Mohamed Salah, come diventare un fuoriclasse

L'attaccante egiziano è riuscito a esprimere tutto il suo immenso talento dopo il trasferimento al Liverpool, la sua squadra ideale.

Le doti professionali e il carisma magnetico di Jürgen Klopp hanno finito per accentrare su di lui il racconto della rinascita, dei trionfi in serie colti dal Liverpool. È stato ed è inevitabile, dopotutto il progetto vincente di Reds si fonda sulle idee del manager tedesco, si nutre della sua figura enorme, della sua leadership, e poi i giocatori mantenuti in rosa o acquistati sul mercato negli ultimi anni sono stati scelti perché potessero adattarsi perfettamente al suo sistema di gioco.

Proprio in virtù di questa ricerca di prossimità tra allenatore e giocatori, è giusto celebrare anche gli uomini che hanno permesso al Liverpool-di-Klopp – che ormai non è più una squadra ma un brand, quindi scriverlo così, unendo i termini con i trattini, non è un vezzo – di elevarsi a un livello superiore, fino all’eccellenza assoluta: Alisson e van Dijk hanno colmato due grandi lacune nel reparto difensivo, mentre Fabinho si è rivelato perfetto per completare il centrocampo a tre, grazie alla sua fisicità, a un calcio elementare solo in apparenza. Prima di loro, però, il calciatore che ha determinato il primo vero salto di qualità dei Reds è stato Mohammed Salah.

Quando viene acquistato dal Liverpool per 42 milioni di euro, Mohamed Salah è reduce da due stagioni positive ma non davvero scintillanti nella Roma. In giallorosso, il suo score totale è di 34 gol e 22 assist decisivi in 83 partite di tutte le competizioni. Numeri ottimi, che però non possono far presagire ciò che sarebbe avvenuto poco dopo ad Anfield Road e in tantissimi altri campi di Premier e Champions League, distese d’erba verde ripetutamente incendiate dalle corse in campo aperto dell’attaccante egiziano, spigoli d’area di rigore da cui partono splendide ed efficaci conclusioni a giro, avversari saltati a ripetizione oppure inceneriti con uno scatto fulmineo, un istante prima del gol. All’arrivo di Salah, nel 2017, il Liverpool dispone già di Mané, Firmino e Wijnaldum; ovviamente ci sono Henderson, Milner e Lovren; due terzini non ancora celebri ma di cui si dice un gran bene, Trent Alexander-Arnold e Andy Robertson, cominciano a imporsi nell’undici titolare. Ma è l’arrivo dell’egiziano a far cambiare marcia alla squadra e all’ambiente, a dare una nuova consapevolezza al progetto di Klopp.

Forse in Italia non ci siamo goduti davvero il dominio tecnico e fisico che Salah ha imposto dopo il suo passaggio al Liverpool. In realtà l’abbiamo solo intravisto, nei primi mesi a Firenze: preso in prestito dal Chelsea a gennaio 2015, l’egiziano sconvolge la tranquillità iperstatica delle difese di Serie A con la sua corsa ad altissima frequenza, con la perfetta coordinazione tra mente e corpo che caratterizza ogni sua giocata, per cui il gesto tecnico viene eseguito quasi sempre in maniera perfetta, e allora gli unici parametri che determinano il gol o l’assist decisivo sono la misura della conclusione, del passaggio, la presenza degli avversari, la precisione dei compagni. Situazioni episodiche, non sempre controllabili.

L’allenatore Montella lo aiuta moltissimo cucendogli addosso un ruolo di assoluta libertà, lo schiera spesso come seconda punta accanto a un centravanti puro, che non partecipa molto al gioco – Gómez o Babacar –, e allora Salah può esplorare il fronte d’attacco in lungo e in largo, senza preoccuparsi troppo della fase difensiva o di particolari attribuzioni tattiche. Ogni volta sceglie la porzione di campo più ampia da poter attaccare, e perde colpi e/o grip in velocità solo quando la squadra non è all’altezza di sostenerlo – la Fiorentina vince sei partite su sei quando Salah è in campo dall’inizio e va in gol, mentre invece ne vince solo due su undici quando l’egiziano gioca da titolare ma non riesce a segnare. È evidente a tutti, anche allo stesso Salah, che il talento di Salah sia fuori scala per la squadra toscana. Così sei mesi dopo il suo arrivo a Firenze, forza il suo trasferimento alla Roma. Una scelta umana, comprensibile, anche se non proprio apprezzata dalla tifoseria viola.

Tutte le migliori qualità di Salah, in un solo gol

Nella Capitale, Salah trova una situazione molto diversa. Il progetto tattico di Garcia e poi di Spalletti punta a sfruttare ed esaltare le qualità di altri giocatori, su tutti Dzeko. Il centravanti bosniaco è un accentratore del gioco, una calamita di palloni alti ma anche rasoterra, un attaccante che ha la tecnica per pensare e agire come regista offensivo. Solo che lo fa alla velocità concessagli dalla sua mole imponente, è inevitabile che un controllo e un lancio di Dzeko avvengano in un tempo più lungo rispetto a quello che impiega un giocatore come Firimino. Salah alla Roma ha fatto quello che poteva, è stato un giocatore bravissimo e talvolta decisivo, ma non è riuscito a essere davvero dominante, spaventoso per gli avversari, in pratica non è stato il fuoriclasse che abbiamo imparato a riconoscere non appena ha iniziato a indossare la maglia del Liverpool.

