Le memorie di Maradona

Intervista con Asif Kapadia, premio Oscar, regista del documentario Diego Maradona.

Diego Maradona è a Napoli. A giudicare dall’espressione assente sul suo volto in quella scena, tuttavia, potrebbe essere lontano milioni di chilometri. C’è una festa intorno a lui. Gli altri invitati stanno ridendo, facendo festa. Diego, che solitamente è l’anima di questi ritrovi, è presente con il corpo, ma dov’è la sua mente? Una piccola videocamera indugia sul suo sguardo perso nello spazio. È probabile che, se ci si mettesse a seguire i suoi occhi, ci riuscirebbe comunque impossibile vedere quello che sta vedendo lui.

Asif Kapadia, il regista premio Oscar, dice che se dovesse scegliere una scena tra le migliaia che ha messo insieme per costruire questo straordinario Diego Maradona, sceglierebbe con tutta probabilità questa. «Puoi vederlo mentre pensa a tutto quello che ha fatto, a tutto quello che adesso può succedere.

È uno dei quei momenti in cui ti chiedi come e quando tutto ha preso la piega sbagliata», dice Kapadia. «Quando passi del tempo nel mondo di Diego Maradona», aggiunge, «non vedi molto spesso questi momenti in cui è vulnerabile, in cui si sente debole, e perduto. A dire il vero, penso che lui sia spesso così, ma che lo nasconda. E c’è un momento più avanti in cui lo vedi chiaramente pensare “ok ragazzi, sta per crollare tutto. Manca poco, non è vero?”. Ed è esattamente così».

Ⓤ: C’è un cast di personaggi incredibile in questo film. Chi è stato il più affascinante da intervistare?

Devo rispondere ancora con: Diego. È il più interessante, il più affascinante di tutti. Parlare con Diego non è per niente semplice. Al tempo viveva a Dubai. Devi organizzarti con un certo anticipo per capire quando è nei paraggi. A proposito, ti devo raccontare una storia.

Ⓤ: Prego.

Di solito quando faccio un’intervista faccio più o meno così: vado in uno studio di registrazione. L’audio è la cosa più importante. Non riprendo niente. Da quando ho fatto Senna non mi porto una videocamera. Credo sia importante sentire la voce dell’intervistato, e che lui non si debba preoccupare di come appare. Quindi metto il microfono sul tavolo e gli parlo. Ma sto seduto a fianco a lui sul divano, e ogni volta che risponde si gira verso di me, lontano dal microfono. Sono preoccupato che non si senta bene, quindi decido di sedermi per terra, a fianco al microfono. Sai che Diego gioca ancora a calcio, no? È lì con le sue scarpette Puma, e i suoi calzoncini, i suoi fantastici calzettoni. E io sono praticamente seduto ai piedi di Dio. Sto guardandolo e lui sta rispondendo a una domanda e i miei occhi cadono sul suo piede sinistro. E non mi è mai capitato con nessuno… Sono stato abbastanza fortunato da incontrare parecchia gente famosa… Avevo questo bisogno di toccargli il piede! (ride, nda). Praticamente ho smesso di ascoltare qualsiasi cosa stesse dicendo e ho iniziato a pensare se si sarebbe arrabbiato se avessi allungato una mano per toccarlo. E a un certo punto ho letteralmente fatto una domanda dal niente tipo: qual era il piede che ti sei rotto? E ho praticamente afferrato la sua caviglia, e lui mi ha spinto via dicendo: “Cosa stai facendo?” (ride, nda). Avevo questo pazzesco bisogno di toccare il piede sinistro di Diego Maradona e per una frazione di secondo ci sono riuscito.

Ⓤ: Nel film vuoi che sia Diego a raccontare la sua storia. Dovevi realizzare tre interviste, ognuna di tre ore, con lui presente. Raccontami del processo.

