Il progetto e01 – Un inizio in quarantena

Il calcio europeo si è fermato, non quello virtuale: racconto di una stagione di Football Manager e dell'isolamento.

Sono stato ingaggiato per diventare l’allenatore della Roma nel bel mezzo della più grande pandemia mai vista dall’umanità da alcuni secoli a questa parte. Il governo ha imposto un quasi completo coprifuoco però affidato al buon senso dei cittadini, forse con troppa fiducia. Fortunatamente, a parte qualche sporadico metro passeggiato nel quartiere, in questi primi giorni riesco a esercitare senza grandi problemi una più che soddisfacente dose di buon senso. Essere diventato l’allenatore della Roma, oltre ad avere da sempre un buon rapporto con la solitudine, è d’aiuto.

La Roma è la squadra che scelgo a Football Manager dai miei primi approcci al gioco, quando ancora si chiamava Scudetto e Daniele De Rossi era un giocatore della Primavera che, insieme ad Alberto Aquilani e Simone Pepe, avevo subito promosso in prima squadra, per aiutare Gabriel Batistuta, Vincenzo Montella e Leandro Cufré. Non c’entra il tifo, e d’altronde, se prendiamo questa cosa di far l’allenatore anche virtualmente come una specie di lavoro, un lavoro-per-gioco, il tifo non dovrebbe entrarci mai.

Le prime giornate di quarantena sono tra le più belle, e calde, di tutto l’inverno finora. Aiutano a sciogliere subito un dilemma: è meglio un meteo soleggiato piuttosto che uno nuvoloso, perfino per stare costretti in casa. Il campionato di Serie A è ufficialmente sospeso. Bisogna inventarsi una realtà parallela, per sopravvivere a questa inaspettata anormalità di reclusione. Ecco allora questo campionato virtuale, Serie A 2019/20 ai nastri di partenza, che aiuta anche a staccarmi dai refresh ossessivi dei quotidiani.

Il gioco, all’inizio, mi permette di scegliere anche l’abbigliamento da indossare. Opto per dei pantaloni bianchi e una camicia rosa, scelta inconsciamente dettata, penso poi, da questa luce primaverile che entra dalle finestre aperte a ricordare che c’è un mondo vuoto ma soleggiato lì fuori. Inizia, poi, la parte più preoccupante: incontrare la dirigenza, fare buon viso a cattivo gioco, accettare quelle che immagino saranno irragionevoli aspettative, trattare senza possibilità di successo per avere più soldi da spendere. È il luglio 2019. Chissà se l’anno prossimo verrà prevista, dagli sviluppatori, l’inaspettata possibilità di un’epidemia globale.

Come prevedevo, la dirigenza è più ambiziosa di me (lottare per lo scudetto?). Negozio al ribasso le aspettative, e allo stesso tempo chiedo più soldi dei diciotto milioni a disposizione per il mercato. Ci siamo appena conosciuti, mi rispondono come se fossimo a un primo appuntamento e io avessi esagerato con le proposte, fatti andare bene quello che hai a disposizione. Il primo pre-campionato, d’altra parte, è sempre il peggiore: c’è da avere a che fare con giocatori che non sono centrali per il tuo progetto – Santon, Kalinic, Pastore, Perotti – e, allo stesso tempo, con il dovere di muoversi con prudenza per non far arrabbiare nessuno, che sei appena arrivato, e magari sei anche considerato troppo giovane, sicuramente inesperto. E poi il mercato, da condurre un po’ zoppicando, con pochi soldi e molti scetticismi. Gli osservatori da distribuire in giro per il mondo, perché cosa me ne faccio di un team che mi consiglia Harry Kane, Marcus Rashford e Dele Alli, pensate che io sia un po’ stupido, forse? E allora via, mezza giornata passata a smantellare e ricostruire: Bruno Conti sul primo volo per l’Argentina, altri in Brasile, chi in Europa dell’Est, chi alla ricerca tassativa di adolescenti under 20, che quella è la visione societaria, che è anche il modo più divertente di portare avanti questa estate 2019 ancora piena di incoscienza.

Arrivano anche le amichevoli, in cui preghi che qualcuno non si faccia male, consapevole che la squadra giocherà in un modo ancora lontano da quello che tu immagini, brutte azioni e squallidi pareggi. È passata poco più di una settimana virtuale, nel mondo reale il Governo ha deciso di chiudere tutti gli esercizi commerciali. Nei supermercati, il pomeriggio, si sta in coda a più di due metri di distanza. In alcune vie, a Milano, capita di vedere persone ferme sul marciapiede, telefono in mano e mascherina in faccia, in attesa di qualcosa, sembrano fantasmi soltanto più vividi e concreti. Cosa fanno? Poi noti, in lontananza, l’insegna di un panificio o di una farmacia, e ricostruisci allora le tappe della coda che si dipana, con le giuste precauzioni, sgangherata e prudente per decine di metri. Sarebbe stato normale associare le immagini di una città isolata e impaurita, strade vuote e un virus misterioso, a un videogioco, e invece si è ribaltato il rapporto tra realtà e virtualità. Nel mondo in cui sono un allenatore della Roma, la prima amichevole con la squadra Under 20 finisce con un triste 1-1.

