Il Barcellona cederà i naming rights del Camp Nou

Gli incassi non andranno interamente al club, ma saranno devoluti per sconfiggere la diffusione del virus.

Il Coronavirus, che ha costretto la totalità degli sport professionistici a fermarsi, sta impattando notevolmente sulle economie dei singoli club. Non solo i più piccoli, magari i più esposti a situazioni di questo tipo, ma anche i più importanti e famosi, come il Barcellona. Dopo che il presidente Bartomeu ha lasciato intendere come anche le strategie di mercato dovranno immancabilmente cambiare, con spese più contenute, la prossima mossa dei blaugrana potrebbe essere quella di cedere i naming rights del Camp Nou. L’incasso, però, non andrebbe interamente alla società, ma aiuterebbe l’intera comunità mondiale nella lotta al virus.

«Vogliamo mandare un messaggio globale: per la prima volta qualcuno potrà avere l’opportunità di rinominare con il proprio nome il Camp Nou, e i ricavi andranno a tutta l’umanità, non soltanto al Barcellona», ha detto il vicepresidente Jordi Cardoner ad Associated Press. Già in passato il Barça aveva messo in conto di vendere i naming rights del proprio impianto, ma soltanto a partire dalla stagione 2023/24 a fronte di 300 milioni di euro per un contratto di sponsorizzazione di 25 anni. Ma allo stato attuale, i blaugrana hanno deciso di cambiare strategia e di accettare offerte sin da subito, e non per forza legate a un arco temporale così lungo – proprio in ragione della volontà di raccogliere fondi immediatamente, e utilizzarli per aiutare a sconfiggere il virus. Il club ha aggiunto che il nome Camp Nou non scomparirà, ma sarà al fianco dello sponsor.

Una decisione che riporta alla memoria un’iniziativa simile adottata dai blaugrana nel 2006: all’epoca il Barcellona, che mai aveva avuto uno sponsor di maglia, accettò di avere sulla divisa il logo dell’Unicef – una sponsorizzazione totalmente gratuita. Cardoner, che ha dovuto lottare in prima persona contro il Coronavirus, ha detto di essersi ispirato proprio a quella decisione: «Ho trascorso molto tempo a letto, e ho avuto tempo per pensare. Facciamo tante cose grazie alla nostra fondazione, e ho capito che avremmo dovuto fare le cose in grande, esattamente come quando portammo Unicef sulla maglia».