L’unica cosa che dovrebbe stupirci di Robert Lewandowski è che non ci stupiamo più del suo rendimento. È come se considerassimo la sua straordinarietà, una non-notizia, oppure un dato viziato dal contesto a lui favorevole. È il miglior attaccante della stagione nell’intero panorama europeo, sta infrangendo tutti i record, e lo sappiamo, eppure tendiamo a trovare giustificazioni, più che spiegazioni. Rispondiamo che gioca nel Bayern e quindi ha vita facile in Bundesliga, che non lo abbiamo mai visto in un altro campionato, fuori dalla sua zona di comfort, che può essere in un picco di forma irripetibile, e ancora più in generale, che tutto sommato Lewandowski sa fare tutto bene, ma non eccelle in niente. La verità è che ci siamo dimenticati troppo in fretta del polacco, e la sua stagione, tutt’altro che scontata, è qui a ricordarcelo.
Lewandowski sta disputando la miglior annata della carriera a livello realizzativo, ma anche di gioco, perché riesce a abbinare l’efficacia in zona gol ad una profonda partecipazione alla manovra, migliorando sensibilmente una squadra imperfetta. Va quindi sfatato uno dei tabù: quest’anno, ma nemmeno l’anno scorso, il centravanti polacco non ha potuto sfruttare una squadra dominante, semmai è la squadra ad averlo utilizzato come pezza ai problemi. Che esistono, altrimenti il Bayern non sarebbe alle spalle dalla capolista M’gladbach, l’ormai ex tecnico Kovac sarebbe ancora al suo posto, e non ci sarebbe Flick in panchina «almeno fino a Natale, ma probabilmente anche per il resto della stagione», come ha affermato Rummenigge, spiegando implicitamente il momento di confusione gestionale del club bavarese. Lewandowski ha segnato in undici delle dodici partite finora disputate di Bundesliga, per un totale di 16 reti. A queste si aggiungono i dieci timbri in cinque gare di Champions League, più uno in due match di Coppa di Germania, per un totale di 27 reti in 20 presenze complessive in questa stagione. Ma il punto è che quello di Lewandowski è un inizio di stagione straordinario, stando ai numeri, ma tutt’altro che sovrannaturale.
Lewandowski sta semplicemente raccogliendo ciò che semina. Poco di più, ma senza esagerare: in Bundesliga produce 11.43 xG, a fronte dei 16 segnati. Fosse in linea, in sostanza, avrebbe segnato una rete a partita, e sarebbe ugualmente straordinario proprio perché riesce a innestarsi nel gioco imperfetto del Bayern, a ricavare occasioni e a isolare il proprio rendimento da quello altalenante della squadra. Nelle ultime stagione in media ha prodotto circa un xG a partita, e ha mantenuto le promesse in termini realizzativi: al netto di una prima stagione di assestamento al Bayern dopo l’addio al Borussia Dortmund, nelle successive quattro ha segnato dai 22 ai 30 gol, collezionando un minimo di 30 presenze e un massimo di 33.
Da quattro anni, Lewandowski segna almeno 40 reti, allargando l’orizzonte a tutte le competizioni, e nelle precedenti quattro non è mai andato sotto le 25 (quelle nel 2014/15, primo anno al Bayern). E considerando gli ultimi due anni, segna con più frequenza di chiunque altro, pure di Messi e Ronaldo: una rete ogni 94’ per il polacco, una ogni 95’ e ogni 100’ rispettivamente per l’argentino e il portoghese. La continuità è quindi un suo punto di forza, e si manifesta perché Lewandowski è impermeabile ai cambiamenti: funziona sempre, funziona nonostante il Bayern abbia modificato se stesso nel corso degli anni.
La capacità di adattamento del polacco è anche un modo per assorbire informazioni dalle squadre in cui gioca. Non è un caso che Lewandowski, a 31 anni, sia compiuto e completo, sa fare tutto ciò che deve fare un centravanti. Ingloba in sé le qualità del rapace d’area di rigore, è in grado di fiutare l’occasione dopo essere scomparso dalla partita, ma è anche un costante riferimento per la manovra, detta i tempi di gioco e costruisce le azioni. Kovac, prima di essere esonerato, lo ha definito «il miglior centravanti al mondo assieme a Kane», con cui in effetti condivide le caratteristiche. La differenza però è che Lewandowski può sfruttare un apprendistato fortunato, in cui i due apici sono Klopp e Guardiola, tecnici che riescono a incidere profondamente sulle caratteristiche di un giocatore, specialmente se ha meno di trent’anni, come il polacco quando li ha incrociati. Il fortunato incastro di allenatori nel periodo di formazione tattica è quindi la principale causa della sua completezza, a fronte di una carriera di alto livello confinata a due sole realtà, Bayern e Borussia Dortmund, e a un solo campionato, la Bundesliga.
