The Age of Football ci racconta i rapporti più oscuri tra la politica e il calcio

David Goldblatt riflette sui poteri che avvelenano lo sport più seguito.

Ogni libro che fa uscire David Goldblatt è una specie di evento. Il ricercatore con i dreadlocks di Bristol è uno degli intellettuali “calcistici” più indispensabili che ci siano: scrive da uomo di sinistra e sembra che conosca tutto quello che c’è da sapere a proposito di tutto. Il suo ultimo lavoro, The Age of Football, una specie di sequel del capolavoro del 2007 The Ball Is Round, è un’analisi capace di far riflettere sul calcio e la sua influenza sul pianeta. Nel suo senso più positivo, il calcio è capace di regalarci grandi quantità di valori e di emozioni, Goldblatt ci spiega. Ma il suo tema è il potere: le miriadi di modi in cui la politica ha «colonizzato, modellato e usato» il calcio. Il suo modo di scrivere è autorevole e, come ci si potrebbe aspettare da uno che ha una fotografia di Groucho Marx come foto profilo di Twitter, conciso.

Più il calcio diventa grande, sembra, più oscure diventano le forze che gli gravitano intorno. Non tutto è fatto di tenebra, naturalmente: incontriamo poetici telecronisti arabi, attivisti del calcio di strada, artisti, e persone come Ernest Okonkwo, la voce della golden generation perduta nigeriana. Più spesso, tuttavia, Goldblatt ci mostra tifosi e giocatori sfruttati, squadre amministrate in modi orrendi, violenza, bigottismo di ogni tipo, e un’intera galassia di ufficiali e politici inetti o corrotti.

Grazie soprattutto alla tv satellitare, negli anni il calcio è diventato ubiquo, anche in luoghi che fino a poco fa gli erano indifferenti. In Cina, un Paese in cui il calcio sembrava irrimediabilmente danneggiato dalle partite truccate, è stato trasformato dall’interventismo statale di Xi Jinping. Anche in India, nonostante «gli amministratori più corrotti e incompetenti del mondo», il suo apprezzamento sta crescendo vertiginosamente. La globalizzazione si muove in fretta e con conseguenze inaspettate. In Africa, ad esempio, la trasmissione delle partite internazionali ha acceso un’enorme passione per la Premier League, ma ha danneggiato i campionati locali. Ci sono occasioni, come la protesta sul prezzo degli autobus legata alla Confederation Cup del 2017, o il ruolo degli ultras nella caduta di Hosni Mubarak in Egitto, in cui il calcio funge da veicolo per dimostrazioni e resistenza.

Più spesso, il gioco viene utilizzato come strumento da miliardari come Vichai Srivaddhanaprabha, il fondatore dell’azienda che detiene il monopolio dei duty free thailandesi che morì lo scorso anno in un incidente in elicottero. Lui, e altri businessmen asiatici, attraverso l’acquisto di squadre europee sono riusciti a comprarsi «visibilità globale a un prezzo ragionevole». Srivaddhanaprabha comprò il Licester City per 39 milioni di sterline nel 2010, e «ha raccolto un capitale politico inestimabile» quando il club ha vinto la Premier League cinque anni dopo. In Sud America alcuni capi dei gruppi chiamati barra bravas sono diventati essenzialmente leader di organizzazioni criminali, così coinvolti nel traffico di droga e altre attività che hanno completamente perso gli interessi sportivi.

Talvolta, gloria e tenebre sono inestricabilmente collegati. Il calcio colombiano, spiega Goldblatt, visse la sua ascesa e caduta seguendo il corso della marea del business della cocaina. Più tardi, fu decisivo nel porre fine alla guerra con le Farc. Un bel capitolo del libro paragona il Mondiale del 2018 nella Russia di Putin a un villaggio Potemkin. Quello dedicato a Sepp Blatter spiega il modello di corruzione della Fifa attraverso il prisma di The Wire, la serie tv che ha esplorato il silenzioso avvelenamento di un’intera società dal crimine. «La fragilità delle norme giuridiche danneggia diverse sfere della vita», spiega Goldblatt. «I confini tra organizzazioni criminali e un’enormità di altre reti e attori si sono fatti meno chiari». In altre parole, il modo in cui questi poteri si esprimono attraverso il calcio non riguarda solo il calcio. Tocca ognuno di noi.

Dal numero 29 di Undici