I professionisti di Fifa

Reportage dalla Fifa eWorld Cup, uno dei tornei più importanti di un mercato in espansione: quello degli esports.

Hanno tra i diciassette e i venticinque anni, qualcuno con il cappellino in testa, pantaloni larghi e sneaker ai piedi. Sono arrivati a Milano da ogni parte del mondo – tutta Europa, Italia compresa, e poi Stati Uniti, Sud America, Australia e Corea del Sud – per contendersi la Fifa eWorld Cup, uno dei tre tornei più importanti di esports organizzati dalla Fifa. Non hanno l’aria da star – si aggirano nella massima tranquillità all’interno dello spazio allestito per la competizione – e c’è chi preferisce fermarsi in sala a guardare gli altri giocare, quando il proprio turno si è concluso o non è ancora arrivato. Sono ragazzi esattamente sovrapponibili alle migliaia che li guardano da casa – per ora sì, è un fenomeno generazionale: per ora – ma nelle loro parole c’è una consapevolezza matura del loro lavoro e dei suoi significati.

Si fanno chiamare con nomi di battaglia – HugeGorilla, Spiderkong, EthxnH – perché le loro carriere nascono e proliferano nel mondo virtuale. Ma una volta varcata quella barriera, le loro facce ed espressioni e movimenti tradiscono ansie ed emozioni umane – qualcosa di immediatamente tangibile studiando le loro pose inarcate, le mani che stritolano i joystick e gli occhi vitrei fissi sullo schermo. Prima è peggio. «Non vedo l’ora di scendere in campo», mormora uno di loro, e lo dice come se il campo fosse fisico e non virtuale. Ma, in fondo, che differenza fa? Ari Segal, ceo di Immortals Gaming Club, ha detto: «Ogni giorno un tifoso di baseball muore e nascono due fan del gaming». L’anima degli esports è lo streaming – tu che guardi una partita quando e dove vuoi, e non ti perdi nulla se non stai partecipando all’evento dal vivo. Il flusso è costante, inarrestabile, 24 ore su 24. La modalità perfetta per la generazione Netflix.

Si preparano in una sala riservata al di sopra dello spazio riservato ai match. È lì che prendono confidenza con il gioco, lì che ripassano trucchi e strategie. Sono due per squadra – a Milano partecipano 24 team, solo una piccola parte dei 190 che si sono cimentati nelle qualificazioni online – ognuno con la sua consolle preferita, PlayStation o Xbox. Le sfide si giocano uno contro uno tra giocatori sulla stessa piattaforma e due contro due sulla consolle scelta dalla squadra con il punteggio più alto. Indossano i colori delle loro squadre, team nati per competere sui titoli di gioco più affermati oppure sezioni esports di società calcistiche – a Milano sono presenti la Roma, il Manchester City, lo Sporting Lisbona, il Lione, il Borussia Mönchengladbach, il Basilea, l’Austria Vienna.

Per ora è un fenomeno generazionale: «Ogni giorno un tifoso di baseball muore e nascono due fan del gaming», ha detto Ari Segal, ceo di Immortal Gaming ClubSi sono ritrovati catapultati in questo mondo senza che abbiano avuto il tempo di soppesare quanto stava succedendo. Spiderkong, brasiliano, è il giocatore della Roma su Xbox: «Tutto è iniziato da una mail che ho ricevuto per partecipare a un evento, circa tre anni fa». Il suo compagno di squadra Damie, polacco, ha giocato per anni da calciatore, sperando di diventare professionista come suo padre. Ma poi lo è diventato nel mondo del gaming, ricordando «il primo torneo internazionale, quando giocavo nel Nordavind e c’era anche la Roma. Hanno visto del potenziale nel mio gioco, una volta scaduto il contratto con il Nordavind mi hanno contattato ed è stato naturale dire di sì». Nessuno dei due vive a Roma, ma giocare per la Roma «è bello per quanto investono su di te, ti danno tutte le strategie di cui hai bisogno», spiega Spiderkong.

