La Lazio del passato vuole prendersi il futuro

La squadra di Inzaghi è tornata ad alti livelli, senza fare rivoluzioni.

Tra i club che ad agosto iniziavano la stagione con ambizioni di alta classifica, la Lazio si è distinta in sede di mercato per una strategia spiccatamente conservatrice. Fatta eccezione per Lazzari, per rendere l’idea di quanto trascurabile sia stata l’influenza dell’estate sulla squadra di Inzaghi, l’unico nuovo acquisto impiegato dal primo minuto in campionato è stato Jony – peraltro in una sola occasione, a San Siro contro l’Inter. Un discorso che si può estendere all’Europa League, dove oltre allo stesso Jony ha trovato più spazio (senza convincere) il solo Vavro. Così, mentre a Napoli arrivavano Lozano, Di Lorenzo e Manolas e la Roma si rinforzava con Smalling, Veretout e Mkhitaryan, il ‘vero colpo’ sulla sponda biancoceleste della capitale era ancora una volta la permanenza di Milinkovic-Savic, per il quale Lotito ha più volte dichiarato di aver rifiutato offerte superiori ai cento milioni di euro. E in secondo piano, al contempo, la conferma di giocatori forse meno appetiti dal mercato per ragioni di età, ma che non hanno fatto mancare il loro prezioso contributo ad un primo terzo di Serie A molto promettente.

Visto da fuori, quello dei biancocelesti fino ad ora potrebbe essere definito un campionato di riposizionamento. Il deludente ottavo posto di un anno fa, addolcito dalla settima Coppa Italia e dal conseguente accesso all’Europa League, è stato il punto più basso della Lazio di Inzaghi, che nei primi due anni aveva invece lottato fino alle ultime settimane per il quarto posto. Volendo tracciare una panoramica dell’involuzione dei biancocelesti durante la passata stagione, vale la pena dare uno sguardo ai numeri. E sottolineare, ad esempio, che la percentuale di vittorie era calata dal 55% delle stagioni 16/17 e 17/18 ad un anonimo 45%; che le reti segnate (appena 54) erano diminuite di 18 e 33 unità rispetto ai campionati precedenti; e che un appannato Ciro Immobile, capocannoniere l’anno precedente e a quota 23 in quello prima ancora, non era riuscito ad andare oltre le 15 marcature in Serie A.

Un declino dovuto a diversi fattori e sicuramente comprensibile, ma comunque inatteso. In questi primi tre mesi della nuova stagione, invece, le cose sono tornate al loro posto. Non in Europa, dove il rischio di uscire ai gironi è poco meno che una certezza, ma in campionato è tornata a splendere la Lazio che conoscevamo: le vittorie, già otto, corrispondono ad un eccellente 62% delle gare disponibili; il numero delle reti segnate (30) è in linea con la stagione 17/18, ben oltre la media di due a partita; domenica scorsa Immobile ha segnato contro il Sassuolo il suo 15esimo gol, eguagliando a novembre lo score della scorsa Serie A. È in questo senso che la Lazio si sta riposizionando sui suoi standard: la stagione 2019/2020 è vicina, anzi superiore, alla sua migliore edizione recente. La crescita è avvenuta senza una radicale mutazione: l’identità di gioco della Lazio si esprime nella ricerca della verticalità e nelle combinazioni tra i suoi giocatori offensivi, vive di ritmo, la squadra di Inzaghi crea e finalizza tanto quando non tantissimo, anche a costo di concedere qualcosa in più alle proprie spalle, ma tende ad uscire vincitrice da questo trade off tra una proiezione offensiva di massa e gli inevitabili scompensi difensivi.