A quel tempo avevo questo sistema piuttosto complesso per cui ci troviamo nel suo salotto, a Dubai. Io sono lì. Mi sono portato dietro Luca, il mio sound recordist di Napoli che andava allo stadio quando giocava Diego. Sono andati da subito molto d’accordo e questo metteva Diego di buonumore. Lina è la traduttrice: io faccio le domande in inglese, le traduce in spagnolo, lui risponde in spagnolo. Ho il computer con FaceTime aperto. Due persone del mio team stanno ascoltando l’intervista da Londra, nel caso ci siano incoerenze o fatti sbagliati che vengono fuori mi scrivono e io posso leggere. Nel mentre sto anche chiamando Buenos Aires da WhatsApp, lì c’è Laura in ascolto perché lei capisce molto bene lo spagnolo-argentino di Diego, che non è lo stesso spagnolo-argentino di altri. Lei ascolta e traduce direttamente nel mio orecchio attraverso un altro telefono, così posso avere una traduzione simultanea: so che ho una finestra di soli 90 minuti ogni volta che lo incontro perché poi lui si stanca, o si annoia, e mi dice di andarmene. E devo chiedergli queste domande anche scomode. Se parte per la tangente, lo posso interrompere e chiedergli di rimanere sulla domanda, e una volta si è davvero scocciato, e mi ha guardato negli occhi e ha detto: “Sai che hai un bel coraggio. Hai un bel coraggio a chiedermi in faccia queste cose. Ma per questo ti rispetto, perché la maggior parte delle persone non avrebbe le palle di dire queste cose davanti a me”. E io ero tipo: “Fiuuu. Ok, bene. Allora possiamo tornare alla domanda?” (ride, nda).

Ⓤ: Le parti di girato inedito nel film sono incredibili. Da dove vengono?

Abbiamo iniziato a fare il film e quasi subito è venuta fuori questa storia che Jorge Cyterszpiler, il primo agente di Maradona, uno dei primi super-agenti, aveva avuto l’idea – perché Diego Maradona sarebbe diventato una star, doveva comparire nei film, doveva essere famoso in tutta l’America. E così nel 1981/82, prima che vada a Barcellona, arruola due cameraman argentini per realizzare un documentario su Diego Maradona. Hanno queste grosse vecchie videocamere e iniziano a filmarlo in Argentina. Poi lo seguono a Barcellona. Continuano anche a Napoli, finché non arriva Guillermo Coppola e dice: “Voglio sbarazzarmi di un po’ di questo entourage”, e li licenzia. Ma questi filmati erano lì fuori. Il film non fu mai completato.

Ⓤ: Come hai fatto a trovarlo?

I miei produttori hanno sentito parlare che questi nastri sono da qualche parte nei dintorni di Napoli, allora ci vanno, li vedono e dicono: “Allora, questa cosa può essere pazzesca, questo girato è incredibile. È praticamente la vita privata di Maradona nel picco della sua carriera a Napoli. Ma per poterlo usare bisogna fare un accordo con Diego”. Quindi poi parlano con il suo avvocato e fanno un accordo con Diego e Diego era lì, credo per la Coppa Davis del 2015, Diego va matto per il tennis. Firmano un accordo, e una volta sistemata la questione dei diritti d’immagine possiamo accedere a tutto quel materiale.

Ⓤ: Un’avventura.

Ma non è finita. Poi sentiamo questa voce per cui ci sono in giro altri video ancora, e ci metto un anno, forse un anno e mezzo per andare in Argentina, andare a Buenos Aires, fare un accordo con Claudia Villafañe, la sua ex moglie, con cui, mentre facevamo il film, Diego e Claudia erano in guerra. Ma il resto del girato lo troviamo in un baule a Buenos Aires in un vecchio appartamento che non era stato toccato per 30 anni, e i nastri si stanno disintegrando. Quindi quando incontro Claudia le dico: “Guarda, anche se non mi lasci avere i filmati, tutto questo andrà perduto. Fammeli solo digitalizzare. Te li ridò indietro e se riusciamo a fare un accordo, allora ok”. E alla fine ce la facciamo. Per dire: la scena in cui lui arriva allo stadio verso l’inizio, e sale le scale del San Paolo, quella scattata da dietro l’abbiamo trovata a Napoli, e il controcampo della stessa scena era a Buenos Aires. Ed è così che funzionano quei filmati, come un puzzle, un mosaico di pezzi e pezzetti da trovare in giro per il mondo. Se li guardi uno per uno ti sembrano roba da poco, ma quando li unisci insieme l’immagine che viene fuori è splendida.

Dal numero 30 di Undici
Illustrazioni di Alvvino