Tutti gli occhi sulla Bundesliga

Cosa guardare e cosa aspettarsi dal primo campionato che riparte dopo la pandemia.

Responsabilità. Una sola parola, che però ben fotografa il concetto essenziale al centro della ripartenza della Bundesliga. A utilizzare questo termine, durante un’interessante intervista rilasciata alla Bild, è stato Manuel Neuer, portiere e leader del Bayern Monaco, capolista e principale favorita per un titolo che, per ovvi motivi, non avrà mai lo stesso significato dei precedenti. La federazione tedesca, in effetti, si è presa una grandissima responsabilità nel momento in cui ha assicurato al governo centrale, e soprattutto alla cancelliera Angela Merkel, che tutto andrà per il meglio. La DFL si è impegnata a utilizzare il pugno duro contro chiunque non dovesse attenersi alle indicazioni della politica in materia di prevenzione e tutela della salute, ma contestualmente ha aperto un canale di dialogo con tutte le regioni tedesche, ognuna amministrata in maniera semi-autonoma e quindi con regolamenti interni che possono variare. La collaborazione, quindi, è totale, al contrario di quanto sta avvenendo in altri paesi europei.

E così la Bundesliga è il primo tra i top tornei d’Europa nel quale il pallone tornerà a rotolare, dopo gli oltre due mesi di stop dovuti alla pandemia mondiale legata al Coronavirus. Quello che vedremo a partire da sabato 16 maggio non sarà però lo stesso campionato di prima, visto che mancherà una componente fondamentale come il tifo – i gruppi ultras tedeschi sono tra i più caldi e chiassosi del continente, e hanno manifestato il loro dissenso verso la decisione del governo – e, soprattutto, c’è una fondata consapevolezza riferita al fatto che concentrare troppe partite in un periodo così ristretto potrebbe penalizzare in primis i calciatori.

I motivi della ripresa (più o meno) forzata sono abbastanza intuibili e riguardano prettamente il fattore economico. Come peraltro successo in Italia, anche in Germania i club si sono trovati prigionieri di broadcaster restii a pagare l’ultima rata stagionale e, dato che secondo l’ultimo report della DFL i diritti tv rappresentano il 37% degli incassi annuali collettivi, tornare in campo è l’unica maniera per evitare un bagno di sangue finanziario, un disastro che coinvolgerebbe anche società storiche come Schalke 04 e Colonia. E se per farlo bisognerà utilizzare i metodi forti, non ci sono problemi: qualche giorno fa, per esempio, l’Hertha Berlino ha sospeso a tempo indeterminato Salomon Kalou, attaccante ivoriano che aveva condiviso un video registrato il giorno del raduno, nel quale lui e i suoi compagni di squadra si scambiavano baci e abbracci senza curarsi minimamente delle norme restrittive imposte per arginare i contagi.

Una lotta al titolo ancora aperta

Con nove partite ancora da disputare e soli quattro punti di distacco tra la prima e la seconda, è ancora un po’ presto per assegnare la Bundesliga 2019/20 al Bayern Monaco. Tuttavia, i bavaresi rimangono i grandi favoriti per la vittoria finale, dato che, durante il suo cammino precedente allo stop forzato, avevano dimostrato di essere la squadra più forte e attrezzata del campionato. Più che quelli riferiti alla classifica – 55 punti in 25 partite – sono gli altri numeri a testimoniare al meglio il dominio del Bayern: la squadra guidata da Flick ha il miglior attacco, la miglior difesa e la miglior differenza reti del torneo.

I grandi risultati dell’ultimo periodo sono da ascrivere proprio a Hans-Dieter Flick, allenatore 55enne che ha preso il posto di Niko Kovac a novembre. L’ex tecnico dell’Hoffenheim doveva rappresentare la classica soluzione interna, ma poi ha saputo conquistarsi un meritatissimo rinnovo di contratto fino al 2023; si è fatto subito ben volere da tutti, ha rimesso in ordine un ambiente uscito devastato dagli ultimi mesi di gestione Kovac, ha ridato centralità a un totem del calibro di Thomas Müller e ha consacrato il talento cristallino di Serge Gnabry, Leon Goretzka, Joshua Zirkzee e Alphonso Davies.

Un minuto buono di grandi accelerazioni di Alphonso Davies, decisive in fase offensiva e anche difensiva

Il 26 maggio, a meno di inversioni di rotta, il Bayern andrà a Dortmund per giocarsi uno scontro diretto decisivo, contro lo stesso Borussia spazzato via con un sonoro 4-0 nel match di andata. Ora, però, le cose stanno andando diversamente: i gialloneri di Favre hanno vinto sette delle otto partite giocate al rientro dalla pausa invernale, il tecnico svizzero ha regolato la fase difensiva e mischiato le carte in attacco, inserendo nelle rotazioni un prospetto promettente come il 17enne americano Giovanni Reyna, già decisivo anche in Champions League.