Facendo riferimento a questa ultima considerazione, e recuperando anche quanto osservato a proposito della calma piatta durante il mercato estivo, la Lazio dà oggi una sensazione di continuità che è un unicum o quasi nel nostro campionato. In una prospettiva ampia, attorno ai tre-quattro anni, soltanto l’Atalanta ci si avvicina tra le squadre di medio-alta classifica: Gasperini e Inzaghi sono a pari merito come allenatori più longevi in A, dopo Semplici alla Spal. Stesso discorso per i giocatori, diversi hanno accumulato una certa esperienza: Strakosha è alla terza stagione e mezzo da titolare, Milinkovic-Savic ne ha alle spalle quattro, e i più navigati come Radu, Lulic e Parolo continuano a dare – pur con i propri limiti – le stesse garanzie di uno, due e tre anni fa. In più lo scheletro del 3-5-2 di Inzaghi sta traendo i frutti della maturità: a partire da Acerbi e Lucas Leiva, fino ad arrivare a Luis Alberto e Immobile, gli elementi chiave della squadra di Inzaghi stanno vivendo un periodo di brillantezza che ha pochi precedenti. Una forma che è giusto ricondurre al contesto, perché la stabilità raggiunta da questo ciclo sembra effettivamente pronta per fare da trampolino di lancio al tanto atteso salto di qualità, ma senza trascurare le specificità dei singoli, che di conferma in conferma hanno raggiunto all’unisono la maturità calcistica.

È il caso di Acerbi, che in questo avvio di stagione è sensibilmente cresciuto in termini di quantità e qualità dei palloni di giocati: viene cercato di più e si prende più rischi (i dati di WhoScored dicono che non ha mai giocato così tanti palloni lunghi in carriera), e sul corto le sbavature sono sempre più rare. Coniugando questa crescita alla costanza nel rendimento senza palla si è persino guadagnato la Nazionale, vestendo l’azzurro nell’arco di due mesi per lo stesso numero di volte (tre) in cui lo aveva fatto fino ai trentuno anni. Ma ancora più evidente è il ritorno di Luis Alberto sui livelli della stagione 2017/18. Lo scorso anno lo spagnolo non ha fatto generalmente male, ma ha giocato meno (anche per via di problemi fisici) ed è spesso apparso poco consistente se rapportato al suo rendimento nel primo anno da titolare in biancoceleste. Oggi è il primo in Serie A per assist e per passaggi chiave, e praticamente ogni azione della Lazio passa dai suoi piedi. La sua partecipazione è in crescita verticale, e soprattutto continua: se nella stagione 16/17 giocò una media di 45 palloni p90, questo valore è cresciuto nelle seguenti due (54, poi 58) ed oggi è pari a 63. Nessuno tra i giocatori di Inzaghi è centrale quanto lui in costruzione e rifinitura, due fasi che per come gioca la Lazio tendono spesso e volentieri a sovrapporsi.

Francesco Acerbi è alla seconda stagione alla Lazio: ha saltato una gara per squalifica, ma per il resto è stato schierato da titolare tutte le partite giocate dalla squadra biancoceleste fin dal suo arrivo, per un totale di 67 presenze (Marco Rosi/Getty Images)

La continuità, poi, è immancabilmente quella di Immobile. L’anno scorso è stato il suo “peggiore” in termini di prolificità da quando è alla Lazio, eppure anche il primo in carriera in cui è andato in doppia cifra per la terza volta consecutiva (oggi sono quattro). E ciò che più colpisce in positivo è che in questo avvio di stagione non si è limitato a segnare più di tutti, ma ha dato un contributo notevole anche in quanto a passaggi chiave: secondo WhoScored ne sta completando oltre due a partita (secondo solo a Mertens e Dybala tra gli attaccanti di Serie A), sulla scia di un feeling con l’assist di cui ha iniziato a dare segnali circa due anni fa. Il suo caso è esemplificativo di come la Lazio sia tutto sommato la stessa squadra di qualche anno fa, solo più esperta e affiatata: lontano da turbolenze o rivoluzioni, proprio come il contesto in cui si trova, il percorso di crescita di Immobile è stato equilibrato e continuo. E come il suo quello di compagni come Strakosha o Milinkovic-Savic.

