Lo stop del calcio per il Coronavirus è un rischio per la salute mentale dei giocatori

Lo ha messo in luce uno studio condotto in Australia.

Per la stragrande maggioranza degli appassionati lo stop delle competizioni calcistiche è un duro colpo: siamo da oltre un mese senza eventi, e abbiamo trovato nelle partite del passato un rifugio per tollerare un lungo periodo di quarantena. Ovviamente, anche i protagonisti – i calciatori – avvertono il peso delle giornate senza calcio giocato, con molti di loro che devono rifarsi alla realtà virtuale (leggi: videogame, da Fifa a Football Manager) per riassaporare una parvenza di agonismo. Ma l’assenza di calcio rischia di ripercuotersi duramente sulle vite personali dei calciatori, soprattutto di chi – ed è la maggioranza – gioca in piccole squadre, con stipendi non faraonici e con grosse incertezze sul futuro. Uno studio dell’associazione australiana dei calciatori, in collaborazione con l’organo internazionale della FifPro, ha svelato come la crisi da Coronavirus può portare i calciatori in stati d’ansia o, peggio, di depressione.

La ricerca è stata condotta tra marzo e aprile su oltre 150 giocatori australiani e ha messo in mostra come il 77 per cento del campione abbia espresso preoccupazione riguardo le loro carriere. In questo periodo di stop dell’attività agonistica, il 58 per cento ha avuto sintomi di ansia, e il 45 di depressione. «Questi trend allarmistici dovrebbero spostare l’attenzione dall’impatto economico del virus a quello sulle persone», ha detto John Didulica, numero uno della Professional Footballers Australia. «Siamo tutti consapevoli che l’economia dello sport cambierà e che dovremo adattarci. Tuttavia, quello che non dovrebbe cambiare è il supporto nei confronti delle persone, e l’incertezza del momento è stata determinante nei problemi riscontrati dai calciatori».