Un surreale weekend di Serie A

Il campionato a porte chiuse: diverso, straniante, spaventoso.

Non è stato un weekend di campionato normale, quello a cui abbiamo assistito: si è andato avanti, si è giocato, si è vinto o si è perso, si è mossa la classifica oppure si è rimasti nella posizione di prima. Ma è inevitabile che su ogni partita aleggiasse un senso di fragilità, di incertezza, di preoccupazione: il calcio può andare avanti, quando l’emergenza Coronavirus tiene in scacco l’intero Paese? E può andare avanti in questo modo – senza tifo, pubblico, senza la normalità? Cinque firme raccontano un surreale, e atipico, weekend di campionato.

Sabato: troppe partite, ripensiamo il nostro calcio

Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti, e la salute pubblica dovrebbe venire prima di tutto. Per questo penso che lo show non debba andare avanti. Una partita a porte chiuse è comunque un assembramento pubblico e un rischio non necessario per chi vi è coinvolto. Il Coronavirus mette a nudo i problemi strutturali del calcio nel 2020. Ci sono troppe partite. Il calendario è sovraffollato. I tornei – dagli Europei alla proposta di riformare il Mondiale per club – continuano a espandersi. Il gioco ha bisogno, essenzialmente, di razionalizzarsi e di armonizzarsi. Questo vorrebbe dire ridurre i campionati da 20 a 18 squadre, sbarazzarsi di competizioni come la Coupe de la Ligue in Francia e la League Cup in Inghilterra, le partite di Fa Cup dovrebbero essere in partita secca, con i calci di rigore in caso di parità anziché procedere al replay. Teoricamente, questo assicurerebbe alle leghe maggior flessibilità di fronte a una crisi come quella aperta dal Coronavirus. E renderebbe il prodotto migliore, di maggior qualità. Se i giocatori avessero più tempo per riposarsi e recuperare al meglio le forze fisiche, potrebbero giocare molto meglio. Se gli allenatori avessero più tempo per lavorare in allenamento, più alte sarebbero le possibilità di vedere le loro squadre giocare a memoria. Sicuramente, le televisioni continuerebbero a pagare per tutto questo e il potenziale per uno spettacolo più avvincente ed emozionante rispetto alla quantità che abbiamo al momento. (James Horncastle)

Domenica, ore 12.29: il pasticcio di Parma-Spal

Alle 12.29, con le squadre di Parma e Spal già pronte nel tunnel che dagli spogliatoi fa accedere in campo, le disposizioni improvvisamente cambiano. «Fermi, fermi!». Non si gioca più. O meglio: non si sa più se si giocherà. Il ministro dello Sport Spadafora, in quei minuti, ha chiesto alla Federcalcio di bloccare il campionato. «Non ha senso in questo momento mettere a rischio la salute dei giocatori, degli arbitri, dei tecnici». Argomentazione comprensibile, se non condivisibile. Ma allora perché non attivarsi giorni, settimane prima? Nella notte precedente il governo – di cui fa parte lo stesso Spadafora – ha emanato un decreto che disciplina lo svolgimento delle manifestazioni sportive di livello professionistico: sì, ma a porte chiuse. Recependo quanto già deciso tra Lega Serie A, Federcalcio e istituzioni stesse nei giorni precedenti. Perché allora il dietrofront a pochi minuti da Parma-Spal? E perché poi far giocare lo stesso?

I volti dei giocatori delle due squadre, che hanno poi iniziato a giocare con un’ora e un quarto di ritardo, erano più loquaci di mille parole: confusione, spaesamento, preoccupazione. Come possono giocare con tranquillità e intensità agonistica se fino a qualche minuto prima qualcuno gli aveva detto di non andare in campo? Se nel frattempo hanno maturato l’idea che giocare sarebbe stato pericoloso per la loro stessa salute? Giorni prima, la Lega Serie A aveva deciso che Juventus-Inter non si sarebbe giocata a porte chiuse (anche lì, decisione colpevolmente tardiva e contraddittoria rispetto a quanto stabilito nemmeno 48 ore prima) perché avrebbe “danneggiato” l’immagine del campionato. Missione compiuta, in ogni caso. (Francesco Paolo Giordano)

Alcuni addetti all’assistenza pubblica pochi minuti prima dell’inizio di Parma-Spal; la sfida tra le due squadre emiliane è cominciata alle 13.45, con un’ora e quarantacinque minuti di ritardo rispetto al programma originario (Gabriele Maltinti/Getty Images)