Inoltre, la società a gennaio è intervenuta massicciamente sul mercato, acquistando Emre Can – un centrocampista che dà assolute garanzie e che è stato bravo a integrarsi subito con Axel Witsel – e soprattutto Erling Haaland. Il norvegese non ha patito per niente il grande salto in un campionato di primo livello: con i suoi nove gol in otto presenze (più altri due agli ottavi di Champions), ha avuto un impatto immediato sulla sua nuova squadra, ma ciò che ha maggiormente impressionato è stata la facilità di adattamento a un contesto così smaccatamente superiore rispetto alla massima divisione austriaca. Haaland, a tratti, ha dato segnali di dominio totale, evidenziando anche un grande feeling con Jadon Sancho (17 gol e 19 assist in stagione), suo coetaneo e prossima plusvalenza del club di Dortmund. Sancho sta vivendo la stagione della consacrazione, visto che, oltre ad accumulare numeri impressionanti, sembra essere molto maturato anche dal punto di vista tattico. Per questo motivo, il Borussia Dortmund ha l’obbligo di credere ancora nella rimonta, sperando che la sosta prolungata abbia minato qualche certezza del Bayern – arrivato a fine febbraio con una forma fisica straordinaria, una condizione evidenziata dal grande successo in casa del Chelsea (3-0) nell’andata degli ottavi di Champions.

Sommando le cifre delle sue esperienze con Salisburgo e Borussia Dormund, Haaland ha uno score stagionale di 40 gol segnati in 33 partite giocate in tutte le competizioni (Ina Fassbender/AFP via Getty Images)

Il Lipsia dei giovani

A soli cinque punti dal primo posto staziona il Red Bull Lipsia, una delle realtà calcistiche più divisive del calcio europeo. Da una parte c’è chi detesta il modello di business studiato e perfezionato negli anni dalla multinazionale che commercia in bevande energetiche; dall’altra, invece, sono in molti a evidenziare come questo modo di fare calcio, costruendo e facendo funzionare il club secondo un modello praticamente industriale, sia indice di successo assicurato. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo, ma di certo non può passare inosservata l’escalation di risultati che il Lipsia, nelle ultime stagioni, ha ottenuto in maniera totalmente meritata, grazie a un progetto fondato su concetti chiari: la valorizzazione dei giovani e la ricerca di un calcio veloce, aggressivo, come da ispirazione aziendale. Non ultima, la prima, storica, qualificazione ai quarti di finale di Champions League, dopo aver strapazzato il Tottenham di José Mourinho. In Bundesliga, i Roten Bullen hanno mantenuto a tratti la vetta della classifica – a tutt’oggi sono la squadra che ha perso meno, solo tre sconfitte totali –, però hanno pareggiato troppo (otto partite sul 25, il doppio rispetto a Bayern e Borussia Mönchengladbach).

I giovani, si diceva: oltre che per Timo Werner, ormai da considerare tra i migliori attaccanti d’Europa, una vera e propria asta tra top club dovrebbe scatenarsi per Dayot Upamecano, centrale francese classe 1998, arrivato a Lipsia dopo una paio di anni di apprendistato nelle fila dei “cugini” austriaci del Salisburgo. Il suo cartellino viene già valutato dai 60 milioni in su, e vedendolo muoversi in campo, non è difficile capire i motivi: Upamecano è un difensore già molto maturo, ma con orizzonti ancora inesplorati; è un profilo decisamente completo sotto tutti i punti di vista, possiede una tecnica di base molto sviluppata, che lo porta a girare su statistiche molto importanti (secondo Squawka è il centrale difensivo ad aver portato a compimento più dribbling sia in Champions League che in Bundesliga) e che lo agevola nell’uscita bassa palla al piede, dote molto rara per i difensori con le sue caratteristiche fisiche.

Lettura della posizione, forza fisica e tempismo nelle chiusure di Dayot Upamecano

Sempre dalla Francia, più precisamente dal Montpellier, è arrivato Nordi Mukiele (1997), acquistato per 16 milioni nell’estate del 2018 e consacratosi quest’anno con Nagelsmann, che lo ha definitivamente dirottato sulla destra andando a sfruttare le sue lunghe leve per arare la fascia. Poi, soprattutto per esigenza, lo ha trasformato in un mediano, schierandolo davanti alla difesa per sfruttarne le straripanti doti fisiche e coprire meglio le spalle a Cristopher Nkunku, eclettico esterno offensivo strappato in estate al Psg. E poi c’è l’ultimo arrivo, Dani Olmo, fiore all’occhiello della campagna acquisti di gennaio: lo spagnolo ha potuto mettere insieme solo una manciata di minuti, ma impiegherà poco a diventare centrale nell’ambizioso progetto portato avanti dal Lipsia.

Borussia Mönchengladbach, la squadra più social

La squadra che ha sorpreso di più è stata il Borussia Mönchengladbach. I Fohlen si giocheranno fino alla fine l’accesso alla fase a gruppi della prossima Champions League, ma parallelamente portano avanti una campagna di fidelizzazione molto efficace tramite social network. Qualche giorno fa, su Twitter, è apparso un post che introduceva il ritorno della Bundesliga, con a margine un tutorial per scegliere la squadra da supportare. Le opzioni erano essenzialmente tre: se non ti interessa tifare, la tua squadra è il Colonia (acerrimo rivale del Borussia), mentre il Mönchengladbach sarà il team di coloro capaci di pronunciare il nome più complicato dell’intero calcio locale. Nessuna delle soluzioni vi aggrada? Non c’è problema, esistono altre sedici squadre.