Giocano per ore, ogni giorno, ma non diventi un campione se giochi più degli altri. È la preparazione che conta. È la tattica intelligente, il sistema migliore l’elemento che ti aiuta a battere l’avversario. E la necessità costante è reiventarsi, perché Fifa ha una peculiarità rispetto ad altri titoli: cambia ogni anno. Ogni settembre i gamer si ritrovano per le mani un gioco completamente nuovo, e per almeno due mesi lo devono spulciare e spolpare fino all’osso – a caccia di caratteristiche e potenzialità. «Il Fifa di quest’anno ti fa fare pochi gol», dice RiberaRibell, gamer dei Mkers. Nel frattempo, le partite che si stanno giocando terminano 2-1, 1-0 o addirittura 0-0. «Il motivo è la modalità park the bus: i giocatori difendono da soli. L’anno scorso invece le partite finivano 6-5, risultati pazzi, perché il gioco premiava tanto i cross, le rovesciate e cose del genere – che a me onestamente non piacevano». Da un anno all’altro, perciò, il rendimento individuale può cambiare completamente, nel bene o nel male. Cosa rende un giocatore speciale? «La continuità», dice Prinsipe, il player dei Mkers su PlayStation. «Il fatto che comunque, ogni anno, sei sempre tra i migliori». Rimane un aspetto per nulla scontato. Mi viene in mente una frase che Mattia Guarracino, il primo player professionista a essere ingaggiato da una squadra di calcio italiana (la Sampdoria), mi ha detto una volta: «È molto più facile perdere per un campione di Fifa che per la Juventus su un campo da calcio».

Hanno tutti una precisa identità di gioco. Come nel calcio, dove a ogni allenatore corrisponde una filosofia. Della Roma, si dice, il punto di forza è la creatività in attacco. «Il gioco cambia ogni anno, ma noi vogliamo sempre mantenere il nostro stile», dice Damie. «A me piace attaccare e fare tanti gol, ed è qualcosa che cerco di mixare con le caratteristiche di Fifa 20 – dove c’è tanto possesso, tanta cura difensiva. Ognuno deve capire come adattare il proprio gioco, ma alla fine se vuoi vincere i tornei devi essere unico, devi essere diverso dagli altri».

«Se i videogiochi sono la partita di calcetto, gli esports sono la Champions. È molto più facile perdere per un campione di Fifa che per la Juventus su un campo da calcio»Le loro squadre sono zeppe di campioni – è la modalità Ultimate Team, bellezza. La formazione tipo: Alisson o Schmeichel in porta, centrali di difesa van Dijk e de Ligt, i terzini rigorosamente del Liverpool attuale (ma qualcuno si aggrappa alle leggende Carlos Alberto e Maldini), a centrocampo Gullit irrinunciabile per tutti, magari supportato da Kanté, in attacco bando alla timidezza – Messi, i due Ronaldo, Mbappé, Mané, Cruijff, Pelé. Non condividono molto delle qualità tecniche, fisiche e atletiche dei nomi che fanno correre su un campo virtuale, ma un punto in comune c’è: «La mentalità competitiva», dice Damie. «Il fatto che tu voglia sempre vincere, voglia essere il migliore». Guarracino traccia un parallelismo indovinato: «Vedila così: i videogiochi sono la partita di calcetto con gli amici. Gli esports sono la Champions League. La gente magari dice: “Fanno sport seduti su un divano”. Ovvio che non è così. Se giochi per passare il tempo, sei un appassionato, non si tratta di esports. Non hai una preparazione dal punto di vista del gioco. La nostra professione non presuppone una preparazione fisica, ma vale lo stesso per tanti sport riconosciuti dal Coni – la dama o il tiro con l’arco».

