Vikash Dhorasoo, calciatore impegnato

Vita e pensieri dell'ex milanista che si è candidato a sindaco di Parigi con una lista appoggiata da France Insoumise.

Che fosse un calciatore diverso da tutti gli altri lo si poteva intuire da tanti piccoli particolari. Per esempio dal fatto che quando era al Milan, entrava e usciva dagli spogliatoi di Milanello con sottobraccio sempre e solo La Repubblica e Libération, giornali che erano i nemici giurati dell’allora patron dei rossoneri Silvio Berlusconi. Oppure dal fatto che, durante i mondiali 2006, ha girato il docufilm The Substitute in cui si è ripreso sempre e solo seduto mestamente in panchina all’ombra dell’icona Zidane, come forma di protesta verso l’allora ct dei Bleus, Raymond Domenech.

Lui è Vikash Dhorasoo, ex calciatore e candidato sindaco di Parigi alle prossime elezioni comunali che si svolgeranno nel marzo del 2020. Scenderà in campo in tandem con Danielle Simonnet con i colori di France Insoumise, l’estrema sinistra transalpina. Una scelta quasi fisiologica visto il suo impegno decennale contro l’emarginazione sociale e il razzismo (“è una miseria intellettuale, ma si fa poco”, ha detto) e a favore della rinascita dei quartieri poveri e degradati. I media della Ville Lumière non hanno dubbi: Dhorasoo sarà il primo della lista nel diciottesimo arrondissement, un quartiere superpopolare dove è conosciuto per le sue lotte e il suo impegno politico.

Anticapitalista convinto («anche se nel calcio quelli di sinistra sono una manica di stronzi»), a febbraio è diventato ambasciatore di Oxfam, una Ong che lotta per ridurre la povertà nel mondo. È stato un centrocampista che poteva giocare centralmente ma anche come mezzala. Il suo piede preferito era il destro. Vic, come lo chiamano gli amici più stretti, tempo fa ha fondato il sito ”Un altro calcio è possibile” dove chiunque può avanzare idee e proposte per migliorare il mondo del football e ha creato dal niente il movimento Tatame, che si batte per un calcio gioioso e sostenibile.

Ma ha dovuto soprattutto lottare sempre contro i pregiudizi legati alle sue origini e al colore della sua pelle. Anche quando era un campione affermato e giocava al Parco dei Principi o a San Siro. Come quella volta a Milano, quando entrò in un fioraio di Brera e venne scambiato per un pakistano che vendeva rose. O quell’altra volta in cui il sindaco di Parigi, in visita ai calciatori del Psg prima dell’inizio del campionato, gli chiese se sapeva parlare il francese.

La foto ufficiale della candidatura di Dhorasoo (Joel Saget/Afp via Getty Images)

Classe 1973, nato a Harfleur in Normandia, figlio di operai, Vikash è cresciuto a Caucriauville, quartiere multietnico di Le Havre. «Vengo dagli assegni familiari, dalla previdenza sociale e dai sussidi di disoccupazione», ha raccontato. «In differenti forme la mia famiglia ha pagato il suo debito con la società. E ne vado molto fiero». Francese di seconda generazione (la madre è mauriziana), ha iniziato a giocare nelle giovanili del Le Havre. Ha esordito in prima squadra nel 1993/94, ci è restato cinque stagioni. Nell’ultima viene eletto miglior calciatore della Ligue 1. Nel 1998 vola al Lione dove in tre anni vince una Coppa di Lega. Nel 2001 finisce al Bordeaux e anche qui vince una Coppa di Lega. La parentesi in Aquitania dura soltanto un anno, poi rientra al Lione dove rimane fino al 2003/04 conquistando due campionati e altrettante supercoppe. Il Milan di Carlo Ancelotti lo vede e se lo compra a parametro zero nel 2004. È una squadra infarcita di stelle: da Pirlo a Seedorf, da Kaká a Redondo, da Maldini fino Gattuso (con cui finisce anche alle mani). «Volevo giocare a tutti i costi al calcio», ha raccontato Vic nella sua autobiografia Con il piede giusto, «anche se ciò avrebbe potuto portarmi ad avere a che fare con uomini che la mia morale disapprova. Avrei giocato a calcio persino per la setta di Moon in Corea del Sud o addirittura per Berlusconi. Avrei potuto, sì. Meglio l’ho fatto».

