Lo strano rapporto di Antonio Conte con l’Europa

Di certo non ha mai snobbato i trofei continentali, ma il suo calcio sembra adattarsi meglio alle leghe nazionali.

«Dopo la sconfitta con la Lazio si deve ripartire con convinzione. Abbiamo un impegno europeo e dobbiamo affrontarlo nella giusta maniera, rispettando la competizione». Le parole di Antonio Conte nella conferenza stampa alla vigilia della partita contro il Ludogorets nascondono, tra le righe, una sfida al luogo comune che lo vede efficace unicamente nelle competizioni nazionali, in particolare in campionato. E debole nelle competizioni europee. È un cliché, certo, una definizione sicuramente superficiale che può essere approfondita in diversi aspetti. Ma in primo luogo riflette un’evidenza data dai risultati.

Se restringiamo il campo di analisi ai soli campionati nazionali, Conte è uno dei migliori tecnici dell’ultimo decennio. Ha vinto tre volte la Serie A in tre stagioni alla guida della Juventus (con due Supercoppe italiane); una Premier League con il Chelsea – dov’è rimasto due stagioni, portando in dote anche una FA Cup; quest’anno, con l’Inter, e insieme alla Lazio, è in corsa per interrompere il dominio quasi decennale della stessa Juventus in Serie A.

In Europa, invece, il miglior risultato è un quarto di finale di Champions League, raggiunto nel 2012/13, la seconda stagione alla Juve. Era la sua prima partecipazione alla massima competizione europea come allenatore. Nella stagione successiva i bianconeri hanno chiuso terzi in un girone con Real Madrid, Galatasaray e Copenaghen, per poi proseguire in Europa League fino alle semifinali. Ma era una Juventus da 102 punti in campionato, una squadra che avrebbe potuto e dovuto avere un’ambizione diversa in territorio internazionale. Al Chelsea, invece, ha giocato in Champions solo alla sua seconda stagione, dopo aver vinto meritatamente la Premier: si è fermato agli ottavi, contro il Barcellona. L’ultima, in ordine cronologico, è l’eliminazione ai gironi con l’Inter, scivolando ancora in Europa League. Insomma, c’è una chiara distanza tra i risultati nazionali e quelli internazionali. E le motivazioni sono da cercare tanto in campo quanto fuori.

Conte è eccezionale nell’imporre, alle sue squadre, il suo sistema di gioco fin dalle prime settimane di lavoro, ottenendo subito buoni risultati. All’Inter, così come al Chelsea e alla Juventus con le dovute proporzioni, è riuscito a dare subito la sua impronta: un calcio estremamente codificato, basato sul ritmo, la costruzione dal basso – adesso esasperata dalla regola che permette ai difensori di ricevere il rinvio dal fondo all’interno dell’area – e la creazione di tanti triangoli per muovere il pallone. Un sistema rigido in cui riescono a brillare anche i calciatori meno talentuosi, a patto che siano in grado di rispettare le assegnazioni.

Partendo da queste basi, i problemi nascono al momento di ampliare il progetto tattico, espanderlo in altre direzioni per alzare il livello delle prestazioni. Lo si è visto anche in alcuni passaggi in questa stagione: l’Inter era già la sua squadra la scorsa estate, al netto di necessari miglioramenti sul piano fisico, ma oggi, diversi mesi dopo, non ha aggiunto elementi rilevanti rispetto a quel che avevamo visto nelle prime giornate. Con il risultato che ancora adesso l’Inter ha quasi gli stessi limiti di sei mesi fa. Un esempio sono le difficoltà nel creare attacco quando vengono schermate le linee di passaggio verso le due punte, come nella partita contro la Lazio nell’ultimo turno di campionato.

Lo score totale di Antonio Conte come allenatore nelle coppe europee è di sedici vittorie, dodici pareggi e dieci sconfitte in 38 partite (Josep Lago/AFP via Getty Images)

Un sistema così congegnato, basato principalmente sui ritmi alti, può essere utile per dominare le partite nelle competizioni nazionali, specialmente in Serie A, dove è più facile che una formazione come l’Inter riesca a sovrastare sul piano atletico l’avversaria. Ma in Champions League, dove il gioco viaggia su un livello d’intensità diverso, più alto e costante, c’è bisogno di aggiungere alla dimensione fisica anche un’impalcatura tattica che moltiplichi le opzioni per i giocatori. Questa mancava prima, e manca ancora oggi.