Le loro partite durano dodici minuti. Quasi tutti vissuti in apnea, perché anche le brevi interruzioni per effettuare una sostituzione o cambiare modulo in corsa non ti permettono di distrarti nemmeno un attimo. «Chiudi gli occhi, anche per un secondo, e ti hanno già fatto due gol», assicura Spiderkong. «La concentrazione è qualcosa che sviluppi negli anni, più hai giocato, più riesci a non estraniarti dalle partite». Però poi pensi di star facendo il massimo, e invece le cose stanno precipitando rapidamente. «Può succedere in un torneo», annuisce Guarracino. «E ne paghi le conseguenze. Personalmente mi sono sempre sentito un motore diesel, iniziavo male i tornei e poi li vincevo, è successo, per esempio, in tre campionati italiani. Però può accadere anche il contrario, perdi la testa e non riesci più a rientrare in gioco». Anche perché è una lotta senza quartiere: «È importantissimo che l’avversario perda la testa. Magari se sei in vantaggio gli dai fastidio con un fuorigioco, oppure giochi lungo la fascia, perdi un po’ di tempo…».

 

Concordano tutti su un aspetto: in tornei del genere, hai più pressione. «Eventi come questo, li farei ogni settimana», dice Spiderkong. «Ma la pressione la avverti. Non tanto perché non sei a casa, come durante le partite di qualificazione, ma proprio per il tipo di torneo che stiamo giocando». Perché, prosegue Damie, «qui sei di fronte ai migliori giocatori al mondo. È uno dei pochi tornei completamente diversi da quelli a cui partecipiamo abitualmente». Non sono mai soli, là fuori, perché i gamer hanno un coach che prima e durante le partite cerca di farli rendere al massimo. Solitamente si tratta di un professionista di grande esperienza. Quello della Roma si chiama Zelonius. «Il mio compito è far sì che i giocatori siano pronti per i match. Insieme passiamo in rassegna le tattiche. Studio gli avversari e preparo piani partita ad hoc. Mentre giocano, sta a me ricordare la strategia – gliela ripeto anche se la partita sta andando bene, oppure gli dico di cambiarla se le cose non vanno per il verso giusto. Le cose se le dimenticano, quando giocano per oltre un’ora. E poi devo incoraggiarli nei momenti difficili, quando sono giù di morale».

Di fronte alla tribunetta con i posti a sedere, sono disposti i box assegnati a ciascuna squadra. In alto, sono allineati sei schermi che mandano in onda le partite in simultanea. Due telecronisti si occupano di commentare i match dal vivo. Le urla di chi segna distolgono lo sguardo dagli schermi. Le partite sono combattutissime. Nella fase a gironi cadono vittime illustri, squadre accreditate per arrivare fino in fondo. Lo Sporting Lisbona segna all’ultimo minuto ed elimina il Manchester City per la differenza reti. Blue United colpisce due pali di fila negli ultimi minuti di gara, e deve salutare in anticipo. È uno sport crudele.

«All’estero hanno più coraggio. Il Psg ha investito decine di milioni negli esports. Ha anche una squadra di League of Legends, e si tifa Psg anche se non si parla di calcio»Incontro Thomas De Gasperi, uno dei fondatori del team Mkers. Thomas è uno dei cantanti degli Zero Assoluto, ma tre anni fa «ci siamo guardati, abbiamo detto, prendiamoci un anno di pausa. La musica segue una precisa routine – disco, promozione, tour – e volevamo fare qualcosa di diverso. Personalmente sono sempre stato appassionato di tecnologia, di computer. E poi mi piace il gioco di squadra. Nel solo team di Fifa abbiamo una decina di figure: quattro player ufficiali, qualche player più giovane, influencer, youtuber. Siamo una squadra, una bandiera da tifare. C’è chi gioca per professione e chi per passione, e vuole raccontare il percorso del nostro team. Il mondo dei social è stato determinante. Apri un account, racconti la tua passione, e inizi a scoprire che non era una sciocchezza, che migliaia di persone condividono i tuoi interessi e cominciano a seguirti. Ricordo qualche anno fa, alle fiere di settore, quando c’erano solo ragazzini, gli adulti invece avevano paura nel mostrarsi. Oggi c’è stato un profondo cambio culturale».