Il tweet, che in poche ore ha fatto il giro del mondo, era simpatico ma allo stesso tempo di grande impatto, una sorta di trasposizione in formato social del calcio giocato dalla squadra di Marco Rose, altro allenatore forgiatosi nel microcosmo Red Bull. Rose ha ereditato una rosa arrivata quinta con Dieter Hecking e poi subito privata di Thorgan Hazard, il suo principale talento offensivo, ma è stato molto bravo ad accelerare l’inserimento di alcuni profili come Breel Embolo e Marcus Thuram, giovani e talentuosi, ma anche parecchio discontinui. La squadra non segna molto ma ha la terza difesa del campionato e, probabilmente, si giocherà il quarto posto punto a punto con il Bayer Leverkusen. Le Aspirine di Peter Bosz e Kai Havertz (dieci gol e otto assist stagionali, a proposito di talenti) guidano la fila delle “altre”, con una discreta distanza dallo Schalke 04, attualmente sesto e recentemente scosso dal caso Alexander Nubel, talentuoso portiere accordatosi per trasferirsi al Bayern a parametro zero.

Un concentrato di talento da scoprire

Sempre a proposito di Schalke, nella rosa biancoblu sono presenti un paio di profili che, a breve, potrebbero trasformarsi in veri e propri oggetti del desiderio per diverse big europee. Della crescita di Weston McKennie non si parla mai abbastanza, ma il centrocampista americano – quest’anno utilizzato occasionalmente anche come difensore centrale – è ormai un perno della squadra allenata da David Wagner, ed è titolare fisso nella sua Nazionale. McKennie è un bravissimo recuperatore di palloni e si fa sentire soprattutto nei duelli aerei (2,6 a partita), ma quest’anno è riuscito a dare anche un discreto contributo in fase offensiva. Anche Rabbi Matondo, 20 anni da compiere a settembre, ha saputo mostrare grandi qualità. Finora ha giocato poco, ma i dodici spezzoni di partita messi insieme in stagione sono bastati per capire quanto questo ragazzo, che può scegliere se indossare la maglia delle Nazionali gallese e inglese, abbia potenzialità di un certo livello. Arrivato per nove milioni dal Manchester City, si sta rivelando anche molto duttile: Wagner, nei 700 minuti che gli ha concesso fino a oggi, lo ha schierato come ala destra (il suo ruolo naturale), ma anche dall’altra parte del campo e pure come seconda punta, in appoggio a Burgstaller o Rahman.

Lo Schalke, recentemente, aveva messo nel mirino anche Exequiel Palacios, centrocampista argentino classe 1998 che a gennaio è passato al Bayer Leverkusen dal River Plate, dopo il pagamento dei 17 milioni di clausola rescissoria. Il lockdown non gli ha permesso di scalare le gerarchie, ma l’impressione è che ci vorrà solo un po’ più di tempo per vederlo dominare anche in Europa. Palacios è il prototipo del centrocampista moderno: sa muoversi in ogni zona senza uscire mai dal cuore della manovra, infatti in patria veniva considerato uno degli scudieri insostituibili per Marcelo Gallardo. Il Muñeco lo ha scoperto, plasmato e lanciato, raccogliendo i frutti della semina in breve tempo e trasformandolo in un profilo box to box dal grande potenziale. Anche al Bayer Leverkusen sembra potersi imporre, soprattutto se il processo di associazione con Havertz, imbastito da Peter Bosz, dovesse dare esiti positivi.

Prima di trasferirsi in Germania, Exequiel Palacios ha vinto quattro trofei con il River Plate, tra cui la Copa Libertadores del 2018 (Ronny Hartmann/AFP via Getty Images)

A Francoforte si coccolano il jolly difensivo Evan N’Dicka, altro mancino che può destreggiarsi in diverse zone del reparto arretrato: nell’ultimo anno e mezzo lo abbiamo visto giocare da terzo a sinistra, sulla fascia ma anche da mediano. N’Dicka ha quasi 21 anni ma si muove con l’autorità del veterano, sfrutta bene i suoi 192 centimetri di altezza ma nello stesso tempo è abbastanza pulito nell’impostazione. Questa sua duttilità ha incuriosito Marotta, che lo avrebbe messo sotto osservazione e poi proposto ad Antonio Conte, ricevendo feedback positivi.

L’ultima menzione la merita Milot Rashica, esterno offensivo kosovaro, uno dei pochi a salvarsi nella disastrosa stagione del Werder Brema, una squadra praticamente già condannata alla retrocessione. Esploso in Olanda, Rashica predilige giocare principalmente come esterno alto a sinistra (pur essendo un destro naturale), salta l’uomo con estrema facilità e, in stagione, ha già segnato 10 gol. Un buon bottino, che però probabilmente non basterà a salvare il Werder da un’amara caduta in Zweite Liga, la seconda in 120 anni nella storia del club.