Anche perché quando si giocano partite ai massimi livelli dall’altro lato c’è quasi sempre, se non sempre, una formazione con una proposta di gioco proattiva di un certo spessore. Il riferimento non è solo a squadre come il Barcellona. Anzi, Conte lo aveva sottolineato proprio dopo la prima giornata dei gironi, contro lo Slavia Praga (pari 1-1 a San Siro). Il tecnico aveva spiegato che nella programmazione della gara aveva immaginato un altro approccio da parte della formazione ceca. «Non avevamo studiato questo tipo di partita. Sono deluso e mi prendo la responsabilità. Non avevo capito che tipo di match saremmo andati a giocare. Lo Slavia ha giocato in maniera europea, aggredendo con un gran pressing e un ritmo elevato. Ci hanno battuti in tutto: sulla velocità, sull’intensità, nei contrasti. Non siamo stati bravi nel trovare soluzioni giuste. Nelle partite di campionato abbiamo giocato contro squadre che ci aspettavano nella loro metà campo».

Conte ha guidato l’Inter in 33 partite ufficiali tra Serie A, Coppa Italia e Champions League; ne ha vinte 20, pareggiate sette e perse sei (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Con queste premesse, la sproporzione tra i risultati domestici e quelli internazionali delle squadre di Conte è solo una conseguenza, inevitabile e automatica, per un allenatore che fatica a uscire – tatticamente e psicologicamente – dalla sua comfort zone per esplorare situazioni diverse, per sé e per la sua squadra. Ma la carenza di risultati in Europa non va letta necessariamente come una scelta premeditata e studiata a tavolino: difficilmente si può immaginare un professionista come Antonio Conte scegliere di perdere volontariamente in una competizione per trarre vantaggio in un’altra. Piuttosto sembra un’opzione residuale. Un’opzione peraltro dovuta anche alle condizioni di partenza al momento del suo arrivo in un nuovo club.

Conte non ha mai allenato squadre davvero pronte per vincere la Champions. La sua Juventus non lo è stata per i primi due anni. Lo era probabilmente al terzo. Il Chelsea che ha ereditato è quello che l’anno precedente aveva cambiato tre allenatori ed era finito al decimo posto in Premier League. Mentre l’Inter, questa Inter, non è un club con un’esperienza e un vissuto rilevante in campo internazionale. Vista da questa angolazione, la scelta di concentrarsi maggiormente su un’affermazione domestica – ammesso che si tratti di una scelta – ha un valore diverso: Conte è sempre stato nella situazione di dover ritagliare per le sue squadre un ruolo di primo piano in campionato (sempre con il compito di riportare in alto squadre con una storia importante alle spalle), compito nel quale eccelle per i motivi di campo già citati.

Antonio Conte ha vinto per tre volte (2012, 2013 e 2014) la Panchina d’Oro, il premio al miglior allenatore assegnato dall’associazione di categoria, quindi dai suoi colleghi (Hector Retamal/AFP via Getty Images)

«Io ho giocato tre Champions League, la prima con la Juventus dopo che abbiamo vinto il campionato e si partiva da due settimi posti, quindi con una squadra riformata, e siamo usciti ai quarti. Al secondo anno siamo usciti ai gironi per arrivare in semifinale di Europa League e poi ci ho rigiocato al Chelsea, che arrivava da un decimo posto e con una squadra ristrutturata. Questa è la mia quarta partecipazione alla Champions, capisco che ci sia molta aspettativa nei miei confronti ma non è che trasformo in vittoria tutto ciò che tocco», ha detto in conferenza stampa alla vigilia dell’esordio in Champions sulla panchina dell’Inter. Il ragionamento sembra seguire una sua logica: una volta consolidata la posizione della squadra e della società all’interno dei confini nazionali si può pensare a un’ulteriore evoluzione.

Il dubbio, a questo punto, è se l’upgrade sia effettivamente alla portata e nelle corde dello stesso Antonio Conte. Quel definitivo miglioramento – nelle prestazioni e nei risultati – che non è arrivato, per fare un esempio, al terzo anno alla Juventus. Ma anche quello che lui stesso, per più di un motivo, non è stato in grado di pianificare. Perché Conte non è riuscito a costruire le condizioni per farlo. Forse alla Juventus, o se fosse rimasto al Chelsea ancora un anno. Oppure nel giro di due o tre stagioni all’Inter, ammesso che duri tanto sulla panchina nerazzurra. O, ancora meglio, potrebbero esserci già quest’anno. Perché l’Inter avrebbe buone possibilità di vincere l’Europa League (le altre squadre candidate alla vittoria non sembrano attrezzate molto meglio). Ma magari, invece, punterà ancora sulla Serie A, per riportare l’Inter in vetta, più in alto di dov’era quando l’ha presa lui. E gli andrà bene così.