Friday Night Lights è la Bibbia della letteratura sportiva

Il romanzo di Bissinger ci racconta lo sport, ma anche la vita di tutti i giorni negli Stati Uniti.

Esistono libri cui non solo i lettori, ma anche e soprattutto gli altri scrittori devono essere grati. Succede da sempre, sono molti i casi in cui particolari autori, e i romanzi che hanno scritto, hanno influenzato il modo di raccontare una storia da parte di chi è venuto dopo di loro. Accade anche con la poesia, a un certo punto arriva un poeta che cambia per sempre le regole del gioco, segna un punto, da allora in avanti chiunque si occupi di poesia non potrà far altro che tenerne conto, pure se non ha mai letto quel poeta. Ci sono nuove regole, nuovi schemi, nuove idee, nuove immagini. Tutto è cambiato.

Chiunque voglia scrivere di sport, fare letteratura sportiva, deve molto, se non tutto, ad autori come H.G. Bissinger e a libri come Friday Night Lights (66thand2nd, 2020, traduzione di Leonardo Taiuti). Pubblicato per la prima volta nel 1990, quella che leggiamo è la nuova edizione del 2015, arricchita da una postfazione di Bissinger, scritta a 25 anni di distanza da quel racconto così importante. Mentre scrivo il libro ha venduto solo negli Stati Uniti due milioni di copie, ne è stato tratto un film e una celebre serie tv.

«Nelle gerarchie della Permian, dove ragazze, feste, vestiti e belle macchine erano importanti quanto i voti, giocare a football ti apriva porte che gli altri studenti potevano soltanto sognarsi»

Il libro di Bissinger ha messo in luce due cose molto importanti: non si può raccontare lo sport senza capire cosa succede intorno e fuori dal campo; non si può dire la storia di un campionato, di una squadra, senza averla compresa, senza averla attraversata. Non basta la statistica, non bastano l’epica e la fantasia. Bissinger, al tempo, scelse di passare un anno nella città di Odessa, in Texas, era il 1988, per seguire il campionato di football americano liceale. Prese un anno di aspettativa – aveva già vinto un Pulitzer (1987) per il giornalismo investigativo – e partì da Philadelphia per Odessa, che allora (non che molto sia cambiato oggi, è sempre all’ottavo posto) era considerata tra le dieci città più pericolose degli Usa. La squadra è quella dei Permian Panthers, la scuola è la Permian High School.

L’idea fissa di Bissinger, o almeno una di queste, era il voler spiegare come il football liceale fosse in grado di tenere in mano le sorti di un’intera città, condizionandone la comunità al punto che ogni scelta di vita, alla lunga e nel breve, pareva dipendere dalla partita del venerdì sera. Il campionato delle High School era l’argomento settimanale, fonte di litigi e amicizie, di scelte politiche, di tolleranza e di intolleranza. Per i giocatori afroamericani di colpo veniva dimenticato il razzismo, questione che negli anni Ottanta, in Texas e – in particolare – in posti come Odessa era centrale. I quartieri erano divisi tra le varie comunità, la Permian era stata la scuola dei bianchi, ma i più forti a football erano i neri.

Il film Friday Night Lights, diretto da Peter Berg, è uscito nel 2004. L’allenatore Gary Gaines è interpretato da Billy Bob Thornton.

«I Panthers si muovevano come uno sciame, sembrava giocassero per salvarsi la vita»

Odessa era interessante anche perché situata nel cuore della produzione petrolifera. Immagino questo luogo, i pozzi di petrolio, i soldi che giravano – ma non per tutti – e giravano già un po’ meno, Bissinger parla di depressione economica e sociale. Lo scrittore vuole vedere «sfavillare le luci del venerdì sera», vuole vedere questi diciassettenni che ogni settimana si esibiscono davanti a ventimila persone. Le stesse persone che seguono la squadra in trasferta, per centinaia di chilometri, passando le notti davanti ai botteghini per le partite dei playoff. Di sicuro nulla è più importante del football liceale per gli abitanti del West Texas, bastava domandarlo a chiunque e Bissinger lo ha fatto, per un anno. È andato agli allenamenti, ha vissuto in città, è stato nei bar, negli uffici, è diventato parte di quella comunità. Ha parlato con gli allenatori, con gli insegnanti, con i genitori dei ragazzi, con gli zii, con gli affidatari, dentro belle case, dentro catapecchie. Ha colto l’essenza di una città, la pressione che la cittadinanza esercitava sui giocatori e la capacità di questi di reggere l’urto, di elevarsi oltre le proprie capacità, le proprie possibilità fisiche.

Lo sport tiene insieme molte cose e altre ne distrugge. In quei licei venivano alimentati i sogni dei ragazzi, il football per quasi tutti sarebbe stata l’unica possibilità di accedere al college e, chissà, al professionismo. A scuola, durante le lezioni, la maggior parte di loro teneva una soglia di attenzione molto bassa, attenzione che saliva – invece – insieme all’adrenalina quando si trattava di placcare, di fare un running, avanzare di yard in yard, di lanciare un compagno, di correre verso il touchdown a una velocità non consentita agli esseri umani normali. I ragazzi chi erano? Bissinger si affeziona a tutti loro e tutti, in qualche maniera, gli ritornano quell’affetto. Quasi tutti gli perdoneranno il libro, chi più chi meno.

Dal libro di Buzz Bissinger è stata tratta anche una serie televisiva, durata per cinque stagioni, dal 2006 al 2011

«Se nomini il West Texas pensi subito al football. Niente può sostituirlo. È la forza di questa comunità. Se ce lo portassero via, sarebbe come portarci via l’identità»

Bobbie Miles, il running-back nero, il fenomeno che nel 1988 avrebbe dovuto quasi da solo garantire la vittoria del campionato. Bobbie che si infortuna, che intuisce che niente non sarà più come prima, torna ma il ginocchio non è lo stesso, lo scatto non è quello di poco tempo prima, finisce in panchina. Bobbie che da quell’anno in poi vedrà tutti i suoi sogni infranti in sequenza, vivrà sempre da disadattato, finirà in carcere. O il football o niente, lui rispecchia più di altri la teoria di Bissinger, e la profonda relazione Odessa/Football. Odessa ha fornito a quella gente l’unica possibilità che aveva da dare, il campo, la corsa, la palla ovale, Odessa ha tolto tutto il resto, che semplicemente non c’era. Nessuno degli altri ragazzi, tutti forti, di quell’anno ha fatto carriera, i vari Mike Winchell – il quarterback che non reggeva la pressione –, Brian Chavez – il più intelligente di tutti –, Ivory Christian – il religioso –, Don Billingsley – quello che litigava con tutti, il più problematico – hanno fatto altro, alcuni quasi nulla, altri sono finiti male. Uno solo si è laureato, Chavez. Nessuno è riuscito a togliersi Odessa e il Texas di dosso, in un certo senso, tutti loro portano i segni, più di delusione che di gloria, di quella stagione meravigliosa ma mai conclusa, la conclusione è la vittoria, è il prosieguo della speranza.

Bissinger ha un bellissimo modo di raccontare, a metà tra il reportage e il memoir. È tenero verso quei ragazzi, lo è anche venticinque anni dopo quando va a trovare alcuni di loro, cercando un abbraccio, una luce negli occhi, non solo la loro ma anche la propria.