La cultura è l’arma migliore contro l’odio, anche nel calcio e per i calciatori

Intervista ad Adam Smulevich, co-autore del libro Un calcio al razzismo. 20 lezioni contro l'odio.

Adam Smulevich risponde trafelato fra un’intervista e un impegno di lavoro – è all’ufficio stampa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di Roma –, travolto dagli eventi ininterrotti che tengono forzatamente all’ordine del giorno il libretto appena pubblicato insieme con Massimiliano Castellani, Un calcio al razzismo. 20 storie contro l’odio (ed. Giuntina, euro 10), giornalista che si occupa di sport e cultura per il quotidiano Avvenire.

Il volume racconta venti storie fra le quali quelle dei grandi allenatori ungheresi colpiti dalla Shoah in Italia (su tutti Erno Egri Erbstein del Grande Torino), ma non tratta solo di discriminazione ebraica, ma anche di discriminati perché cristiani sotto un regime filo-sovietico – come la famiglia Zeman e altri ancora.

Ⓤ: Si aspettava questo continuo rilancio fuori dall’ambito sportivo, al centro della cronaca e quindi del dibattito politico di questo tema specie dopo la mancata istituzione della commissione presieduta da Liliana Segre?

Pensavamo fosse un tema di attualità, ma non fino a questo punto, la questione comincia ad assumere contorni drammatici visto quello che succede sia sui campi di Serie A, vedi il caso Balotelli a Verona, sia sui campetti di periferia, vedi il caso di Desio (dove una mamma ha urlato “sporco negro” a un calciatore di otto anni). La società si sta deteriorando, mai avremmo pensato che le cose si sarebbero ripetute dopo i fatti tremendi precedenti alla Seconda guerra mondiale… C’è tutto un rinfocolarsi di odio e risentimento razziale in Europa e oltre e questo è tremendo perché come sappiamo bene parole malate generano comportamenti malati. Ci sono alcuni ambienti più predisposti, ma in fin dei conti tutte le curve sono esposte a questa deriva di intolleranza, c’è bisogno di segnali forti e continui come quelli dati da Edin Dzeko – che ha fermato il pallone per i buu giallorossi contro Kalidou Koulibaly –, ma anche altri provvedimenti che hanno preso società come la Lazio, l’Hellas Verona e altre.

Ⓤ: Il grande storico dell’arte Cesare Brandi metteva il calcio nel livello più basso fra i tipi di intrattenimento, mentre in cima c’erano ovviamente le arti liberali, non solo perché non c’è bisogno di saper leggere per seguirlo, ma anche perché è fatto solo di immagini in cui perdere e confondere la propria individualità in una folla indistinta che tende naturalmente verso gli istinti più bassi, beceri, volgari. Quale sarebbe dunque la novità? Si aspettava questo continuo rilancio fuori dall’ambito sportivo, al centro della cronaca e quindi del dibattito politico di questo tema specie dopo la mancata istituzione della commissione presieduta da Liliana Segre?

Non sono d’accordo, rivendico il mio amore per il calcio che non è solo una questione di cuore o di fede, come si dice, ma anche istinto, qualcosa che ha coinvolto anche i massimi intellettuali – si dice persino Kafka – e non c’è niente di più esaltante di un gol contro la squadra che abbiamo più in uggia al 94esimo. Dopodiché il razzismo e la pericolosità sociale di certa gente si può combattere in vari modi, certo la repressione da sola non basta e però mi pare che in Inghilterra l’esclusione della partecipazione alle coppe europee più altri interventi forti delle società calcistiche abbiano funzionato contro gli hooligans (che peraltro erano anche razzisti). Mi pare che Dzeko, intervenendo contro i propri tifosi a favore di un avversario di colore, abbia fatto un gesto splendido, ma anche semplice, esemplare. Si dice sempre che i calciatori sono persone superficiali, e per carità, molti lo sono, ma non è poi così vero, cominciamo da qui, cominciamo col ritenerli persone mature e responsabili e non imberbi ragazzacci. Molti di loro hanno alle spalle storie di povertà, di fughe da paesi disastrati, di drammi enormi, lo stesso Dzeko ha attraversato da bambino in Bosnia le guerre dei Balcani, c’è un libro del giornalista Gigi Riva, L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra (Sellerio) che racconta storie bellissime.

Mario Balotelli è stato vittima di cori razzisti durante la partita tra Hellas Verona e Brescia, nell’ultimo turno di campionato. Il Giudice Sportivo ha decretato la chiusura del settore “poltrone est” dello stadio Bentegodi per il prossimo turno di Serie A (Alessandro Sabattini/Getty Images)

Ⓤ: Pensa dunque che anche i libri possano aiutare?

Un libro come il nostro può fare ben poco contro il complottismo sovranista dilagante alla base del nuovo razzismo. Credo però che il cosiddetto storytelling, «L’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva» come dice Wikipedia, possa essere un genere molto efficace coinvolgente anche per i più piccoli. Penso infatti che andrebbe fatto un lavoro serio e costante nelle scuole, ma per davvero perché a oggi ci sono stati solo eventi episodici. Per ora solo alcuni giocatori molto intelligenti e preparati si sono impegnati a livello personale, come Koulibaly (che come Lilian Thuram ha studiato a fondo la storia dello schiavismo) o Giorgio Chiellini, Daniele Padelli, Damiano Tommasi. Si tratta di fare cioè un programma a medio o lungo termine, una cosa poco popolare in Italia purtroppo.

Ⓤ: Va bene, ma chi è il suo eroe in campo oggi, chi rapisce il suo cuore?

Un attaccante convertito all’Islam, ma di fede viola: Franck Ribéry.