L’enigma Milik

Sembra essere prigioniero dei suoi limiti e del Napoli, che però dovrebbe pensarci due volte prima di cederlo.

Negli ultimi giorni il nome di Arkadiusz Milik è stato accostato a tante squadre in tutta Europa: Atlético Madrid in Spagna, Schalke 04 in Germania, un paio di club dalla Premier League. L’idea alla base di queste voci di mercato, per quel che valgono, è che il Napoli avrebbe deciso di cederlo, che lui avrebbe deciso di andare via, ormai stanco della concorrenza con Mertens. Soprattutto, che che per il Napoli si tratterebbe di una cessione indolore. Da quando è arrivato in azzurro, l’attaccante polacco, non si è mai svincolato del tutto dallo stato di incertezza che accompagna chi si trasferisce da un campionato minore come quello olandese alla Serie A: i 32 gol spalmati in due stagioni di Eredivisie, da soli, non rappresentavano una garanzia assoluta per una squadra come il Napoli.

E in quasi quattro anni la sensazione è che le cose non siano cambiate poi tanto: gli infortuni – due operazioni al legamento crociato – e le prestazioni di Mertens come punta centrale hanno contribuito a lasciare Milik in un limbo da cui non sembra essere mai uscito. Per il club azzurro, però, vendere Milik potrebbe essere un’operazione più sbagliata di quel che sembra, a partire da questioni legate strettamente al campo da gioco. Intanto perché in questi anni il polacco ha dimostrato di poter essere un centravanti da Napoli, anzi: di poter essere il centravanti del Napoli.

Milik serve soprattutto per le sue capacità da numero nove, da centravanti classico, per come cerca il movimento in area in ogni situazione di gioco: in transizione, in attacco posizionale, dopo essersi defilato o con un contromovimento in pochi metri, le sue intuizioni in area sono difficili da controllare per la maggior parte dei difensori. E quando arriva in corsa, da lontano, diventa difficile da contenere per chiunque. Il gol segnato alla Roma lo scorso novembre ne è un esempio: Milik controlla un pallone a centrocampo e lo gioca in due tocchi, poi scatta per attaccare la linea difensiva giallorossa che scappa all’indietro. Alla fine segna praticamente un touchdown da football americano.

Da centrocampo alla linea di porta in pochi secondi, come un ricevitore in Nfl

Milik è un attaccante moderno che può spendersi in più compiti nella stessa partita. Non è solo un centravanti d’area, sa leggere il gioco a metà campo, capire quando è il momento di chiedere il pallone sui piedi e quando andare in profondità. Lo abbiamo visto anche con la Polonia, dove affianca Lewandowski: quando indossa la maglia della sua Nazionale, Milik si muove quasi sempre in funzione del compagno di reparto, interpretando il gioco di conseguenza. Nei novanta minuti i due si alternano nei movimenti ad accorciare verso il centrocampo, ad allargarsi e a tagliare verso la porta per destrutturare il più possibile la linea difensiva avversaria. Sono movimenti, appoggi, letture che Milik padroneggia praticamente da sempre e può riprodurre partita dopo partita, in qualunque contesto si giochi.

Un montaggio breve dei movimenti di Milik nel ruolo di prima punta, che interpreta a tutto campo

Il video sopra risale alla prima giornata della scorsa stagione, l’esordio di Ancelotti sulla panchina azzurra, ma anche quella della rinascita di Milik dopo i due infortuni nelle precedenti stagioni con Sarri. L’attuale allenatore dell’Everton sceglie di mandarlo in campo dal primo minuto, preferendolo a Mertens, e Milik dimostra di poter essere un ottimo attaccante di raccordo in quel Napoli: gioca con i compagni, scambia con tocchi semplici ma efficaci per muovere il pallone e la difesa avversaria, non rinuncia ad allargarsi per creare spazio. In chiusura di primo tempo pareggia lo svantaggio segnato da Immobile chiudendo con un semplice appoggio l’azione più riconoscibile del Napoli – quella con il taglio di Callejon servito da Insigne. È un gol simbolico, la miglior introduzione possibile alla sua stagione più brillante: seppure puramente statistici la seconda annata con l’Ajax è superiore (24 reti in tutte le competizioni), nel 2018/19 Milik esprime il suo miglior calcio, in un contesto più competitivo, con maggiori pressioni e responsabilità, mettendosi alle spalle gli infortuni più gravi. E, soprattutto, segna 20 gol, 17 in campionato e tre nelle coppe.

