Il nuovo spot di Agent Provocateur con alcune atlete sta creando qualche polemica

Per qualcuno, è in controtendenza nell'era del post #meeto.
di Redazione Undici 11 Marzo 2020 alle 16:06

La casa di lingerie britannica Agent Provocateur ha lanciato recentemente un nuovo spot – che potete vedere in apertura – per la propria campagna pubblicitaria, sollevando un po’ di polemiche. Il brand di Londra ha scelto alcune importanti atlete come modelle: l’astista canadese Alysha Newman, l’arrampicatrice americana Sasha DiGiulian, la ginnasta britannica Georgia-Mae Fenton e la velocista e ostacolista americana Harrison Claye. Agent Provocateur ha voluto mostrare un aspetto delle sportive che solitamente non compare durante le manifestazioni atletiche: tutte le protagoniste hanno scelto i capi di lingerie Agent Provocateur da vestire nello spot salvo poi cimentarsi nelle loro solite specialità, soltanto con un outfit “diverso” da quello consono. La campagna è stata ripresa anche dalla critica di moda Vanessa Friedman con un articolo sul New York Times, in cui ci si domanda se tutto questo non vada in controtendenza sui discorsi intorno alla femminilità nell’era del post #metoo.

Una delle protagoniste della campagna di Agent Provocateur, Sasha DiGiulian, ha detto: «Sono un personaggio pubblico, quindi mi soffermo su come quello che mostro possa essere percepito. Ma non lascio che controlli il mio processo decisionale. Sono stata molto decisa nel “portare in vita” questo potere attraverso queste immagini». Dunque le stesse atlete, come confermato anche da un’altra testimonianza, quella dell’ostacolista Harrison Claye – «Ero fuori dalla mia comfort zone. Non ho mai corso indossando un reggiseno del genere, ma è stato anche molto liberatorio» –, si sono sentite coinvolte in un processo di valorizzazione del proprio corpo secondo i canoni tipici della femminilità, tutto ciò nonostante il contesto dello sport viva da sempre una grande incertezza quando si tratta di esporre il corpo delle atlete. 

Negli ultimi, anni il corpo femminile è diventato oggetto di molte attenzioni e considerazioni, e quindi, innegabilmente, anche una campagna come quella di Agent Provocateur è rimbalzata fra i vari critici. È giusto che le forme femminili vengano utilizzate per scopi pubblicitari anche in momenti in cui, tendenzialmente, l’atleta sta svolgendo un’attività che non richiede questo tipo outfit? Soprattutto, dopo un periodo di discussioni circa l’abbigliamento femminile, è corretto girare uno spot come questo? Questi interrogativi sono stati posti anche dalla Friedman sul NYT, eppure, come riportato, le opinioni delle atlete testimoniano qualcosa di diverso. La scelta di Agent Provocateur è una nuova proposta nell’esaltazione della femminilità – in questo caso delle atlete – che si manifesta pure in momenti dove il corpo è in una condizione di sforzo – un momento ritenuto abitualmente poco sensuale e meno femminile.  

Nel suo articolo la Friedman spiega che «la femminilità e il femminismo si stanno spostando l’una verso l’altro, almeno quando si tratta della loro espressione nei vestiti. È un atto femminista sfoggiare la propria femminilità». Il fatto che le protagoniste abbiano scelto di correre, saltare o arrampicarsi con biancheria intima e reggiseni push-up testimonia che la femminilità, appunto, non è solo un grado di appartenenza delle modelle professioniste, ma anche di coloro che nella vita fanno altro – come sport ad alti livelli, ma non solo.

 

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