Che squadra era l’Inter prima del 5 maggio?

Una rosa forte, nonostante quel problema del terzino sinistro, e un attacco strepitoso. Ma fu una stagione logorante, che finì come tutti sappiamo.

C’è forse anche una mezza vendetta di generazioni di studenti impenitenti – di quelli che il lunedì mattina arrivavano a scuola sapendo i risultati del calcio a memoria, ma il capitolo per l’interrogazione no – se a un certo punto della storia italiana il 5 maggio ha smesso di essere una poesia del Manzoni sulla fine di Napoleone, ed è diventata una tragicommedia sportiva. Perché il 5 maggio 2002 l’Inter prima in classifica assaporava lo scudetto dopo tredici anni di digiuno, e davanti a sé le restava solo una Lazio in crisi societaria, i cui tifosi erano quasi più interessati a perdere per non far vincere il campionato alla Roma che a racimolare qualche punto in classifica. Finì 4-2 per i biancocelesti e, con le contemporanee vittorie di Roma e Juventus, l’Inter passava in 90 minuti dal primo al terzo posto: dallo scudetto ai preliminari di Champions League.

Il 5 maggio sopravvive nella memoria collettiva come il ridicolo tracollo di una squadra sciagurata, il cui triste destino era scritto nelle stelle: un allenatore maledetto, una rosa mediocre, flagellata dagli infortuni e, per di più, da problemi di spogliatoio. Ma la verità è che, fino a quel giorno, l’Inter aveva dimostrato una forza d’animo insolita e una capacità di far fronte a diverse difficoltà, difendendo la testa della classifica contro squadre fortissime come la seconda Juventus di Lippi o la Roma di Capello, che deteneva il titolo nazionale. Ma andiamo con ordine.

L’allenatore maledetto si chiamava Héctor Cúper: in Argentina era noto come el Hombre Vertical, “L’uomo tutto d’un pezzo”, ed era l’ultima scommessa di Massimo Moratti, ricco presidente nerazzurro dal 1995. Moratti era un uomo ambizioso e cosmopolita, che aveva già avuto due allenatori stranieri (Lucescu e Hodgson), nonostante in Italia ci fosse ancora molto protezionismo. Il fatto che avesse puntato su Cúper, per molti, era una scelta simbolica oltre che tecnica: un’Inter con presidente Moratti e allenatore argentino faceva immediatamente pensare al periodo d’oro degli anni Sessanta, quando in panchina sedeva Helenio Herrera e i nerazzurri dominavano il calcio mondiale.

Però non è che Cúper fosse proprio l’ultimo arrivato; anzi, era uno dei migliori allenatori sulla piazza, in attesa di un club alla sua altezza. In Argentina aveva ottenuto risultati incredibili con squadre modeste come l’Huracán (con cui era arrivato secondo in campionato) e il Lanús (portato alla conquista della Coppa CONMEBOL del 1996). Alla guida della neopromossa Mallorca, in Spagna, aveva raggiunto una finale di Copa del Rey, una di Coppa delle Coppe (persa, casualmente, contro la Lazio), vinto una Supercoppa spagnola e raggiunto uno storico terzo posto in Liga. Era passato al Valencia, un club un tempo glorioso ma da circa vent’anni in crisi, e aveva messo in bacheca un’altra Supercoppa e raggiunto due finali di Champions: in tre stagioni, era diventato uno degli allenatori più quotati in circolazione.

La rosa mediocre è un altro pseudo-fatto: l’Inter di Cúper aveva diversi ottimi giocatori (Francesco Toldo tra i pali; Javier Zanetti sulla fascia destra; Luigi Di Biagio e Clarence Seedorf a centrocampo) e soprattutto un attacco da far invidia a praticamente qualsiasi squadra al mondo: Christian Vieri e Ronaldo, con la possibilità di far entrare alla bisogna Álvaro Recoba.

