggi più bassa di New York. In una partita di Europa League contro la Real Sociedad, la punta del Salisburgo Dabbur ha segnato esattamente 10 secondi dopo il recupero della palla in difesa.

Aaron Long (a destra), terzino dei New York Red Bulls, durante un incontro tra la squadra newyorchese e i New England Revolutions: nell’ultima Mls, i Red Bulls sono stati eliminati dai Philadelphia Union al primo turno dei playoff (Maddie Meyer/Getty Images)

Esiste un apposito esercizio per migliorare la velocità delle transizioni, nonché la loro efficacia. Si chiama Countdown Clock e prevede che, durante le partite di allenamento, entro dieci secondi la squadra in possesso palla debba andare al tiro. «All’inizio i giocatori lo trovavano irritante», afferma Rangnick, «ma una volta superato l’impatto iniziale il loro approccio cambia. Si tratta di un esercizio fondamentale, che lavora sull’istinto del calciatore, velocizzandone i tempi della giocata in avanti». Un altro concetto chiave si chiama Raumfressen, traducibile come “apertura dello spazio”. Le squadre di Rangnick puntano a creare densità, e quindi superiorità numerica, nelle zone in cui prevedibilmente sarà giocata la palla. Ciò significa lasciare scoperti altri settori del campo, ma secondo questa filosofia è un rischio calcolato in quanto, se il pressing viene effettuato secondo le giuste modalità, gli avversari non riusciranno a far giungere la palla nelle zone scoperte.

Questo modo di difendere si riallaccia al concetto di anti-Barcellona espresso da Marsch, ovvero che lo lo scopo non è quello di riconquistare la palla il prima possibile, ma di riconquistarla nella posizione migliore possibile per dare il via a una rapida fase di transizione. Pressing e ripartenze: siamo in zona Sacchi e Lobanovski, non a caso le due principali fonti di ispirazione di Rangnick assieme a Helmut Groß, considerato da molti uno dei pionieri della filosofia del pressing. Un genio nell’ombra, un mastermind di capitale importanza per diverse generazioni di tecnici tedeschi, inclusa quella di Klopp e Tuchel. Ma sono i quattro punti del calcio sacchiano le pietre angolari del Rangnick-pensiero: la palla, lo spazio, i compagni di squadra, gli avversari.

L’attaccante danese Yussuf Poulsen è il calciatore con più presenze nella storia del RB Leipzig: 218 dal 2013 a oggi (John MacDougall/AFP via Getty Images)

Con l’acquisizione del titolo sportivo del SSV Makranstädt, all’epoca in quinta serie, nel 2009 è partita l’ascesa sportiva del Lipsia: al primo anno di Bundesliga, la squadra si è piazzata al secondo postoEsiste una scuola Red Bull a livello di formazione di allenatori? La risposta può essere positiva, dal momento che è possibile individuare almeno dieci tecnici cresciuti o maturati secondo il Rangnick-pensiero. Il più noto è Roger Schmidt, l’uomo del Salisburgo 2013/14 che umiliò l’Ajax di Frank de Boer in Europa League (qualcuno ricorda il gol “alla Recoba” di Soriano da centrocampo?) e chiuse la stagione con 164 gol realizzati, che ha optato per i soldi cinesi dopo un’esperienza in chiaroscuro al Bayer Leverkusen. Poi ci sono Alexander Zorniger e Adi Hütter: il primo cominciò la scalata del Lipsia portandolo in Zweite Bundesliga, e ha recentemente vinto il titolo danese con il Brøndby; il secondo sostituì Schimdt a Salisburgo dopo aver portato il piccolo Grödig in Europa, ha vinto il titolo svizzero con lo Young Boys, a secco da 32 anni, e oggi guida l’Eintracht Francoforte. Il manager del Southampton Hasenhüttl è cresciuto assorbendo gli stessi principi di Klopp (infatti lavorava nelle giovanili dell’Unterhaching con Wolfgang Frank, considerato il mentore dell’attuale allenatore del Liverpool) e ha consacrato al calcio-pressing le promozioni di Aue (in Zweite) e Ingolstadt (in Bundes). Marsch è stato votato allenatore dell’anno 2015 in Mls ed è alla prima stagione alla guida del Salisburgo.

