Come funzionava il calciomercato del Manchester United ai tempi di Ferguson

Lo ha raccontato Gary Neville.
di Redazione Undici 02 Aprile 2020 alle 17:23

Il Manchester United degli ultimi anni è una squadra in difficoltà per via della mancanza di un progetto tecnico stabile, coerente con la gestione manageriale e finanziaria della società. Dall’addio di Sir Alex Ferguson, datato 2013, nessun allenatore è riuscito a creare lo stesso rapporto di fiducia e collaborazione con la dirigenza, poi il ruolo di manager all’inglese è diventato superato, altri club della Premier si sono dotati di uno staff di dirigenti che collabora con il tecnico, e lo United non è riuscito a tenere il passo di questa evoluzione – al punto da provare a ricreare l’effetto-Ferguson assumendo uno dei suoi pupilli, Ole Solskjaer.

Una delle caratteristiche irripetibili dell’era-Ferguson – durata 27 anni, dal 1986 al 2013 – era la gestione del mercato in mano allo stesso uomo che guidava la squadra dalla panchina. Come ha raccontato Gary Neville durante un intervento a Sky Sports, Sir Alex aveva assoluto potere decisionale sul reclutamento dei calciatori. L’ex terzino dei Red Devils e della Nazionale ha spiegato quali erano i principi da cui Ferguson partiva per costruire – e ricostruire – la rosa della sua squadra sul mercato: «Il suo primo obiettivo era promuovere i giovani che arrivavano dal settore giovanile, prima ancora di guardare fuori dallo United. Dopo, solo dopo, si concentrava sul meglio che potesse offrire la Premier League. Si concentrava soprattutto su profili che, insieme ai talenti promossi dall’Academy, potessero restare a lungo a Old Trafford. È andata così con i vari Gary Pallister, Steve Bruce, Wayne Rooney, Rio Ferdinand, Robin van Persie». Lo stesso Gary Neville è stato inserito in prima squadra nel 1992, a 17 anni, ed era uno degli appartenenti al gruppo dei Fergie’s Fledglings, del quale facevano parte anche Paul Scholes, Ryan Giggs, David Beckham, Nicky Butt e suo fratello Phil Neville.

«Sul mercato internazionale», ha aggiunto Neville, «la strategia di Sir Alex era simile a quella che Guardiola sta attuando al City: acquistare talenti giovani che hanno tanta fame, tanta voglia di emergere. È andata così con Nemanja Vidic, Peter Schmeichel, Patrice Evra, Cristiano Ronaldo, Ole Gunnar Solskjaer, in diversi momenti della sua lunga esperienza». Gli acquisti di giocatori già affermati – e quindi anche molto costosi — erano molto più rari, Neville in questo senso ha citato Verón, preso dalla Lazio nel 2001 per 28 milioni di sterline e mai all’altezza delle aspettative di Ferguson. Per descrivere la politica delle cessioni, Neville ha utilizzato una metafora particolare: «Era come un nastro trasportatore di bagagli molto lento. Tanti giocatori entravano e altri uscivano, ma in maniera progressiva, senza stravolgere troppo la squadra. I giocatori che lasciavano il Manchester United erano quelli che mettevano in dubbio l’autorità di Ferguson, oppure quelli che secondo lui avrebbero potuto farlo. Per lui l’unità del gruppo era sacra, anche per questo ha sempre mantenuto un gruppo di giocatori fedelissimi e ha costruito la squadra intorno».

>

Leggi anche

Calcio
Semih Kilicsoy è una grande sorpresa, ma non è esattamente sbucato fuori dal nulla
L'attaccante del Cagliari, grande rivelazione degli ultimi turni di campionato del 2025, è uno dei talenti più interessanti prodotti dal calcio turco.
di Redazione Undici
Calcio
La Coppa d’Africa ha un grande problema: gli stadi sono mezzi vuoti nonostante i biglietti risultino sold out
Si sono quindi creati dei casi paradossali, come nell'esordio dell'Algeria dove c'erano quasi diecimila persone in meno rispetto a quelle previste
di Redazione Undici
Calcio
Il progetto Insuperabili e il grande potere del calcio come inclusione
Intervista a Davide Leonardi, che dal 2012 è un punto di riferimento per gli atleti diversamente abili: così, insieme a BMW, lo sport diventa un mezzo di integrazione.
di Redazione Undici
Calcio
I risultati europei del Bodo Glimt hanno portato molti soldi agli altri club norvegesi, che però non li hanno condivisi con le squadre di seconda divisione
Una decisione che stride con un modello calcistico fondato sulla crescita organica e corporativa.
di Redazione Undici