Prima della stagione 2001/02, Ronaldo ha giocato in Serie A 58 partite segnando 42 reti. Quasi tutte sono concentrate nella sua prima stagione, 4 anni prima, quando scese in campo 32 volte andando in gol in 25 occasioni. La stagione 2000/01, invece, non giocò nessuna partita, in nessuna competizione(Grazia Neri/Allsport)

Certamente, però, era una squadra squilibrata. L’allenatore argentino aveva chiesto a Moratti una massiccia campagna di rafforzamento, che aveva inserito in difesa il centrale goleador del Perugia Marco Materazzi, alla prima prova con un grande club, e il terzino dell’Arsenal Nelson Vivas; a centrocampo il mediano romanista Cristiano Zanetti, l’ala destra portoghese ex-Lazio e Parma Sérgio Conceição, e l’esterno mancino del Milan Andrés Guglielminpietro; più una serie di giovani promesse che andavano dal regista turco Emre Belözoğlu al collega francese Stéphane Dalmat, fino al poderoso brasiliano Adriano.

Il primo problema della gestione di Cúper si rivelarono essere gli infortuni. Uno dei casi che, nei mesi a venire, sarebbe diventato il capro espiatorio dei problemi interisti, fu quello che riguardava il terzino sinistro: lì, di norma, avrebbe dovuto giocare Michele Serena, un esperto giocatore ex Fiorentina e Atlético Madrid, che però si ritrovò a passare più tempo in infermeria che sul campo. L’Hombre Vertical provò a sostituirlo prima con Vivas, che però era un destro, poi cercò ad adattare senza successo Iván Córdoba, tentò addirittura il greco Grigoris Georgatos, e alla fine si rassegnò al giovane slovacco Vratislav Gresko. Sarebbe stato lui il tragico protagonista del 5 maggio.

La verità è che, fino a quell’imbarazzante prestazione offerta contro il laziale Poborsky, Gresko era stato un terzino modesto, anonimo, ma di sicuro non malvagio al punto da danneggiare la squadra. Aveva esordito più che dignitosamente nella difficile trasferta di Torino contro la Juventus, seguita al derby perso per 4-2 contro il Milan di Terim, e con lui in campo l’Inter aveva inanellato una serie di quattro partite a porta imbattuta. Sebbene fosse chiaro a tutti che una squadra che puntasse per il titolo, potendo, non avrebbe schierato Gresko titolare, l’opinione dei tifosi non era particolarmente severa nei suoi confronti.

Anzi, l’andamento dell’Inter – che a Natale era da sola prima in classifica – era stato ottimo, considerato il fatto che il suo straordinario attacco, nei fatti, non si era mai visto: Ronaldo era infortunato quasi ininterrottamente da due stagioni, Recoba era squalificato fino a dicembre per lo scandalo dei passaporti falsi, e Vieri faceva avanti e indietro dall’infermeria di Appiano Gentile. Per gran parte della stagione, in particolare del girone d’andata, il peso dell’attacco nerazzurro era stato sulle spalle di Nicola Ventola, ex promessa mai mantenuta del Bari, e Mohamed Kallon, 22enne della Sierra Leone che l’Inter aveva scovato appena sedicenne nel campionato libanese. A conti fatti, avrebbero messo a referto rispettivamente 10 e 15 gol stagionali.

«L’inter gioca in casa», dicono a 90° minuto. «Vicinissimo ormai il titolo», dopo il primo gol di Vieri. Poi: lo «strano tocco» di Couto per il gol di Di Biagio, il gol di Poborski e quello di Inzaghi. «Un’agonia», sono le ultime parole per descrivere la partita.

Inutile nascondere che qualche malumore, nella tifoseria, c’era: Cúper era riuscito a tenere a bada Juventus e Roma, ma incredibilmente i problemi maggiori li stava trovando contro il Chievo, una neopromossa con la rosa zeppa di sconosciuti che a dicembre aveva espugnato San Siro, prendendosi momentaneamente la vetta della classifica. A gennaio l’Inter entrò in crisi, bloccandosi sul pareggio contro Venezia e Torino e perdendo a Bologna: a quel punto, i dubbi iniziarono a farsi sentire.