Nelle due stagioni precedenti, quelle con Sarri in panchina, gli era mancata soprattutto la continuità, oltre a uno status di un certo tipo nelle gerarchie dello spogliatoio. In quel Napoli, dopo la partenza di Higuaín, le caratteristiche dei tre attaccanti – Insigne, Mertens, Callejon –  si erano rivelate perfette per il sistema di gioco del tecnico toscano, anzi lo determinavano: un centravanti come Milik, ritagliato su tutt’altro modello rispetto al belga, non poteva avere lo stesso impatto sulla squadra. È cambiato tutto con l’arrivo di Ancelotti, che ha gradualmente cambiato l’impalcatura tattica e ha facilitato l’inserimento di giocatori con caratteristiche diverse, grazie a un sistema meno strutturato, riuscendo così a integrare il polacco. La conseguenza è stata una stagione vissuta da protagonista, importante soprattutto per le 47 presenze – quindi continuità sul campo – oltre alle reti realizzate (20 in 3153 minuti, una media di una ogni 157′). Un rendimento che si stava replicando, al netto di tutte le difficoltà di squadra degli ultimi mesi, anche in questa stagione: 22 presenze e 12 gol fino alla sospensione del calcio per la pandemia.

Quattro gol consecutivi di Milik nella scorsa stagione, tutti diversi

Riguardando i gol di Milik, risulta evidente come nel suo portfolio ci sia po’ di tutto, colpi di testa, calci di punizione telecomandati, realizzazioni a un tocco dentro l’area di rigore, conclusioni potenti, azioni veloci, e anche tocchi fantasiosi, spesso usati per mascherare uno dei suoi limiti più evidenti: il gioco con il piede debole. Milik raramente usa il destro per concludere – solo cinque gol con il piede debole da quando veste la maglia azzurra – e spesso cerca tiri fuori equilibrio per calciare comunque con il sinistro. Una mancanza che si riflette anche in altre soluzioni individuali, nei dribbling (che prova meno della media del ruolo, 0,95 contro 1,68, e li realizza con percentuali minori della media, 46% contro 51%) e tutte quelle volte che deve costruirsi l’azione da solo, e che a volte lo rende prevedibile.

I veri dubbi sull’eventuale cessione di Milik sono probabilmente legati alle dinamiche del calciomercato più che ai limiti sul campo. L’ex attaccante dell’Ajax ha giocato troppo poco a certi livelli per non avere ancora alcuni margini di crescita – del resto a febbraio ha compiuto 26 anni, quindi potrebbe raggiungere e mantenere un picco nelle prossime quattro o cinque stagioni. Nell’anno in cui è stato schierato da titolare ha giocato e reso benissimo, mentre nelle altre stagioni la sfortuna e le scelte degli allenatori – Sarri e poi Gattuso – gli hanno messo Mertens davanti. Per questo, Arek non è riuscito a esprimere davvero il proprio valore e difficilmente riscuoterà maggiore interesse di quanto non faccia oggi, complice anche lo storico dei suoi infortuni. Considerando anche il contratto in scadenza nel 2021, le prospettive di incasso per il Napoli non sono così elevate.

Al netto di tutto questo, e della possibile volontà del calciatore di cercare una nuova avventura, il club azzurro dovrebbe pensarci due volte prima di cedere Milik, se non per offerte fuori mercato: non è un attaccante infallibile o il più forte in assoluto, ma ha dimostrato di meritare certi palcoscenici ed è la miglior opzione possibile al momento. Anche perché l’obiettivo della società partenopea sembra essere quello di rinnovare il contratto di Mertens, e a queste condizioni sarebbe davvero complicato – per non dire impossibile – acquistare un attaccante che sia più giovane e/o di livello superiore rispetto a Milik, e che accetti la concorrenza del belga. Probabilmente, la soluzione migliore per il Napoli di oggi e quello di domani, con Mertens, sarebbe quella di continuare a puntare su Milik. È un paradosso, anche perché Milik resterebbe prigioniero, e il Napoli non costruirebbe intorno a lui il suo progetto, ancora una volta. E allora l’enigma sul suo reale valore sarebbe destinato a rimanere irrisolto.