Domenica, ore 17: il suono sordo del pallone

Il calcio a porte chiuse regala sensazioni di straniamento, sembra di essere in un’altra dimensione spazio-temporale. Tutto è ovattato, irreale. Il suono sordo del pallone, le grida dei calciatori, e quel che abbiamo visto e che conoscevamo. Perché giocare a porte chiuse non è una novità in sé. È un evento generalmente legato a una sanzione disciplinare. Il derby di Coppa dei Campioni Juventus-Verona si giocò a porte chiuse, così come l’andata di Coppa dei Campioni tra il Real Madrid e il Napoli di Maradona. Stavolta, però, la novità è guardare una partita a porte chiuse in un Paese a porte chiuse. In cui il pianeta calcio ostenta la propria extraterritorialità. Con le istituzioni che da giorni giocano a rimpiattino, senza rendersi conto di quel che sta accadendo attorno a loro. L’associazione calciatori chiede di fermarsi. Il ministro va in tv a dire che il calcio ha anteposto gli interessi economici a quelli del Paese e che non si assume le proprie responsabilità. Il numero uno della Lega gli risponde: e allora fermalo tu con un decreto. Hanno litigato anche sulla possibilità che le partite a porte chiuse fossero trasmesse in chiaro. Con i calciatori ridotti a unica distrazione in una surreale atmosfera da Day after. Qualcuno, come Petagna, lo ha detto chiaramente: «Ho anche segnato – ha scritto sui social dopo Parma-Spal – ma oggi nessuno ha vinto. In questo momento di difficoltà il calcio deve essere messo da parte». In questo clima, il suono sordo del pallone in uno stadio vuoto sembra quasi un momento di normalità. (Massimiliano Gallo)

Domenica, ore 18: le voci degli allenatori

L’aver visto Udinese e Fiorentina affrontarsi senza spettatori non è stata una novità di per sé: le partite a porte chiuse sono capitate, capitano e capiteranno in futuro. È stato semmai straordinario, nel senso letterale del termine, il fatto che per la prima volta l’assenza di un pubblico non è stata percepita o raccontata come una condizione passeggera, e che anzi, ci sono ottime probabilità che diventi una costante almeno per un altro po’ di tempo. Non una bella prospettiva, se si accetta che la cornice di una partita di calcio è qualcosa in più di una semplice cornice, ma una situazione con cui dover fare i conti almeno nel breve termine. Cosa si può fare per godersi a pieno una partita in cui negli spalti deserti riecheggiano soltanto le voci degli addetti ai lavori – perlopiù degli allenatori? Si finisce per concentrarsi su quelle voci, e ascoltarle. Il nostro campionato è pieno di allenatori con idee interessanti, e spesso mi sembra che si sottovaluti il privilegio di poter sentire cosa dicono nei novanta minuti più importanti della settimana. I concetti, le parole, il tono, la frequenza, sono tutti elementi che contribuiscono a definirli, che ci raccontano di loro; farci attenzione è l’unica chiave di cui disponiamo per capirli al di fuori della formalità abbottonata della conferenza stampa. (Simone Torricini)

Uno steward solitario a San Siro, durante Milan-Genoa (Marco Luzzani/Getty Images)

Domenica, ore 22.30: la fine del campionato, forse

Juve-Inter a porte chiuse sa subito di evento minore, di partita dimezzata, non solo per l’assenza dei tifosi ma anche per il turbinio che si muove intorno: l’emergenza, senza precedenti, legata all’epidemia di Coronavirus, le molte partite sospese e rinviate, compresa questa, in recupero, e i dubbi che si agitano sul proseguimento del campionato: spostare l’Europeo, annullare il campionato, ma poi le posizioni attuali di classifica come le consideriamo? In Champions chi ci va? La serie B rimane uguale? Insomma, se perdi hai la scusa pronta, tanto è un campionato che probabilmente neanche finirà, è come un’amichevole d’agosto.

La partita però la si guarda come una partita normale, bisogna dirlo, ti viene l’ansia uguale, fai il tifo uguale, anche se senti le voci dei quattro gatti presenti rimbombare nell’immensità dello stadio come urla di ubriachi di notte per strada che non si capisce da dove vengano di preciso, ma danno un senso di minaccia e di desolazione al tempo stesso. Ed è una bella partita, equilibrata fino a un certo punto, anzi con un’Inter che prevale fino al gol preso, che è il momento in cui si capisce la differenza tra le due squadre, una differenza di “personalità”, come ha detto Conte, una differenza di soluzioni anche; le porte chiuse non mitigano quello che sembra un dato di fatto, tecnico e psicologico. Da interista mi viene da dire che il campionato della mia squadra non solo potrebbe finire qui perché domani la Serie A potrebbe essere sospesa, annullata, cancellata, ma è finito qui, perché anche se fosse sospeso, la storia ci racconterà di due scontri diretti persi e di una Lazio con più punti e di un’Inter mai veramente sicura quando gioca con le forti. Cose buone in questo campionato se ne sono viste certamente, ma la neutralità delle porte chiuse è stata un bagno di umiltà. (Cristiano de Majo)