Il successo di Inzaghi (ma per certi versi anche il suo limite) è derivato dalla capacità di costruire un sistema di gioco perfettamente aderente alle caratteristiche dei suoi giocatori migliori, e di dare continuità a questo meccanismo. È evidente che i meriti di quest’ottimo avvio di stagione siano da attribuire al gruppo, che ha stabilito un solido feeling emotivo con il proprio allenatore, che ammette le proprie debolezze tanto quanto e sfrutta a memoria i propri punti di forza. Quella di cui parliamo è la stessa squadra iper-verticale di uno, due e tre stagioni fa: la media stagionale del possesso palla è ogni anno la stessa (51%), ed è al contempo rimasto invariato anche il decimo posto della Lazio nella classifica che ordina le squadre in base a quell’indice. Immobile è ancora in piena corsa per confermarsi l’attaccante più propenso a finire in fuorigioco in Serie A, e i gol frutto di transizioni accelerate guidate dai giocatori più tecnici (Correa e Luis Alberto in primis) rimangono un inequivocabile marchio di fabbrica. La Lazio di oggi è la stessa squadra che a forza di portare uomini in area colleziona calci di rigore: nelle prime due stagioni della gestione Inzaghi nessuno ne ha raccolti di più (14 il primo anno, 12 il secondo) e dopo una annata di transizione (la scorsa, con ‘soli’ 6 rigori a favore) in quella in corso la Lazio è ancora una volta la squadra che ne sta ottenendo in maggiore quantità (7).

Le buone prestazioni in questo avvio di stagione hanno riportato Luis Alberto nel giro della Nazionale spagnola: è stato convocato per le due sfide di ottobre contro Norvegia e Svezia, ma non è stato schierato (Paolo Bruno/Getty Images)

Inquadrato il ciclo di Inzaghi con la costanza, sia in termini di proposta tattica che di uomini, è lecito chiedersi quali siano i margini di miglioramento per una squadra che in tre anni ha sempre giocato l’Europa League ed è riuscita a mettere in bacheca una Supercoppa Italiana ed una Coppa Italia. La sensazione, in breve, è che la Lazio non possa fare molto meglio di così. Gli investimenti per migliorare la rosa richiederebbero esborsi economici significativi e sono pertanto vincolati ad eventuali cessioni; operazioni low-cost come quelle che un anno fa hanno portato Acerbi, Correa e Caicedo non sono sufficienti. Il club può tuttavia guardare con ottimismo a un contesto che oggi potrebbe essergli favorevole. Se almeno per adesso Juventus e Inter stanno giocando un campionato a parte, il terzo ed il quarto posto sono un obiettivo alla portata, anche perché la crisi d’identità del Napoli sta aprendo uno spiraglio, e il Milan sembra ancora lontano dal potersi imporre ad alti livelli. Certo gli avversari competitivi non mancano, ma l’impressione è che lo spazio di manovra sia leggermente più ampio. Inoltre, la probabile eliminazione dall’Europa League potrebbe far risparmiare energie fisiche e mentali, aiutando a direzionare l’attenzione sul campionato.

Quello in corso è il quarto anno di Inzaghi alla Lazio, e un eventuale fallimento potrebbe sancire la fine del ciclo. Non ci sarebbe di che stupirsi. D’altro canto, ha al contempo tutte le carte in regola per diventare la stagione decisiva: quella del salto di qualità, della agognata qualificazione in Champions League. La solidità del progetto biancoceleste potrebbe essere premiata in una Serie A profondamente mutata rispetto alla scorsa edizione, e c’è ragione di pensarlo anche in virtù di un potenziale effetto positivo a seguito del deludente cammino europeo. A partire da domani (o, salvo imprevisti, dalla metà di dicembre) la Lazio di Inzaghi avrà un solo obiettivo, e sarà sulla base del suo raggiungimento che sarà valutata una volta per tutte.