La rivincita della cyclette

Il lockdown ha fatto sorgere una nuova alba per gli strumenti del fitness casalingo. Ma durerà oltre la pandemia?

Qualcuno, una volta, disse che la cyclette era solo un attaccapanni in incognito. E fino a un paio di mesi fa, non si sbagliava. Relegata ai margini della casa, nascosta dietro tende e mobili, impolverata, inscatolata, trasformata in precario approdo per giacche, cravatte e camicie, la cyclette ha vissuto le pene dell’inferno per anni. E la stessa sorte è toccata anche al suo compagno di sventura, il tapis roulant, anch’egli abbandonato in soffitta, ripiegato sotto il divano, inscatolato come un albero di Natale qualsiasi. Ma con il lockdown è arrivato per loro il tempo della riscossa, quando tutto sembrava perduto. Chiusura totale, stop a passeggiate al parco, partite di calcetto con gli amici, calcio in tv. Tutti a casa. I più fortunati hanno potuto godersi il giardino, altri il terrazzo, altri ancora il balcone. Il resto solo finestre. La cyclette e il tapis roulant all’improvviso si sono trasformati nell’unico sfogo, corsi online di yoga e pilates a parte, per mantenere un dignitoso stato di forma durante questa quarantena che sembra non finire ancora. Perché se è bello fare il pane o la crostata in cucina, è meno bello smaltirli, stando segregati da mesi fra quattro mura.

Da reietti, i congegni per il fitness sono diventati improvvisamente essenziali. Chi ce li aveva li ha recuperati dalla cantina, chi non ce li aveva e se li può permettere li ha ordinati online. Cyclette e tapis roulantm nei giorni di cattività, sono diventati più gettonati di farina e lievito di birra. Con buona pace dell’umorista francese Didier Tronchet secondo cui «praticare la cyclette è come fare surf in una Jacuzzi».

La loro storia è assai curiosa. La cyclette, oppure detta exercise bike o exercycle, ha origini misteriose. Il primo prototipo in assoluto venne realizzato nel 1900 da una coppia di medici sportivi tedeschi, Zuntz e Voigt. Poi più nulla fino al 1968, quando quel geniaccio di Mr. Keene P. Dimick creò il marchingegno che noi tutti conosciamo. Il merito di averlo lanciato sul mercato americano è però del californiano Augie Nieto, fondatore dell’azienda produttrice di biciclette Life fitness, e Ray Wilson, ex difensore dell’Everton e campione del mondo con l’Inghilterra ai mondiali del 1966.

Italianissima invece è la storia del nome. Cyclette infatti è un brevetto della ditta Teodoro Carnielli, fabbrica di bici di Vittorio Veneto a marchio Bottecchia. Narra la leggenda che il figlio del titolare, vittima di un infortunio, si fece realizzare appositamente una bicicletta senza ruote, in modo da potersi allenare standosene comodamente a casa. Sì, perché l’aspetto rivoluzionario, per certi versi filosofico, della cyclette è che nasce per “fare fatica” senza però dover raggiungere fisicamente alcun traguardo.

Ancora più incredibile è però la genesi del tapis roulant, che nella sua lunga evoluzione è stato anche uno strumento di tortura (e la cosa non ci meraviglia più di tanto). Sembra esistesse già 4000 anni fa, quando lo sforzo muscolare degli uomini, come quello degli animali, era sfruttato per generare energia o azionare macchinari, legati soprattutto al trasporto dell’acqua.