Le stime raccontano di un fatturato globale degli esports di oltre un miliardo di dollari – una cifra destinata a salire vertiginosamente nei prossimi anniGareth Bale ha portato a Milano il suo neonato team Elleven Sports, aggiungendosi a calciatori – come Özil, Gullit e Fuchs – che già avevano scelto di investire nel mondo degli esports. O come Daniele De Rossi e Alessandro Florenzi, che hanno sposato proprio il progetto di Mkers: «Sono stati loro ad agganciarci», dice De Gasperi. «Perché siamo, forse, la realtà italiana che più ha costruito un modello di business. Quando abbiamo iniziato pensavo che la parte di business forse meno rilevante, invece è un aspetto molto intrigante. Come esiste una competizione tra gamer, esiste una competizione tra imprenditori. Iniziano a esserci fatturati importanti, tantissimo grazie alle sponsorizzazioni, e poi i diritti commerciali suoi tuoi giocatori, nel nostro caso la gestione del padiglione del gaming del Romics. Ma abbiamo fatto uno sforzo all’ennesima potenza. Da una parte devi competere internazionalmente, dall’altra hai un mercato italiano penalizzante, con le solite paure. I club italiani di calcio, per esempio, temono di cambiare troppo argomento con gli esports. Come fai a dire a un tifoso tradizionale che hai vinto nel mondo virtuale, quando hai perso la domenica prima in campo?».

C’è chi lo ha fatto prima degli altri. Il progetto esports della Roma è nato nel 2017 – la seconda squadra in Italia dopo la Sampdoria. La società giallorossa sa che il pubblico dell’Olimpico e quello che segue le peripezie di Damie e Spiderkong sono profondamente diversi. Ma oggi la sfida delle squadre di calcio è quella di intercettare nuove platee. Spiderkong è stato scelto non solo per le sue capacità con il joystick, ma anche per il suo clamoroso seguito sui social. La Roma ha attratto così una popolosa fanbase, perlopiù brasiliana, da fidelizzare e trasformare in utenza – in tifosi. La strada è segnata: da poco è stata annunciata la eSerie A, il campionato riservato alle squadre di massima serie italiana, che si giocherà con i titoli di Fifa e Pes. Inter e Atalanta sono le realtà più recenti ad aver ufficializzato il loro ingresso nel mondo degli esports.

«All’estero hanno avuto più coraggio», aggiunge De Gasperi. «Il Psg ha investito decine di milioni sulla sua sezione esports, che vanta tanti titoli diversi. C’è anche la squadra di League of Legends del Psg, e si tifa Psg anche se non si parla di calcio. È un’idea interessante a livello di marketing. Ma ci sono tante aziende che hanno deciso di investire nel settore. I nostri gamer vestono Armani Exchange. Nonostante Armani sia un brand di moda posizionato altissimo, ha colto l’interesse per questa realtà, cercando di intercettare le generazioni più giovani. La verità è che sono sempre più i ragazzi che giocano a Fifa o a Pes e che non vanno più allo stadio».

Crescita economica e seguito sempre più diffuso vanno di pari passo. A oggi le stime raccontano di un fatturato globale degli esports di oltre un miliardo di dollari – una cifra destinata a salire vertiginosamente nei prossimi anni. Le finali di League of Legends nel 2018 sono state seguite online da 100 milioni di spettatori unici – un dato che ha superato persino gli spettatori del Super Bowl dell’anno seguente. Secondo l’ultimo report Aesvi/Nielsen, il mercato è promettente anche in Italia: oltre un milione di fan tra i 16 e i 40 anni segue eventi esports, con 350mila appassionati attivi ogni giorno. Le Olimpiadi di Tokyo avranno un prologo dedicato al mondo virtuale con i tornei di Street Fighter V e Rocket League.

In finale si sono affrontati gli americani di Complexity – tra gli investitori c’è il proprietario dei Dallas Cowboys Jerry Jones – e Elleven Sports. La partita si è decisa alla terza e ultima partita: 0-0 dopo i tempi supplementari, e calci di rigore. Dopo qualche errore di troppo, il Gullit di Complexity ha portato in vantaggio i suoi. Il Gullit di Elleven Sports, subito dopo, si è fatto respingere la conclusione da Alisson. Non si può dire non sia stato emozionante.

Dal numero 32 di Undici