Alla scusa del terzino sinistro che non c’era si aggiunsero voci di uno spogliatoio spaccato tra il clan argentino, fedelissimo all’allenatore, e gli altri, tra cui Ronaldo. Fiorivano ironie sui metodi di Cúper, compresa la sua abitudine di incitare i giocatori che scendevano in campo dando ad ognuno una forte pacca sul cuore. Qualcuno si preoccupò di andare a indagare a fondo il suo passato sportivo, e ne cavò fuori la maledizione dell’eterno secondo: nel 1994, al suo Huracán bastava un punto all’ultima giornata per vincere il titolo di Clausura, invece perse 4-0 contro i diretti rivali dell’Independiente, che divenne campione; seguì l’impressionante record di quattro finali perse in quattro anni. Ovviamente, ai fini della tetra leggenda, nulla importano i tre titoli vinti, o il fatto che le squadre dell’argentino fossero sempre delle outsider.

E nonostante questo, l’Inter si riprese. Vieri tornò e segnò: a fine stagione, avrà realizzato 25 reti in 28 partite. Nel girone di ritorno, i nerazzurri batterono sia il Milan che la Roma, e pareggiarono ancora con la Juventus: quell’anno, l’unica sfida di vertice persa sarà stato il derby d’andata. Anche Ronaldo, quando rientrò da titolare ad aprile, fu decisivo: con una sua doppietta, ribaltò una difficilissima partita a Brescia, evitando la sconfitta e salvando il primo posto.

La percentuale di vittorie di Héctor Cúper, nei due anni e mezzo all’Inter, non scende mai sotto il 50 per cento, nemmeno nella stagione dell’esonero. Uno dei rimpianti principali della sua gestione, oltre ai piazzamenti in campionato, fu probabilmente la semifinale di Champions League del 2003 persa contro il Milan pagando i due pareggi e la regola del gol in trasferta. Proprio Milan, in finale contro la Juventus, vincerà il sesto titolo europeo della sua storia Grazie Neri/Allsport)

Anche in Coppa Uefa, l’Inter era uscita solo in semifinale contro i futuri campioni del Feyenoord, e ai quarti aveva ottenuto un’epica qualificazione al Mestalla di Valencia: al gol in apertura di Ventola aveva fatto seguito una strenua difesa coronata, dopo l’espulsione di Toldo e l’esaurimento delle sostituzioni, con l’ingresso in porta di Francisco Farinós, di ruolo centrocampista, che aveva salvato il risultato in un paio di occasioni. Una grande dimostrazione di carattere, per una squadra che, negli ultimi anni, aveva abituato i tifosi a tutt’altro.

Ma, partita dopo partita, ogni incontro diventava sempre più una battaglia; l’Inter si logorava e ogni volta non poteva dare meno del 100% se voleva vincere: alla terzultima di campionato, in casa di un Chievo ormai stremato, Cúper aveva dovuto schierare Sorondo al posto dell’infortunato Materazzi, e la partita si era chiusa con un rocambolesco 2-2, con pareggio nel recupero del veronese Cossato. Quel risultato consentì alla Juventus di portarsi a –1 dalla vetta.

Tutti questi problemi finirono per convergere all’Olimpico di Roma in quel 5 maggio, indirizzando la storia dove sappiamo. E minando psicologicamente il futuro di Cúper sulla panchina nerazzurra: oggi, quasi nessuno si ricorda della stagione seguente, in cui l’Inter arrivò seconda in Serie A e sfiorò la finale di Champions League. Ci si ricorda invece del triste addio di Ronaldo, che andrà a vincere il campionato a Madrid; del maledetto infortunio di Crespo, chiamato a sostituire il Fenomeno; del fallimento di Batistuta e Cannavaro; della folle ossessiva ricerca del terzino sinistro, che porterà i tifosi a fare i conti con gente del calibro di Francesco Coco e Jérémie Bréchet.

L’avventura interista di Héctor Cúper terminò così nell’ottobre 2003, dopo un pareggio a Brescia e l’ottavo posto in Serie A, e dopo che Moratti gli aveva praticamente comprato ogni giocatore avesse chiesto, compreso l’impalpabile pupillo Kily González. Da lì, la sua carriera non si riprese più.