Da protagonista improvvisamente si trasforma in comparsa. Vede il campo una ventina di volte fra campionato, Champions e Coppa Italia. Rarissimamente le volte in cui parte titolare. Nel 2005 finisce al Psg. Il ct Domenech lo porta ai Mondiali in Germania dove per non tocca un pallone. Lui si vendica girando il suo docufilm. È il caos. I compagni lo criticano per aver violato la loro privacy. Il film finisce al Festival di Berlino ma sancisce il suo addio alla Nazionale. Anche il Psg lo scarica. Così Vikash è costretto a emigrare. Torna in Italia, al Livorno. Ma le sue apparizioni sono minime. Anzi, nessuna. Visibilmente sovrappeso, svogliato, a tratti indolente, resiste fino alla sosta natalizia, poi rescinde il contratto e se ne torna in Francia, al Grenoble. Ma ormai le motivazioni sono inesistenti. Dirà basta . Non sopporta più la dieta ferrea a cui sono sottoposti gli atleti. «Per giocare a pallone», dice, «bisogna accettare di mangiare sempre broccoli e pesce bollito».

Dhorasoo appende definitivamente gli scarpini al chiodo nel 2008. Da lì in poi inizia una seconda vita. Su invito del sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, incontra i ragazzi delle banlieue portando come esempio il processo di integrazione che ha vissuto lui stesso attraverso il calcio. Diventa campione di poker semiprofessionistico e arriva guadagnare oltre 530.000 dollari nei tornei live. Fa anche l’imprenditore: apre la Winamax, una società di poker online. Cerca di comprarsi addirittura il Le Havre; ci arriva a tanto così ma per qualche tempo ne diventa presidente. Riesce a recitare anche in un paio di film: La Trés Grande Enterprise nel 2008 con Marie Gillain e La collection pique sa crise due anni più tardi.

Dhorasoo a una margia di sensibilizzazione verso il cambiamento climatico, a Parigi nel settembre 2019 (Jacques Demarthon/Afp via Getty Images)

Da qualche anno è in politica, ma partendo dalle periferie ha puntato tutto su Parigi. I sondaggi lo danno solo al 5%, ma i suoi sostenitori sono certi che la percentuale nelle prossime settimane si impennerà. «Perché Vikash», dicono, «è l’unico che incarna i quartieri più degradati e poveri della città». «Facciamo vivere l’alternativa e la democrazia», si legge nel comunicato stampa della lista Décidons Paris sostenuta dalla France Insoumise, «Fabbrichiamo una città popolare, femminista, antirazzista, ecologista: Parigi è il momento di decidere!». E Vikash sembra aver deciso. Organizza marce nella Capitale contro l’islamofobia, al fianco di Danielle Simonnet e Jean-Luc Mélenchon, capo degli Insoumis. Vuole federare gli abitanti e tutte le forze associative, sindacali e politiche «per mettere fine alla Parigi dei ricchi, dell’attrattività finanziaria e turistica, e della cementificazione antiecologica». Punta a spazzare via l’immagine di una città che, a detta sua, è diventata un luogo di consumo, una start-up; «Non siamo più abitanti», afferma, «ma clienti». Critica apertamente la politica Emmanuel Macron che, dice, «ruba ai poveri per dare ai ricchi».

Insomma per Vikash si gioca tutto sull’aiuto reciproco e il legame sociale. Ma il suo pensiero politico ha un’origine ben precisa: il pallone, considerato quasi un paradigma dell’intera esistenza umana. «Il calcio in sé è di sinistra», ha raccontato il candidato. «È di sinistra passare la palla all’altro. O passi o tiri, non ci sono molte alternative. E se tiri c’è qualcuno che ti ha dato palla. Oggi mi piace parlare di calcio per difendere i più deboli. I calciatori per esempio sono quelli che contano meno: Ibrahimovic, anche se guadagna 20 milioni, conterà sempre meno di chi quei soldi glieli dà. Sono quasi tutti ragazzi di periferia che diventano ricchi senza mai salire la scala sociale. Nel calcio, come nella vita di tutti i giorni, contano solo i padroni. È ora di cambiare le cose».