 

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Morning workout with a cycling session….these wheels are on fire ? ??? #stayactive

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Il treadmill, come lo chiamano gli inglesi, fu per circa un secolo utilizzato nelle prigioni anglosassoni come macchinario per i lavori forzati. William Cubitt, nel 1818, aveva ideato un impianto che costringeva i prigionieri a camminare per ore e ore senza mai spostarsi di un solo centimetro mentre macinavano il grano. Tutti i giorni i galeotti dovevano marciare ininterrottamente per otto ore. I continui sforzi prolungati, accostati a condizioni igienico sanitarie pessime e a una alimentazione non proprio da ristorante stellato provocavano spesso il diffondersi di malattie e malnutrizione. La tortura aveva anche un risvolto psicologico prima che fisico: i prigionieri dovevano muoversi tutti i giorni, nessuno escluso, senza alcun apparente motivo, solo perché obbligati dai fucili dei secondini. Andò avanti così fino alla seconda metà dell’800, quando il tapis roulant venne gradualmente abbandonato dai sistemi carcerari dei vari Paesi che l’avevano scelto come fonte di supplizio.

Per trovare il primo brevetto di un tapis roulant per allenarsi bisogna arrivare alla Grande Guerra. La documentazione fu depositata nel 1917 dal newyorkese Claude Lauraine Lagen che aveva pensato a una macchina da training composta da una base rettangolare su cui l’inventore aveva piazzato dei grossi rulli ricoperti da un nastro antiscivolo. La macchina era anche dotata di quattro supporti in gomma.

 

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Let’s go ??‍♂️

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Più tardi, nel 1952, il dottor Robert A. Bruce decise di sfruttare il macchinario per sviluppare un protocollo di diagnosi dei pazienti cardiopatici. Loro camminavano lungo il rullo con degli elettrodi attaccati, e il professore  controllava battito e funzioni respiratorie prima, durante e dopo lo sforzo. La svolta definitiva è però del 1968, quando un altro medico, il dottor Kenneth Cooper pubblicò una ricerca in cui coniando per la prima volta la parola “aerobics”, affermava che bastavano solo otto minuti di corsa al giorno per migliorare le condizioni di salute di chiunque. Le teorie del professor Cooper, ex colonnello dell’aeronautica militare dell’Oklahoma, furono successivamente adottare da un ingegnere originario della Pennsylvania, tal William Staub, che realizzò un modello di tapis roulant nell’officina di casa e iniziò a venderlo. Fu un trionfo. Tanto, che Staub, che nel frattempo si era trasferito nel New Jersey, decise di abbandonare il vecchio impiego nell’industria aerospaziale per dedicarsi a tempo pieno alla progettazione e commercializzazione dei suoi prodotti. La “massificazione” del tapis roulant, trasformato da attrezzo medico ad attrezzo commerciale, è tutto merito suo.

Quanto durerà il successo? Al termine del lockdown cyclette & co. torneranno di buon grado in soffitta oppure continueranno a godere della nuova alba? Qualche pronostico forse si potrebbe fare: c’è infatti chi ha già pensato a quel giorno, quando si tornerà in ufficio e si passeranno ore alla scrivania dopo le settimane di smart working casalingo. Brian Oaks, corpulento imprenditore dello Utah, ha inventato uno strumento in grado di coniugare lavoro sedentario e attività aerobica. Si chiama Fitwork Station (www.fitworkstation.com), ed è una creatura diabolica metà sedia con scrivania e metà tapis roulant e cyclette. Lo slogan è già pronto: “Stay Home, Stay Fit, Stay Working”. «La workstation», ha spiegato Oaks, un passato da graphic designer, «vuole combattere la sedentarietà grazie un movimento costante ma leggero. Si parte la mattina, mentre si è davanti al computer, con una camminata di circa quattro chilometri e si va avanti con una pedalata di altri dieci minuti prima della pausa pranzo. Poi, si replica nel pomeriggio, sempre seduti al desk, mente si scorrono le e-mail, si effettua un bonifico o si paga la bolletta del gas». Il progetto di Brian è stato presentato su Kickstarter dove è partita una raccolta fondi. Ma il finanziamento non sta dando i frutti sperati. Che sia questo il segno di ciò che sarà il destino di tapis roulant e cyclette, una volta finita la quarantena?