Paolo Condò è uno dei giornalisti sportivi più noti e apprezzati d’Italia e non solo, oltre che una firma che trovate regolarmente, da molti anni, sulle pagine di Undici, in cui si prende il tempo di riaprire vecchi cassetti della memoria e vecchi taccuini per raccontare, attraverso ricordi e aneddoti, alcuni momenti della storia del calcio vissuti in prima persona, da Maradona a Neymar, passando per Luís Nazário de Lima. Abbiamo scelto di iniziare con Paolo una serie di brevi interviste per affrontare il tema di come la pandemia da Covid-19 si sta riflettendo sullo sport – che per il mondo è spettacolo, intrattenimento, ed economia – e sul mestiere di giornalista, oltre che sulla vita da “semplice” appassionato di calcio e non solo.
Paolo, in un periodo così strano delle nostre vite com’è scandita la tua giornata tipo?
Non mancano le cose da fare, ci sono i pezzi per Sportweek, per la Gazzetta, i collegamenti con Sky, e ogni due giorni con Flavio Tranquillo e Fabio Tavelli registriamo Sky Sport Room. Ho nuovi libri in cantiere, e ho cominciato a scrivere un trattamento per la televisione di un mio vecchio romanzo spionistico. È una cosa che mi diverte molto, vediamo cosa ne esce. In questo periodo è bene portare avanti i progetti a scadenza più lunga, come libri, conferenze, sceneggiature. Quando si riprenderà, andremo verso due anni di sport letteralmente affastellato, e non ci sarà tempo di fare altre cose.
Quando manca lo sport da raccontare, cosa fa un giornalista sportivo come te?
Leggere, ascoltare, vedere cose nuove per approfondire le sue conoscenze. Io leggo molti giornali stranieri, una serie di cose che nel quotidiano non ho tempo di leggere. E poi devo dire che non sono mai stato un grande lettore di libri sportivi: destinando allo sport tante ore della mia giornata, fuori da quelle ore ho sempre cercato di leggere altre cose. Di questi tempi, però, si legge di più, e allora approdo anche alle letture di genere sportivo.
Alcuni media, soprattutto internazionali, hanno sopperito allo stop dello sport con il racconto di eventi del passato. Qual è il tuo pensiero?
Parlare del passato è un buon modo nella misura in cui riesci a raccontare delle cose nuove, rivolgendoti a un pubblico nuovo. Mi rendo conto che ci sono delle cose che ho sempre dato per scontate e che invece delle persone non conoscono. Ho preso l’abitudine di raccontare su Twitter, ogni mattina, una storia legata a uno stadio. Da un lato mi diverte, mi dà qualcosa a cui pensare ogni giorno, dall’altro mi arrivano tante domande, che mi fanno pensare: devo cominciare a spiegare un po’ di più rispetto a quello che facevo una volta. Personaggi che per la mia età considero assolutamente contemporanei – per esempio, Gullit, Van Basten, Rijkaard, quelli del grande Milan – oggi per una nuova generazione non lo sono più. Sono come Nordahl o Sivori per me, giocatori che non ho mai visto su un campo da calcio e che consideravo di un’epoca pionieristica. E questa è una cosa che mi colpisce molto.
Che ne sarà della Serie A?
Mi pare di capire che in questo momento ci sia un braccio di ferro all’interno della Lega, tra chi vorrebbe chiudere qui il campionato e chi vorrebbe portarlo regolarmente al termine. Trovo che sia giusto pensare a giocare fino all’ultimo minuto possibile. Quest’anno mi sono detto, niente vacanze: appena si riprende vado in studio, resto davanti al computer. Penso che lo stesso ragionamento si possa fare con i giocatori, non ci vedrei nulla di scandaloso se giocassero fino a luglio, regolando con un decreto i contratti di chi è in scadenza. L’ipotesi di un campionato a 22 squadre mi fa orrore.
Cosa dovrebbe fare il calcio in questo momento?
Quando ci sono grandi situazioni di crisi, da un lato ricevi delle concessioni, ma dall’altro devi pensare a delle riforme strutturali. Come è stato, per esempio, il caso del governo Monti. Questo sarebbe il momento di riformare il calcio: tutti i campionati a 18 squadre e abolizione dei prestiti – che sono le operazioni che gonfiano le plusvalenze. Sarebbero modifiche che riporterebbero il calcio, sotto il punto di vista economico e organizzativo, a una dimensione più sopportabile, più sostenibile. È vero che la situazione che stiamo vivendo anche con un torneo a 18 squadre sarebbe cambiato poco, ma certamente la possibilità di mantenere un soffietto di date per fronteggiare eventuali problemi la devi avere. Invece, qualsiasi problema economico ha il calcio la risposta è sempre quella: più partite. Per esempio, il nuovo Mondiale per club della Fifa è una bella idea, ma devi togliere qualcos’altro. Invece tutti tirano la coperta dalla propria parte, e si finisce per aggiungere impegni di continuo.