Lewandowski è una persona intelligente, oltre che un giocatore predisposto all’apprendimento, per cui ha assorbito al meglio gli insegnamenti dei due principali tecnici avuti in carriera. Si è fidato di Klopp, e nel loro rapporto fu decisiva la prima annata, apparentemente di transizione, in cui giocò adattato dietro Lucas Barrios, prima e unica punta. «Klopp voleva che diventassi un giocatore più completo», ha spiegato Lewandowski, aggiungendo che la posizione non era in linea con le sue aspettative ma ha rapprsentato «un importante passaggio» per la sua carriera. Ha imparato a convivere con un calcio iper-ritmico, ma al contempo, in quel ruolo, ha capito anche come manipolarlo a suo vantaggio. Rallentando il flusso di gioco giallonero, il polacco si ritagliava il tempo e lo spazio per la giocata finale, quella che coronava le tracce verticali degli schemi di Klopp, migliorando contemporaneamente la conoscenza del gioco e la tecnica. Avanzando il raggio d’azione nell’anno seguente, ha rispolverato la sua innata capacità realizzativa, senza dimenticare i movimenti a liberare il centro dell’attacco per consentire ai compagni di inserirsi: si può dire in sostanza che Lewandowski sia un Firmino ante-litteram.
L’esperienza con Guardiola al Bayern ha completato la formazione. Nel calcio di Pep, soprattutto dopo il primo anno di reciproco adattamento (anche il tecnico non era abituato ad avere un centravanti così autentico, nel Barcellona, come sottolinea il fallimento con Ibrahimovic, e ha dovuto calibrare il suo gioco in funzione di questa nuova situazione), era avvolto, così ha definito la sua dimensione del centravanti puro: il pallone arrivava pulito, le occasioni erano nitide, il polacco poteva tirare di più e di prima intenzione, quindi affinare la sua balistica. Non è un caso che nella stagione in corso, non solo tiri più di tutti in Bundesliga (4,7 tentativi a partita), ma lo faccia anche in maniera precisa: 2,2 tiri in media a gara centrano lo specchio della porta, il 45.8% – Kane, il suo alter ego, si ferma al 33.3%, mentre Cristiano Ronaldo tocca quota 42,1%.
Lewandowski è stato uno dei primi interpreti in grado di colmare l’assenza forzata del centravanti, il periodo del falso nove, con una capacità di dialogare con i compagni sopra la media, oltre ad una qualità tecnica da centrocampista. È colui che ha convinto Guardiola a utilizzare una punta autentica. Ora che il gioco ha riaccolto i centravanti, perché le squadre hanno distribuito la qualità tecnica in tutti i giocatori e sono in grado di costruire azioni complesse anche senza l’aiuto costante del terminale offensivo, Lewandowski vive di rendita. E forse è il motivo per cui tendiamo a dimenticarci di lui. Con Guardiola non ha migliorato solo la comprensione del gioco, ma anche la professionalità: un anno fa a The Players’ Tribune, ha ammesso che Pep gli ha cambiato «il modo di pensare al calcio», non solo in campo, ma anche fuori. Il polacco ha migliorato la cura del proprio corpo, a cominciare dalla dieta, anche grazie alla moglie Anna, campionessa di karate e specialista in nutrizione (con tanto di laurea in educazione fisica), e ha smussato il suo carattere silenzioso e taciturno, accettando gradualmente un ruolo di leadership che ora è particolarmente evidente.
Nel Bayern di oggi è ormai portavoce, non solo per rispettare una questione anagrafica (è il più vecchio dopo il 33enne Neuer in una rosa di 25,7 anni di media, ringiovanita dopo gli addii di Ribery e Robben), ma anche perché è ormai a suo agio nel ruolo. E i suoi contenuti sono di spessore: di recente, ad esempio, ha spiegato che «la spina dorsale del Bayern non può essere composta solo da Neuer e Lewandowski, ma dovrebbe avere un leader in ogni reparto», alludendo al fatto che i giovani faticano a essere dei riferimenti non tanto per l’età, ma perché «hanno paura di parlare» dal momento che «sono abituati a interagire con il telefono», in sostanza per una deformazione culturale. Sono considerazioni di un giocatore attento al contesto che lo circonda, un professionista esemplare sotto tutti i punti di vista, ai limiti della noia, motivo per cui si dà per scontato ciò che Lewandowski fa e ciò che Lewandowski è, cioè uno dei migliori centravanti al mondo, anche se non è affatto scontato.