Decido di puntellare la rosa con l’esperienza: laddove Zappacosta non mi sembra assicurare una costanza di rendimento, metto come toppa il vecchio Piszczek, due volte campione di Germania, 35enne pagato due milioni. E per far rifiatare Edin Dzeko, e anche per quell’affetto che ogni videogiocatore conosce per i propri feticci, offro altri due milioni all’Ajax per poter allenare Klaas-Jan Huntelaar. I tifosi non sono entusiasti, e sui social network lo dicono chiaramente. Mi invaghisco anche di questo Jandro Orellana, diciannovenne catalano capitano del Barcellona B, faccia pulita da ragazzino molto spagnolo, regista elegante e mi immagino timido, e per sette milioni il Barcellona me lo darebbe anche, ma lui, dopo tre giorni di silenzio, rifiuta ogni contratto. I tifosi ci speravano, e dicono anche questo.

Le successive due amichevoli si giocano in pochi giorni. L’impostazione tattica è decisa, gli allenamenti sono dedicati solo al fisico, alla tattica e al gioco senza palla. 4-2-3-1 con l’indicazione di fare un tiki-taca molto verticale, tenere il gioco largo in fase offensiva, pressare ma non ossessivamente e cercare il dribbling individuale. Pau Lopez, poi Kolarov e Zappacosta sulle fasce difensive, Mancini e Ibañez al centro, Pellegrini e Cristante a centrocampo dietro a Kluivert, Mikhtariyan e Carles Perez. Davanti, il capitano Dzeko. Il Portalban/Gletterens Fc gioca in terza divisone svizzera e su Google Maps trovo un paese così piccolo e campestre che sembra impossibile abbia una squadra di calcio, sembra quasi un campeggio. Il campo è proprio nella zona del piccolo porto, affacciato sul lago di Neuchâtel. Vinco 9-0 facendo 51 tiri verso la porta avversaria. Justin Kluivert, Carles Perez ed Edin Dzeko sono i migliori in campo. I giocatori svizzeri sono tutti molto stanchi. Sarà la preparazione, o il fatto che, forse, non sono professionisti? Ci saranno meccanici, studenti, antennisti? Un mio vicino di casa al mare, in Liguria, giocò un anno nel Monza in Serie B. Marcò Van Basten in una partita di Coppa Italia, raccontava sempre. Quando, nel 2001, aveva 38 anni, lo trovai nel database di Football Manager. In quella Roma di De Rossi, Aquilani e Pepe. Lo comprai, per affetto, il mio vicino di casa.

Dopo pochi giorni c’è l’amichevole più importante, contro il Napoli. Poco prima, l’Atlético Madrid ha accettato un misero milione di euro per Rodrigo Riquelme, di cui ho letto qualche tempo fa su un giornale reale, di questo mondo quarantenato. Confermo l’undici di pochi giorni fa, con qualche turnover, per provare Zaniolo, Fazio, Piszczek, Diawara. Avrò trovato da subito la quadra per il successo? Mi sembra impossibile. Nel discorso tattico alla squadra prima di entrare in campo dico con energia che dobbiamo attaccare gli avversari da subito. La reazione è sconfortante: i giocatori pensano invece che non sia prudente. Metto da parte l’orgoglio, e opto per un atteggiamento equilibrato. Ma la Roma parte bene, e dopo meno di 20 minuti Justin Kluivert punta Di Lorenzo, lo supera, tira anche se angolato dal vertice dell’area, e segna. Passano dieci minuti, ancora Kluivert entra dalla sinistra, crossa al centro per la testa di Dzeko. Due a zero, trenta minuti di gioco. Il Napoli non supera la metà campo, naturalmente non tira. Cosa sta succedendo? Il 3-0, dopo un secondo tempo tranquillo quanto il primo, arriva a 10 minuti dalla fine, quando – sempre dalla sinistra – Kolarov sbaglia un cross che diventa un tiro.

Scopro, o riscopro, l’esaltazione del gol atteso e inaspettato, fare un saltello sulla sedia come se si trattasse di un successo reale. Piacevolmente, ritrovo la tensione della partita emozionante, il sorriso della liberazione finale. L’estate è appena iniziata, la Serie A ancora lontana, c’è tutto il tempo per peggiorare, mi dico pessimisticamente. Alle 18 il bollettino medico della Protezione civile nell’Italia reale continua a gonfiarsi, ma ce lo aspettavamo tutti che saranno giorni di tempesta da attendere con pazienza. Il mio primo mese da allenatore della Roma è durato poco più di un giorno. Fuori dalla finestra ancora aperta il sole tramonta sempre più tardi, e tra pochi giorni l’ora solare, scalino simbolico del superamento del freddo, sarà festeggiata con aperitivi in videocollegamenti agrodolci, a cui avremo forse fatto l’abitudine. Ci vuole tempo, come dicono i giocatori quando rispondono con frasi banali a domande banali dopo le partite: affrontiamo una partita alla volta.