Da giugno 2019 il Lipsia ha accolto Nagelsmann, non più enfant prodige della panchina ma allenatore vero, capace di portare l’Hoffenheim al miglior risultato della sua storia – il terzo posto in Bundesliga – al termine di una stagione chiusa con la seconda miglior prestazione di sempre per reti segnate nella massima divisione (66, nel 2013/14 ne fece 72 ma finì nono), la vittoria più rotonda dalla promozione (6-0 al Colonia), nonché  dopo aver battuto tutte le prime della classe (Bayern Monaco, Schalke 04, Borussia Dortmund e RB Lipsia). Nelle sue stagioni a Sinsheim, Nagelsmann ha dimostrato di corrispondere in pieno all’identikit del tipico allenatore da Red Bull. La sua flessibilità tattica è ben riassunta nelle dichiarazioni di un suo ex giocatore, Niklas Süle, oggi al Bayern Monaco: «Il suo sistema tattico è estremamente fluido, ricordo che non mancava mai di sottolineare come la differenza tra il 4-4-2 e il 4-2-3-1 sia solo una decina di metri, per questo non prestava molta attenzione al modulo. In partita passavamo dalla difesa a tre a quella a quattro oppure a cinque, eravamo imprevedibili, e questo alla lunga confondeva gli avversari».

Nagelsmann ama definire il suo lavoro «30 per cento tattica, 70 per cento competenza sociale», evidenziando la modernità del suo approccio, aperto alle più disparate influenze, dal basket alla pallamano fino all’hockey, ma anche alle modalità gestionali del personale di aziende quali Audi, Adidas, Bmw. Il concetto è semplice: da qualsiasi confronto può un nascere un’idea. Soprattutto in relazione all’aspetto mentale del calcio. Per Nagelsmann infatti a livello atletico questo sport ha raggiunto una vetta difficilmente superabile: impossibile che i giocatori diventino fisicamente più veloci. Possono però farlo mentalmente.

In questa stagione, il Red Bull Salisburgo ha già segnato 64 gol in 16 partite ufficiali tra Bundesliga austriaca e Champions League, una media di quattro ogni 90 minuti (Andreas Schaad/Bongarts/Getty Images)

La squadra americana di Red Bull era in passato nota come MetroStars. La nuova denominazione compare con l’arrivo della multinazionale nel 2006: il miglior risultato è la finale di Mls Cup nel 2008Il cuore tecnico-tattico del network Red Bull viaggia di pari passo con la gestione manageriale, improntata a criteri di oculatezza economica e linea verde. Il Salisburgo semifinalista europeo aveva una rosa dall’età media di 23,48 anni. Dal 2012 gli austriaci hanno ceduto giocatori per 125 milioni di euro, realizzando plusvalenze notevoli, tra le quali possono esseri citate quelle di Sadio Mané (acquistato a 4 milioni, rivenduto a 23), Jonathan Soriano (500mila euro/15 milioni) e, soprattutto, Naby Keita. Quest’ultimo rappresenta l’esempio perfetto di come funzioni il network dei Bullen: il Salisburgo lo ha scovato nella terza divisione francese pagandolo 1,5 milioni, lo ha rivenduto ai sodali del RB Lipsia per 24 milioni, e questi a loro volta lo hanno ceduto al Liverpool per 60. Poi c’è il settore giovanile dove, oltre al già citato successo nella Youth League, conta moltissimo la presenza di una società satellite come il Liefering, autentica palestra per il primo impatto con il professionismo di tanti giovani da sgrezzare.

Una strategia applicata non solo a livello locale, ma globale, e l’esempio arriva proprio dalla società menò considerata del pacchetto Red Bull, ovvero il Red Bull Brasil di Campinas, stato di São Paulo. Milita nelle divisioni regionali e, apparentemente, non rappresenta alcun valore aggiunto per la compagnia di Mateschitz. Invece è un tassello fondamentale nello scouting e nella formazione dei giocatori. Possedere un club in Brasile permette alla Red Bull di fare a meno di qualsiasi intermediario, di possedere uno sguardo dall’interno su quella miniera inesauribile di prospetti che è il continente sudamericano, di conoscere e capire meglio il mercato locale, nonché infine di fornire al giovane di turno la possibilità di crescere “a casa”, senza essere obbligato a una precoce e rischiosa trasferta in Europa.

Dal numero 23 di Undici