La F1 costa sempre di più, e in futuro solo i figli dei ricchi potranno diventare piloti

Servono circa otto milioni di sterline per arrivare ai massimi livelli.

La parte più significativa nella storia personale e professionale di Lewis Hamilton riguarda le sue origini: suo padre si è indebitato di decine di migliaia di sterline per farlo correre sui kart, come avrebbe dovuto fare un qualsiasi operaio della London Underground come lui. La tendenza attuale mostra come neanche un’operazione di questo tipo – per quanto sia molto incosciente – potrebbe bastare perché un membro della working class, o comunque un bambino e poi ragazzo semplicemente benestante, non ricchissimo, possa diventare pilota di Formula Uno. Secondo i dati pubblicati in un articolo del Guardian, risalenti al 2016, il costo per una stagione di karting a livello internazionale si aggira intorno a un milione di sterline, mentre in F2 arriva a superare 1,5 milioni di sterline – queste cifre sono state calcolate dal team principal della scuderia Mercedes, Toto Wolff.

Di conseguenza, un periodo prolungato nelle categorie inferiori può portare alla moltiplicazione di questi costi: «Se sei arrivato alle soglie della Formula Uno ma non riesci a ottenere un sedile, potresti arrivare a spendere fino a otto milioni di sterline», ha aggiunto Wolff. Con questi “prezzi”, è inevitabile che solo i figli dei ricchi possano aspirare a diventare piloti ai massimi livelli. Un caso specifico raccontato dal Guardian è quello relativo a Johnathan Hoggard, che a 19 anni ha vinto il premio come giovane pilota dell’anno dell’Aston Martin Autosport, alla fine della scorsa stagione. Finora il suo percorso è stato finanziato dalla famiglia, ma ora il passaggio dalla F3 britannica alla F3 internazional avrebbe un costo non sostenibile – circa un milione di sterline. «Il mio obiettivo è sempre stato arrivare in Formula Uno», ha spiegato Hoggard, «ma ora è probabile che io debba essere più realistico, dato che l’accesso a un livello superiore non è un’ipotesi percorribile».

Altri casi raccontati dal Guardian sono quelli di Billy Monger, Emily Lescott e Mitch Evans. Proprio Evans ha raccontato come nel 2015 abbia ricevuto offerte dalla Ferrari e dalla Red Bull per entrare nei loro progetti di sviluppo giovanile, poi però ha aggiunto come spesso a questi programmi partecipino «aspiranti piloti che pagano per essere lì, allora l’intero processo diventa fumo negli occhi». Tornando a Hamilton, il pilota campione del mondo ha annunciato la sua intenzione di reinvestire parte dei suoi guadagni come pilota per finanziare per programmi di sostegno a piloti con scarse risorse. Allo stato attuale delle cose, sarebbe l’unico modo possibile perché un suo erede “sociale”, non solo “tecnico”, possa entrare in uno sport storicamente elitario, ma che col tempo è diventato praticamente inaccessibile.