Raramente, nei suoi due anni in giallorosso, l’abbiamo visto sfrecciare in campo aperto dopo una veloce azione in transizione, dopo un ribaltamento del fronte offensivo. È come se la Roma non avesse mai avuto gli strumenti per sfruttare fino in fondo il talento di Salah, sacrificandolo prima in campo e poi sul mercato nel nome di altri calciatori, nel nome di un progetto che non l’ha mai messo davvero al centro di tutto. È stato un errore di valutazione evidente, soprattutto alla luce di tutto ciò che è successo dopo, anche se va detto che le contingenze economiche hanno accelerato l’addio dell’egiziano a una società e a un contesto tattico, interno ed esterno, che faticavano ad adattarsi a lui. E che lui forse ha sentito un po’ estranei da sé, dopotutto succede a tutti noi quando diamo il massimo ma non riusciamo a percepire una sintonia totale con l’ambiente che ci circonda.

In questo gol contro il Sassuolo, Salah mostra di possedere le qualità per essere decisivo ure al termine di lunghe fasi di possesso palla; però il passaggio che lo porta al gol lo riceve scattando in verticale, attaccando in velocità la sua zona di campo preferita, al limite dell’area sul centrodestra, la zolla perfetta per la sua classica conclusione a giro

Il trasferimento al Liverpool mette Salah in una condizione esattamente opposta, la soddisfazione calcistica e quella emotiva si intersecano in maniera armonica, naturale: Klopp ha sempre amato e fatto praticare un calcio intenso in fase difensiva ed estremamente diretto in avanti, il suo stile punta a creare ampi spazi da attaccare in velocità. Salah si è rivelato un ingranaggio perfetto in un sistema del genere, grazie alla sua falcata elettrica ma profonda in campo aperto, alla capacità di reggere il contrasto fisico in corsa, alla sua rapidità d’esecuzione della giocata, tiro o passaggio o dribbling che sia. Poi il Liverpool stava diventando molto forte, grazie a queste idee di base e ai miglioramenti progressivi sul mercato, e allora Salah è diventato il terminale di una squadra che non solo parlava la sua stessa lingua, ma era anche al suo livello tecnico. Non a caso, durante la prima stagione ad Anfield – che, per la cronaca, si è conclusa con l’incredibile score di 44 reti e 16 assist in 4120′ di gioco, praticamente un gol segnato o propiziato ogni 68 minuti –, l’attaccante egiziano spiega a FourFourTwo che Klopp gli ha dato «la possibilità di migliorare», ma soprattutto «di mostrare al mondo il mio vero calcio».

Momo Salah, nel Liverpool di Klopp: manuale di calcio verticale

I ritmi vorticosi della Premier si rivelano perfetti per Salah, per i suoi strappi, per la sua tecnica ipercinetica. Certo, il percorso di formazione in Italia gli ha permesso di completare il suo gioco rispetto alle prime, acerbe, esibizioni con il Chelsea, ma Salah è diventato un fuoriclasse assoluto, determinante anche al massimo livello, perché ha finalmente trovato le condizioni giuste, le condizioni migliori per esprimersi. Salah si è evoluto insieme al mondo intorno a lui, è cresciuto in qualità e leadership, ha avuto la fortuna di avere un gran talento ma anche di essere individuato da Klopp come tessera perfetta per il suo mosaico. Un incastro del genere risulta fondamentale per affermarsi ripetutamente, e con continuità, nell’empireo del calcio mondiale – come sarebbe stata la carriera di Xavi, Iniesta e Messi senza l’incontro con Guardiola, per esempio? –, così come per superare il dolore di una finale di Champions finita troppo presto per infortunio, poi persa, insieme alla possibilità di giocare un Mondiale storico con l’Egitto arrivandoci nelle migliori condizioni fisiche.

Un anno dopo, Salah si è presentato al finale di stagione in una condizione ancora migliore, così si è strappato via di dosso l’ultima etichetta, una delle più dure con cui convivere: quella del giocatore che non è decisivo nei momenti decisivi. Ha segnato un rigore dopo pochi secondi in un’altra finale di Champions, ha vinto la Champions, poi ha preso a condurre il Liverpool verso un titolo nazionale dal peso specifico enorme, per gli incredibili risultati dei Reds, per il tempo che è passato dall’ultima volta. Se Klopp è l’uomo-copertina del progetto-Liverpool, ed è così senza dubbio, la storia di Salah, o meglio la storia della sua crescita esponenziale, vale una lezione: i calciatori possono pure visti e considerati come dei supereroi, ma restano degli esseri umani, e come tali hanno bisogno di essere compresi, capiti, aspettati, magari non in eterno ma un po’ sì, su di loro vanno investiti tempo e fiducia perché possano esprimere il meglio, perché possano crescere insieme alla loro squadra, scoprire i propri limiti per poi superarli, così da definirsi, ed esplodere. Con Salah, per Salah, è valsa la pena di aspettare.